FUCILI E PISTOLA

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DI MARCO TRAVAGLIO
L’Unità

Era la notte del 16 novembre 1992. Dopo una puntata di «Milano Italia» con Gad Lerner in un teatro di Torino, un gruppo di cronisti tra cui il sottoscritto inseguono Umberto Bossi in una pizzeria. Lui e la sua compagnia di leghisti piemontesi li accolgono al loro tavolo. I giornalisti estraggono i taccuini e, tra una portata e l’altra, appuntano a una a una le pirotecniche sparate del Senatur, particolarmente in forma senza nemmeno il bisogno di vino (lui beve, almeno quella sera, acqua gassata). Dice che la Corte costituzionale è una cupola di malfattori, pronta a bocciare i referendum per espropriare il popolo, ovviamente padano. Aggiunge che, se i partiti di Roma ladrona travolti da Tangentopoli tentano il golpe, lui è già pronto. Testuale: «Il golpe? Perso per perso, la Dc lo farebbe pure. Ma non sa che c’è una signora Lega che è pronta a impedirglielo, con un blocco d’ordine.

Se tentassero il golpe, il loro generaletto glielo spazzeremmo via in tre giorni: non ci vuole niente a far venire qualche camion di armi dalla Slovenia o dalla Croazia». I cronisti prendono nota, allibiti. Due giorni dopo la sparata è su vari giornali, ma l’unico che la mette in prima pagina è Il Giornale di Montanelli, dove a quel tempo lavoravo. Bossi, assediato dagli altri partiti che gli chiedono di smentire, smentisce. Dice che è tutto un complotto di Montanelli, servo di Roma ladrona eccetera. Annuncia pure che li trascinerà in tribunale, lui e il suo cronista. Al quale Montanelli telefona per dirgli di stare tranquillo e di farsi una risata. Poi rilascia una dichiarazione ai tg in cui conferma parola per parola l’intervista di Bossi. Da quel giorno sono trascorsi 15 anni. E il Senatur c’è ricascato con i fucili. Ogni tanto – sarà la prostata – gli scappano. Le pallottole da 300 lire per raddrizzare la schiena al giudice varesino Abate, poliomielitico, reo di indagare su alcuni leghisti (1993). I 300 mila bergamaschi pronti a imbracciare le armi negli anni 80 per la secessione (1994). La violenza come unica arma per difendere l’onore del Nord (1995). La rivolta del Nord modello Bravehart (1996). L’aut aut fra referendum secessionista e guerra civile, «io comunque metto mano alla fondina» (1997). Stessa sparata, stesse parole, stesso copione, mezza smentita il giorno dopo che non smentisce nulla. Sono 15 anni che la Lega vive e si alimenta dei bluff del suo condottiero: la rivoluzione, la secessione, il Parlamento della Padania, i kalashnikov, i fucili, le pistole e soprattutto tanti pistola. In questi 15 anni tutti han fatto o cercato accordi con la Lega: da Bellachioma al centrosinistra (un anno di governo Dini insieme). Tutti ci hanno dialogato: D’Alema la definì «una costola della sinistra» (e aveva ragione: una bella fetta di elettorato leghista dei tempi d’oro veniva da sinistra) e ancora l’altro giorno Violante elogiava Maroni (che peraltro, vista la compagnia, è stato un ministro decoroso).

È cambiata la Lega? No, la Lega è sempre la stessa: l’ultimo partito leninista del secolo scorso. Sempre appresso al suo leader carismatico, pronto a seguirlo in capo al mondo, a giustificare i suoi stop and go, le sue avanzate e le sue ritirate, le discese ardite e le risalite. C’è persino chi sostiene che, con la sua violenza verbale, Bossi ha catalizzato pulsioni pericolose che, senza di lui, avrebbero davvero potuto sfociare nella violenza fisica. Chi ha visto una volta nella vita le Guardie Padane in camicia verde sa bene che altro non sono se non vecchi e tremebondi democristiani o socialdemocratici con qualche problema col fisco e qualcuno con la dentiera, che al primo «buh» scappano dalla mamma. Era quasi scontato che, nella sua fase crepuscolare, la Lega si arroccasse sulle truculenze delle origini, nel tentativo disperato di risorgere un’altra volta dalle sue ceneri. Prima di far finta di indignarsi, bisognerebbe rispondere a una domanda: vi preoccupa di più l’Umberto che ritira fuori il fuciletto a tappo, o James Bondi che dedica una lirica a Elio Vito promesso sposo? Recita il carme del vate: «Fra le tue braccia magico silenzio / Fra le tue braccia intenerito ardore / Fra le tue braccia campo di girasoli / Fra le tue braccia sole dell’allegria». Il tutto firmato dal coordinatore nazionale del partito di maggioranza relativa. Ecco, siamo molto preoccupati per Bondi. Non vorremmo stesse poco bene.

Marco Travaglio
Fonte: www.unita.it

28.08.07

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