Una notizia a dir poco inconsueta, di questi tempi in Europa. È figlia di una lotta iniziata nel 2011, quando la Unilever, proprietaria del marchio Lipton e di quello Elephant (brand molto conosciuto Oltralpe), aveva deciso di chiudere lo stabilimento francese e di trasferirsi armi e bagagli in Polonia. I dipendenti avevano però occupato la fabbrica, impedendo che i macchinari fossero smontati e che i locali fossero venduti o, peggio, abbandonati. La lotta dell’«elefantino» aveva immediatamente trovato il sostegno «militante» dei lavoratori delle fabbriche dell’area industriale di Géménos, un comune di seimila abitanti della Provenza. Si erano mobilitati in centinaia, da venticinque aziende di settori diversi, ottenendo l’appoggio del sindacato Cgt, nonché di associazioni e movimenti locali. Tutti insieme avevano partecipato a scioperi e picchetti, e avevano contribuito anche a presidiare lo stabilimento durante l’occupazione. Anche la politica era stata costretta a muoversi: prima che diventasse Presidente della Repubblica, Francois Hollande era venuto alla Fralib a promettere che, in casi estremi, la fabbrica sarebbe stata requisita dallo Stato. La battaglia dell’elefantino (gli abbiamo dedicato una copertina di Alias) è proseguita per tre anni e mezzo, tra minacce aziendali, tentativi di sgombero con contractors privati addestrati nelle guerre balcaniche e allettanti offerte economiche individuali per rompere il fronte della protesta.
La resistenza della Fralib ha fatto il giro del mondo, al punto che, alla fine di gennaio, nelle campagne provenzali sono arrivati lavoratori recuperati da tutta Europa per organizzare una rete fra loro. L’ultima arma nelle mani degli operai è stata la campagna di boicottaggio dei prodotti della Unilever, che ha preso piede in men che non si dica. Probabilmente è stata quest’ultima a convincere la multinazionale che il danno d’immagine rischiava di essere più pesante della resa a Géménos.
«Tutti ci dicevano che eravamo pazzi a scagliarci contro dei miliardari, ma la nostra follia alla fine ha pagato», ha commentato un lavoratore. Già si pensa a come ripartire. Gli operai hanno costituito una cooperativa che si chiama Thé et infuses e stretto accordi con produttori locali di erbe biologiche. Non si useranno più aromi artificiali e additivi chimici con i quali l’azienda aveva sostituito i prodotti locali naturali per risparmiare sui costi e che alla Fralib conservano ancora in un capannone, ma la produzione sarà di grande qualità: le tisane al tiglio, gli infusi alla lavanda provenzale, il mate. Gli operai ricapitalizzeranno la società investendo parte della liquidazione, mentre i soldi della Unilever serviranno a finanziare la formazione dei lavoratori e una ricerca di mercato. La multinazionale aiuterà anche la nuova società a muovere i primi passi sul mercato. È una vittoria su tutta la linea, per l’elefantino imbizzarrito della Provenza, in cui ognuno ha fatto la sua parte: la solidarietà operaia innanzitutto (estesa anche al di fuori della Fralib, come abbiamo visto), le organizzazioni che hanno aderito alla campagna di boicottaggio (in primis l’Associazione per l’autogestione che ha organizzato il meeting delle fabbriche recuperate), il sindacato Cgt e il Front de Gauche. Infine, le istituzioni: per costringere la Unilever all’accordo sono dovuti scendere in campo Hollande e il ministro del Lavoro Arnauld Montebourg.
Rimane ancora aperta la questione del logo: i lavoratori Unilever vorrebbero che l’elefantino rimanesse di loro proprietà, perché «marchio regionale tipico» e in quanto tale non delocalizzabile. Una faccenda di non poco conto, sia per la nuova impresa, che potrebbe appoggiarsi a un brand riconosciuto, che dal punto di vista giuridico: se i giudici dovessero riconsegnare l’elefantino ai lavoratori la vittoria sarebbe totale e cambierebbe lo statuto giuridico della proprietà privata nel continente. Ma l’impressione è che su questo punto i lavoratori della Fralib siano stati costretti a cedere.
Ora i «fralibiens», come vengono definiti in Francia, annunciano che a fine giugno a Géménos ci sarà una grande festa per celebrare l’inizio di una nuova storia. Poi dedicheranno una giornata alla presentazione dei nuovi prodotti. Non più «da fabbrica in lotta», come recitava il logo provvisorio che si erano inventati durante l’occupazione, ma stavolta «da fabbrica recuperata».
Angelo Mastrandrea
Fonte: www.ilmanifesto.it
16.06.2014
via senzasoste.it
tratto da il Manifesto del 16 giugno 2014