DI ALEJANDRO NADAL
La Jornada
Nuove parole vanno e vengono. Alcune sono trovate banali che dopo essere passate di moda, cadono rapidamente nel dimenticatoio, ma c’è un termine che sarà difficile dimenticare: fracking. Sfortunatamente non porta buone notizie.
Molti ingegneri e specialisti in materia di energia sanno già da molto tempo che una gran quantità di gas naturali è intrappolata tra le lamine o strati degli scisti, rocce che risalgono al periodo devoniano (dai 400 ai 360 milioni di anni fa).
A differenza dei giacimenti tradizionali nei quali il gas si concentra in sacche più o meno semplici da sfruttare, il gas di scisto si trova disperso in lungo e in largo nello spazio tra le foglie o lamine di queste rocce. Il problema è permettere il passaggio delle piccole bolle di gas intrappolate tra le lamine al fine di poterlo estrarre.
La tecnologia utilizzata per estrarre il gas è denominata fratturazione idraulica e consiste nel rompere la roccia per permettere il passaggio del gas fino al punto in cui può essere immagazzinato. L’estrazione degli idrocarburi non convenzionali combina tre tecnologie. Primo, la perforazione direzionale che utilizza dei sistemi per introdursi lateralmente negli scisti situati a due o tre chilometri di profondità. Soltanto la perforazione direzionale permette di accedere agli spazi tra le lamine per preparare l’estrazione.
Secondo, la disponibilità di una grande quantità di esplosivo e la capacità di pompaggio per iniettare enormi volumi di liquidi ad altissima pressione in modo da fratturare la roccia. Uno dei materiali iniettati è la sabbia perché i suoi granelli mantengono aperte le fratture permettendo la fuoriuscita del gas. Il volume dell’acqua necessario per ogni pozzo varia dagli 8 ai 30 milioni di litri, in base alla conformazione geologica. La pressione richiesta può raggiungere 10 mila libbre per pollice quadrato. [Nel SI una libbra equivale a 453,59237 g, mentre un pollice quadrato a 6,4516 cm². N.d.T.].
La terza tecnologia è un sistema utilizzato per lubrificare il liquido impiegato nella fratturazione idraulica. Poiché era necessario ridurre l’attrito dell’acqua per poterla iniettare a grandi volumi e forte pressione lungo condotti che percorrono grandi distanze, è stato indispensabile trovare i migliori lubrificanti di liquidi, così come gli inibitori di corrosione, gli stabilizzatori e le sostanze letali per i microbi. Alcune di queste sostanze sono dei noti agenti cancerogeni. La lista di sostanze è lunga e questo lascerebbe supporre migrazioni e combinazioni chimiche di maggiore tossicità.
Il problema non finisce qui. Sebbene la maggior parte di queste sostanze sia recuperata (e si suppone riutilizzata), una volta terminata la perforazione ed estratto il gas, si presenta il problema del retroflusso del materiale iniettato che torna in superficie sottoforma di idrocarburi liquidi come il toluene, lo xilene e l’etilbenzene. Tutte sostanze che sollevano un serio rischio per le falde acquifere situate sopra gli strati di scisti.
Negli Stati Uniti la quantità di gas di scisto è stata presentata da Obama come una riserva di energia equivalente al petrolio di cui dispone l’Arabia Saudita e che assicurerebbe l’indipendenza energetica degli Stati Uniti per cento anni. Inoltre, alle lobby dell’industria degli idrocarburi piace dire che questa risorsa ridurrà le emissioni di gas serra.
Lo sfruttamento su scala commerciale dei gas di scisto negli Stati Uniti comporta rischi inaccettabili per l’ambiente e la salute. La contaminazione delle falde acquifere causata dal fracking è già una realtà in molte regioni degli Stati Uniti. È importante valutare l’effetto cumulativo del fracking, soprattutto tenendo conto che servono centinaia di migliaia di pozzi per sviluppare un giacimento (si calcola che sono necessari più di 200 mila pozzi nello stato di Pennsylvania per estrarre il gas di scisto dalla formazione Marcellus presente nel suo territorio).
Forse la cosa più importante è che il gas naturale prodotto per mezzo del fracking aggrava il problema del cambiamento climatico. In primo luogo perché durante il ciclo di estrazione si liberano grandi quantità di metano. Il gas di scisto allo stato primordiale è metano, un gas serra molto più potente del CO2. Le perdite di metano durante le fasi di estrazione, trasporto e distribuzione sono significative. Questo dato dovrebbe già di per sé indurre a una maggiore cautela. In secondo luogo, il fracking renderà più lento, se non addirittura impossibile, il passaggio verso le fonti di energia rinnovabili consolidando un modello energetico basato sui combustibili fossili.
Il gas di scisto esiste in molti paesi del mondo ed è già in atto una corsa all’estrazione. Immettere nell’atmosfera il CO2 contenuto in questi depositi di gas durante i prossimi decenni porterà a un cambiamento climatico ancora più brusco. La temperatura globale non riuscirà a mantenersi nei parametri considerati ragionevoli. Proprio mentre termina la conferenza di Doha sul cambiamento climatico (COP18), è importante prendere coscienza del fatto che il fracking sarebbe il colpo di grazia per le speranze di invertire rotta sul tema del cambiamento climatico. È indispensabile un cambiamento radicale nelle politiche energetiche per lasciare questa risorsa nel sottosuolo.
Alejandro Nadal (membro del Consiglio Editoriale di SinPermiso)
Fonte: www.jornada.unam.mx
Link: http://www.jornada.unam.mx/2012/11/28/opinion/028a1eco
28.11.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SILVIA SOCCIO