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La Redazione

 

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FRAMMENTI TORTURATI DI STORIA

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A cura di Davide
Il 15 Luglio 2006
61 Views

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DI STAN WINER

Un velo di segretezza copre i metodi di interrogatori e torture

Nell’aprile del 2004 il mondo è stato momentaneamente scioccato dalle foto trasmesse via TV della prigione irachena di Abu Ghraib che mostravano iracheni incappucciati e nudi, costretti a stare in posizioni contorte, chiaramente vittime di abusi umilianti, sotto gli occhi di soldati americani divertiti, lì accanto. La responsabilità per questi atti di tortura psicologica è stata in gran parte riversata sui ranghi inferiori ed è stata limitata al caso di Abu Ghraib. Dichiarazioni ufficiali hanno attribuito questa pratica a un collasso momentaneo della “disciplina militare”, fuorviando così ogni sospetto che l’evidenza della tortura psicologica che ci è sfilata davanti agli occhi nelle istantanee di Abu Ghraib possa essere più probabilmente il prodotto di politiche dell’intelligence di lungo periodo, progettate e messe in pratica.Lo scandalo di Abu Ghraib, in ogni caso, ha aperto una diga di notizie e fughe di informazioni sull’esistenza di un mini-gulag di prigioni che la CIA e l’Intelligence dell’esercito statunitense hanno approntato in Afghanistan su aerei cargo, in luoghi remoti come l’isola di San Diego Garcia sull’Oceano Indiano, e nelle prigioni di alleati pro-tortura.(1) Un’inchiesta ufficiale ha rivelato che l’esercito Usa ha dato il permesso speciale alla CIA di trattenere ad Abu Ghraib “detenuti fantasma” che non sono stati identificati, né registrati, incoraggiando così le violazioni nei rapporti e nel monitoraggio previsti dalla Convenzione di Ginevra.(2)

Quello che l’inchiesta ufficiale ha accuratamente evitato di dirci sono state le vere ragioni per cui si è ritenuto necessario mantenere un segreto così ossessivo. E’ tuttavia chiaro che queste strutture sono fuori da qualsiasi controllo di legge. Non sono soggette al riesame del loro funzionamento, dei metodi usati negli interrogatori, e delle condizioni generali prevalenti. In queste strutture è negato l’accesso ai rappresentanti della Croce Rossa Internazionale; nessuno sa quanti detenuti ci siano, chi siano i detenuti, da dove vengano, quale autorità si sia resa responsabile della loro cattura o arresto, chi ha condotto gli interrogatori, o se chi li ha condotti fosse autorizzato a farlo.

E’ ragionevole ipotizzare che, una volta che un prigioniero di guerra è stato catturato, l’obiettivo primo del carceriere sia quello di ottenere dal prigioniero informazioni rapide su operazioni tattiche come attacchi armati, contro attacchi o altre azioni. Infliggere dolore fisico è probabilmente il metodo più rapido per ottenere informazioni, anche se la loro validità ha spesso vita breve per via della natura mutevole delle condizioni nei campi di battaglia. A che scopo dunque il protrarsi della tortura psicologica, che al confronto produce risultati molto più lentamente e in teoria è più ‘gentile’ dei metodi fisici?

Il velo ossessivo di segretezza che circonda questi metodi lascia intendere che il personale militare stesso è in gran parte inconsapevole di come le sue azioni individuali vadano a inserirsi nel quadro generale. Altri sanno esattamente quello che stanno facendo, ma mantengono il riserbo perchè sanno anche che quello che stanno facendo è un crimine. La legge sul Segreto d’Ufficio assicura anche che le labbra rimangano ben sigillate. Un sentito bisogno di proteggere “l’interesse nazionale” si unisce alla censura per mantenere un muro di silenzio sull’argomento.

Un’eccezione di nota, tuttavia, si è verificata parecchi anni fa in Sud Africa durante il processo colossale al criminale di guerra, brigadiere Wouter Basson, uno specialista in chimica e biologia bellica dell’esercito sudafricano.(3) Il processo fornì rari squarci sugli orrori che possono e in effetti sono evidentemente occorsi in circostanze di estrema segretezza e isolamento geografico, non meno totali ed estreme di quelle che prevalgono nell’attuale gulag americano di prigioni segrete.

Le prove presentate durante il processo a Basson hanno sollevato il coperchio su alcuni strani eventi che hanno avuto luogo durante gli anni settanta e ottanta in un campo aereo, successivamente base militare, chiamato Fort Rev, che si trovava a Ondangwa in quella che un tempo era l’Africa Sud Occidentale, (ora Namibia). Fort Rev era usato da 5 Reggimenti di Ricognizione, e altri reggimenti di forze speciali, come base operativa per lanciare operazioni di contro-rivolta in Angola e in alcune aree dell’Owamboland. All’interno della base, immediatamente accanto al campo aereo, c’era un centro segreto per interrogatori e torture dove venivano fatti tentativi, non sempre fortunati, di “cambiare” o “convertire” i guerriglieri catturati in cosiddetti “pseudo operatori” che sarebbero serviti al dispiegamento di forze in operazioni altamente delicate e sotto copertura. Da qui il nome di Fort Rev, che sta per “reversal” (‘inversione’ N.d.T.). Neurofisiologi e scienziati del comportamento hanno un altro modo di definirlo: inibizione transmarginale o ITM, uno stato di collasso comportamentale indotto da stress emotivo e fisico che precede l’induzione di nuovi schemi di azione e nuove convinzioni. Affinché l’applicazione di questa tecnica, a cui a volte ci si riferisce col peggiorativo “lavaggio del cervello”, abbia successo occorrono torture psicologiche per avere il controllo totale della situazione. Gli schemi mentali esistenti possono poi essere rimpiazzati da nuovi modi di pensare e di comportarsi. Gli stessi risultati possono essere ottenuti con il trattamento psichiatrico dell’elettroshock e persino tramite un abbassamento mirato del livello di zuccheri nel sangue del paziente con iniezioni di insulina. (4)

Le operazioni sotto copertura in Namibia, sotto la tutela di incallite forze speciali che precedentemente operavano in Rhodesia, dovevano essere tenute segrete a ogni costo. Se le operazioni avessero avuto successo, pseudo gang di guerriglieri convertiti camuffati da combattenti dell’esercito di liberazione sarebbero stati re-infiltrati nei campi operativi dove a loro volta avrebbero catturato altri insorgenti. Alcuni di questi cosiddetti “obiettivi ad alto valore”, sarebbero poi stati convertiti a Fort Rev, altri sarebbero stati usati solo come fonti di informazione. Dopo essere serviti allo scopo o dopo aver resistito alla conversione, tuttavia, presentavano un enorme rischio sicurezza, perchè avrebbero comunque captato almeno qualche dettaglio sui modi e i metodi delle pseudo operazioni, e questo avrebbe potuto immediatamente compromettere la segretezza dell’intero programma. Per questo non potevano essere processati attraverso i normali canali e imprigionati in una struttura centrale da cui avrebbero potuto verificarsi fughe di informazioni verso l’esterno.

I torturatori e gli inquisitori di Fort Rev aggirarono questo piccolo problema semplicemente uccidendo quelli che erano sopravvissuti agli interrogatori. I prigionieri “sovrabbondanti” furono fatti sparire senza una traccia dopo essere stati drogati. I loro corpi furono gettati nell’Oceano Atlantico da un aereo. Ai prigionieri mandati a morire, prima di essere caricati su un aereo e gettati in mare da un’altezza di oltre 100Km, venivano iniettati potenti rilassanti muscolari che avevano l’effetto di paralizzare la vittima, lasciandola allo stesso tempo pienamente cosciente. Veniva anche usata una sostanza anestetizzante, che aveva l’effetto di provocare allucinazioni. (5)

La pratica di gettare i corpi dei prigionieri dall’aereo, in base alle prove presentate al processo a Basson, si sviluppò alla fine degli anni settanta durante operazioni congiunte tra forze speciali della Rhodesia e del Sud Africa. Un testimone che era stato legionario straniero francese e membro dell’unità rhodesiana contro la rivolta, unità nota come Selous Scouts, ha descritto come Basson iniettò veleno ai combattenti dell’esercito di liberazione catturati durante un volo sul territorio del Mozambico. Disse che poi questi prigionieri furono gettati vivi da un aeroplano nel 1979. Le vittime erano 5 guerriglieri che si pensa fossero appartenuti all’Esercito di Liberazione Nazionale Africana dello Zimbabwe (ELNAZ). Secondo il testimone, la cui identità non fu svelata per ragioni di sicurezza, prima che quegli uomini inconsapevolmente avvelenati fossero gettati dall’aeroplano, venivano camuffati con delle uniformi e venivano forniti di armi e documenti falsi. Poi venivano spruzzati con una polvere sconosciuta, che riteneva fosse stato un veleno o un qualche agente chimico letale. Il testimone affermò che secondo lui questo agente aveva lo scopo di contaminare altri ribelli o simpatizzanti che si fossero imbattuti in quei cadaveri.

Il modus operandi dei Selous Scouts fu esemplificato in un altro incidente del Febbraio 1980, quando la campagna politica per le prime elezioni libere in Zimbabwe-Rhodesia raggiunse un climax. Parecchie chiese divennero l’obiettivo delle bombe dei terroristi. Una campagna stampa ben orchestrata attribuì immediatamente i bombardamenti agli “atei comunisti”, in apparenza un riferimento al movimento di liberazione nazionale. Poi, in quella che si rivelò essere l’ultima di una serie di attentati, qualcuno saltò in aria quando la bomba che stava piazzando esplose prematuramente. I documenti trovati sul cadavere lo identificarono come un membro pluridecorato dei Selous Scouts. I rhodesiani sono anche sospettati di aver usato pseudo operatori per uccidere più di 30 missionari in distretti remoti, stazioni dove molti combattenti per la liberazione erano stati educati. Gli omicidi furono falsamente attribuiti al movimento di liberazione. Ma il vescovo cattolico Donald Lamont, prima di essere messo in prigione per un anno, privato della cittadinanza rhodesiana e infine espulso dal paese, non aveva dubbi su chi fosse realmente responsabile per quelle uccisioni. “Se l’obiettivo dei guerriglieri fosse stato quello di uccidere i missionari, nessuno di noi sarebbe rimasto in vita.”(6)

I rhodesiani hanno una vasta esperienza nella dottrina di contro rivolta che risale al 1956, quando le forze del Commonwealth in Malaya avevano incluso i Rhodesian African Rifles e i rhodesiani avevano persino creato le proprie “pseudo gang” seguendo la linea della strategia britannica di contro-rivolta adottata negli anni ’50 durante l’insurrezione dei Mau Mau in Kenya. Gli americani, da parte loro, in seguito adottarono la propria versione di questa dottrina in Vietnam.(7)

Questi metodi avevano una sorprendente somiglianza con le idee dell’Organizzazione dell’Armata Segreta (OAS) che operò in Algeria alla fine degli anni ‘50. L’OAS era formata da ufficiali di destra dell’esercito francese amareggiati e algerini fanatici di origine europea che cercavano di lasciare l’Algeria sotto il controllo coloniale francese. Nei loro ranghi c’erano specialisti sotto copertura che lavoravano per il 5° Bureau dell’esercito francese (azione psicologica), ufficiali al comando della legione straniera francese e truppe paramilitari algerine. I guerriglieri comunisti, secondo loro, non avevano l’obiettivo di far propri territori strategici come nelle azioni di guerra tradizionali, ma di creare un campo di battaglia esteso che includesse tutti gli aspetti della società civile, e in particolar modo le sfere ideologiche e psicologiche. Avendo “identificato” le tecniche del nemico, I fautori del “contro-terrorismo” cercavano di neutralizzarlo, adottando i “suoi stessi” metodi e rivoltandoglieli contro. Da qui il costituirsi di un insieme di tecniche psicologiche, sofisticato e senza regole. Lo scopo era quello di creare un clima di tensione, ansia e insicurezza, per condizionare le masse ad accettare l’autorità dello Stato, alienandole allo stesso tempo dal movimento di liberazione dell’Algeria.(8)

Il collasso dell’OAS arrivò dopo il 1958, all’indomani di una rivolta militare fallita ad Algeri e dopo una “sommossa generale” nell’aprile del 1961 che fece cadere il governo francese e minacciò la sopravvivenza politica di quello successivo, la Quinta Repubblica. Avendo mancato di assicurare la “rigenerazione morale” della Francia, molti dei suoi membri furono costretti a fuggire all’estero, principalmente in Argentina e anche il Portogallo dove Lisbona divenne il loro centro strategico, con l’incoraggiamento ufficiale della polizia segreta portoghese. In cambio dell’asilo e altri incentivi, aiutarono ad addestrare contro-insorgenti stranieri e unità di polizia parallele che formarono l’embrione del futuro gruppo “contro-terrorista” diffusosi a livello mondiale sotto la tutela dei fuggitivi dell’OAS. (9)

Nel 1984 un veterano francese della campagna in Indocina e molte campagne in Africa, il noto Bob Denard, aveva il controllo virtuale, insieme a una banda di mercenari francesi, delle isole Comoros. Le Comoros divennero rapidamente una postazione segreta per convogliare armi dal Sud Africa ai ribelli del movimento Renamo in Mozambico. In Sud Africa, a Itsandra sull’isola di Grande Comore, Denard fece anche costruire e rese operativo un sofisticato impianto elettronico di intercettazione. Da qui Pretoria poteva monitorare sia i movimenti marittimi nel Canale del Mozambico che le comunicazioni radio dell’ANC nella vicina Tanzania. (10)

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Da Lisbona alcuni ex membri dell’OAS tramavano per destabilizzare e distruggere i movimenti di liberazione nazionale africani e i loro exploit galvanizzarono gli estremisti di destra. Un rapporto internazionale scritto da un ex membro dell’OAS fu intercettato a metà degli anni settanta da ufficiali di sinistra del Movimento delle Forze Armate di Lisbona. Il documento intercettato e mostrato ai giornalisti riportava senza mezzi termini una “strategia della tensione” che avrebbe “agito sull’opinione pubblica e promosso il caos in modo da far sollevare in seguito un muro di difesa dei cittadini contro la disintegrazione provocata dalla sovversione e dal terrorismo”. Per usare le parole di un veterano della guerra fredda: “Quando tieni le masse per le palle, i loro cuori e le loro menti gli andranno dietro.”

Nel 1994, queste stesse idee trovarono riscontro nella corsa alle prime elezioni democratiche in Sud Africa. Il precedente regime di apartheid, poi parte di un governo transitorio, riuscì a convincere molti dei votanti neri, proclamando che “i leader neri avevano fallito nel contenere le continue violenze” che i politici bianchi biasimavano e attribuivano alle “rivoltose fazioni nere”. Gli uomini armati coinvolti in molte delle sommosse violente che ebbero luogo in quel periodo usavano fucili sovietici AK-47 e pistole Makarov per dare l’impressione che i responsabili fossero i “terroristi” del movimento di liberazione, e i rapporti della polizia accusavano sempre l’ANC.

Come in seguito alcuni candidati all’amnistia avrebbero confessato alla Commissione per la Verità in Sud Africa, la polizia sudafricana rigirava le entrate monetarie da imposte a un’unità segreta strategica guidata dalla polizia stessa, chiamata Stratcom. Il suo ex Presidente, Vic McPherson, svelò alla Commissione per la Verità che più di 40 agenti della polizia sotto copertura, informatori pagati, “fonti” involontarie e “amici” giornalisti presenti nei principali canali mediatici sudafricani avevano partecipato al progetto di Stratcom verso la fine degli anni ‘80. Secondo l’ex comandante dello squadrone della morte, colonnello Eugene de Kock, che al momento sta scontando una condanna all’ergastolo per pluriomicidio, le sue attività per Stratcom durante gli anni ’80 includevano attacchi violenti sui bianchi da parte di combattenti per la liberazione “convertiti”, attentati che poi venivano falsamente attribuiti dalla stampa agli attivisti di sinistra. L’intenzione era quella di manipolare l’opinione pubblica sudafricana e portarla alla convinzione che solo i membri del precedente regime, se restaurato, avrebbero potuto difendere le masse dal caos, l’anarchia e il terrorismo.(11)

In assenza di una tecnologia digitale video simile a quella delle immagini di Abu Ghraib, si può solo speculare sulla portata del lavaggio del cervello o della “conversione” di prigionieri, praticate per molti anni in Sud Africa, o durante i combattimenti di Algeri degli anni ‘50, o durante la soppressione da parte degli inglesi dei movimenti di indipendenza in Kenya e Malaya negli anni ‘60, o ancora durante la guerra sporca in Argentina, i conflitti in Irlanda del Nord tra gli anni ’70 e gli ’80, e innumerevoli altri conflitti regionali. Qualsiasi cosa sia successa allora, e qualsiasi siano le vere attività che in questo momento hanno luogo nel gulag americano, resta certo il fatto che l’estrema segretezza fornisce un terreno ideale per l’applicazione di tecniche di tortura psicologica che mirano a “convertire” i prigionieri di guerra in pseudo operatori.

Rimangono una diffusa ignoranza pubblica e il fatto di evitare in modo studiato questo inquietante argomento. Poche persone sono state in grado di mettere insieme i frammenti di storia per avere un quadro più ampio. Altre semplicemente non vogliono sapere. La pratica della tortura psicologica, mai pienamente riconosciuta, persiste ancora all’interno dei servizi segreti come prodotto di strategie di intelligence che sono state probabilmente pratica comune per almeno mezzo secolo o anche più. Abu Ghraib potrebbe essere solo la punta di un iceberg.

Stan Winer, giornalista che lavora in Sud Africa, è autore del libro “Between the Lies: Rise of the media-military-industrial complex, London: Southern Universities Press, 2004”. Versione PDF scaricabile gratuitamente da http://www.coldtype.net/archives.html )

Note e riferimenti:

(1) Per una lista dei luoghi di detenzione USA vedere http://www.humanrightsfirst.org/media/2004_alerts/0617.htm

(2) Per molti anni i servizi segreti israeliani spinsero questa pratica in avanti creando una vera e propria “prigione fantasma” per detenuti politici. Il nome in codice era Facility 1391. Questa prigione segreta riservata ai “casi speciali” è stata operativa in Israele per molti anni all’interno delle mura di una base armata segreta, lontana dagli occhi della stampa e del pubblico e senza essere stata dichiarata una struttura detentiva, come prevede lo statuto. Vedere http://www.icj-sweden.org/Facility1391.pdf

(3) Il record completo del processo a Wouter Basson è disponibile all’indirizzo http://ccrweb.ccr.uct.ac.za/archive/cbw/cbw_index.html

(4) La tecnica fu scoperta dallo scienziato russo Ivan Pavlov (vedere la bibliografia di seguito) che identificò l’ITM all’inizio del 1900. Si dice che il suo lavoro con gli animali aprì la via a ulteriori studi sugli umani. I modi per raggiungere la conversione attraverso l’ITM sono vari, ma il primo passo, comune a tutti nel lavaggio del cervello, è lavorare sulle emozioni di un individuo o di un gruppo finché non si raggiunge un livello anomalo di rabbia, paura, eccitazione o tensione nervosa. Il risultato progressivo di questa condizione mentale porta all’impedimento del giudizio e all’aumento della suggestionabilità. Più questa condizione può essere mantenuta o intensificata, più degenera, portando a una conversione totale del comportamento.

(5) Record del processo a Basson

(6) David Martin & Phyllis Johnson, The Struggle for Zimbabwe, London: Faber 1981, p.283 Martin and Johnson)

(7) Sulle pseudo-gang della Rhodesia vedere: Martin & Johnson, op. cit., pp.110-11; Ken Flower, Serving Secretly: An intelligence chief on record, London: John Murray 1987, pp.114-5. Sui rhodesiani in Malaya vedere Christopher Owen, The Rhodesian African Rifles, London: Leo Cooper, 1970. Sulle origini delle “pseudo gang” in Kenya vedere Frank Kitson, Gangs and Counter-gangs, London: Barrie and Rockliff, 1960. Sulla dottrina della contro rivolta britannica vedere Frank Kitson, Low Intensity Operations: Subversion, Insurgency and Peacekeeping, London: Faber, 1971. Sul Vietnam vedere Larry Cable, Conflict of Myths: The Development of American Counter-Insurgency Doctrine and the Vietnam War, New York: New York University Press 1986, p.82

(8) Interviste condotte dall’autore con ufficiali del Movimento delle Forze Armate (MFA) a Lisbona dopo il colpo militare socialista in Portogallo del 1975. Molti documenti incriminanti, visionati dall’autore, furono sequestrati dall’MFA ai fuggitivi OAS che operavano a Lisbona.

(9) Ibid.

(10) Vedere D Kendo, “Comores: L’Ordre Mercenaire”, Jeune Afrique, nos 1511/1512, December 1989; Economist Intelligence Unit (EIU), Madagascar, Comoros, Country Profile, 1989-90, London 1990, pp 32-36; EIU, Madagascar, Mauritius, Seychelles, Comoros: Country Report No. 1, London 1990.
(11) Sembra che questa strategia sia stata ripresa tre anni fa quando 22 cospiratori sovversivi sudafricani, inclusi tre ufficiali veterani, tramavano per formare un esercito ribelle di circa 4500 persone per rovesciare il governo sudafricano e rimpiazzarlo con un regime militare guidato interamente da supremazie bianche. I cospiratori, attualmente sotto processo per omicidio, tradimento e terrorismo, pianificarono di scatenare il caos nel paese per coprire i movimenti dell’esercito ribelle mentre uno squadrone della morte di 50 uomini avrebbe eliminato i “traditori” e fatto ricadere le azioni sui neri. L’esercito ribelle, per “ristabilire l’ordine”, avrebbero escogitato un blackout di 10 giorni che avrebbe portato alla chiusura degli aeroporti e alla possibilità di impossessarsi dei depositi di armi e dei veicoli armati. L’ultimo stadio sarebbe stata l’inaugurazione di un governo militare di destra.

Bibliografia

Eysenck HJ The biological basis of personality, Springfield, IL: Thomas, (1967)

Pavlov, IP Lectures on Conditional Reflexes: The higher nervous activity (Behaviour) of animals, London: Lawrence & Wishart, 1928

Sargant, W The Battle for the Mind, London: Wm Heinemann, 1957

Fonte: http://www.globalresearch.ca
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10.06.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di S.P.

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