DI HS
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Non prestate eccessivo tempo ed orecchio agli ingenui pacifisti. Raschiando fino al fondo del barile il mondo dell’uomo e la sua storia sono costantemente contrassegnate dall’estenuante e hobbesiana guerra di tutti contro tutti a prescindere dalle pretese di ogni Leviatano, sia esso democratico, totalitario o tirannico; aristocratico, oligarchico o tecnocratico; gerontocratico, plutocratico o cleptocratico.
L’esperienza si incarica quotidianamente di smentirci sulla inesauribile bontà umana e, per chissà quale invisibile forza, siamo un po’ tutti costretti a indossare una divisa e a munirci di un solido elmetto per prepararci ai conflitti più disparati. Forse non ha tutti i torti lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger quando discetta sulla civiltà che scivola verso il baratro delle piccole “guerre civili” condotte in maniera artistica ed individualistica come per una sorta di legge dell’entropia. Forse, semplicemente, la guerra alberga nel nostro ‘cuore di tenebra’…A seconda dei contesti e delle situazioni mutano gli strumenti adoperati per lottare: penna, nude mani o armi da fuoco… L’uomo insiste ad essere lupo all’altro uomo…
Se l’essenza dell’umano mondo conserva il suo carattere segretamente bellico, belluino e maschile, l’autentica libertà consiste nel sapersi cucire addosso le proprie divise senza che Tizio, Caio e Sempronio ci dicano quali siano le guerre per cui valga la pena combattere.
Dovremmo essere noi, in base alla nostra cultura, le nostre letture e le nostre esperienze, a decidere il fronte da occupare e la postazione da tenere. Non è, però, molto semplice coltivare questa sofferta libertà e conservare conseguentemente la propria autonomia di giudizio se si è costantemente insidiati dal frastuono di mass media che fanno da cassa di risonanza alle voci sempre più fastidiose degli dèi minori.
Parafrasando Sciascia il mondo si divide in diverse categorie… Mezzi uomini, ominicchi, quaquaraqua, i piglinculo, ovvero i “cornuti e contenti”… Ci stanno – strano a dirsi – gli uomini, coloro che si faticano ad osservare quel che accade e ad agire, modestamente, consequenzialmente. Come ci ricordava il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò, non è infrequente incontrare i caporali, quelli che, grazie alla modesta posizione di comando che occupano, rendono la vita difficile agli uomini per questa loro congenita e inguaribile inettitudine e tracotanza.
Invece gli imperatori – i signori danarosi – quelli sì che fanno girare il mondo. Basta che un Marchionne, un Montezemolo, una Marcegaglia, un Berlusconi, un De Benedetti, un Moratti, un Ligresti o un Caltagirone – per limitarci ai bei nomi del Belpaese – faccia chiudere i rubinetti a farci piangere miseria.
Lo aveva fatto giustamente presente il buon Giulianone Ferrara ai mediocrissimi cortigiani del Cavaliere: “Serrate i ranghi altrimenti non ci sarà più trippa per i gatti”.
Non saranno imperatori, ma gli dèi minori godono di grande stima, affetto, adorazione e amore incondizionato. Si tratta di quei politici e politicanti, conduttori di talk show, grandi penne del giornalismo, opinion makers, esperti di vario genere e natura, tuttologi, ecc… che devono la loro notorietà quasi esclusivamente al tubo catodico, agli invadenti meccanismi pubblicitari e ai maggiori mass media e, giorno dopo giorno, si fanno sempre più narcisi, insofferenti, vanitosi e prepotenti.
Non chiedono il semplice ascolto e l’attenzione che si deve alle loro argomentazioni, ma cercano l’applauso sconsiderato di un pubblico compiacente e compiaciuto. Accanto al denaro, nella società dei mass media, dello spettacolo, dell’immagine, del divertimento e dell’intrattenimento l’applauso si impone come una tirannia assolutamente inedita. E le tirannie – mie cari signori – o le ami o le odi… Da qui la demonizzazione quasi inevitabile degli dèi minori.
Se l’applauso reca il segno di un nuovo tipo di rapporto antidemocratico, la libertà ne è compromessa. Quella libertà che è sola condizione perché noi si possa scegliere per quale guerra poter veramente indossare le nostre divise. Invece… guerre, divise, elmetti, armi e campi di battaglia diventano appannaggio degli dèi minori che, indiscutibilmente, si impongono sul loro pubblico. I Santoro, i Travaglio, i Grillo, i Ferrara, i Feltri, i Belpietro, gli Sgarbi, ecc…, nella loro varietà e nella loro umanità, sono altrettanti esemplari di questa strana razza umana.
A vario titolo parteggiano per gli imperatori anche se, magari, reputano di essere indipendenti e autonomi, gradevoli e celebrati solisti del verbo. Invece la pagnotta, sostanziosa e appetitosa, devi pur portarla a casa…
Non dovrebbe essere un mistero che oggi le guerre dei nostrani imperatori si combattono sul piano finanziario ed editoriale. Non ha tutti i torti chi ritiene che la storia di almeno venticinque anni di Repubblica italiana sia stata segnata dal conflitto soft e non dichiarato tra i colossi editoriali e mediatici riconducibili a Silvio Berlusconi e a Carlo De Benedetti, con l’aggiunta, magari, del terzo e ingombrante incomodo, la RCS – Corriere della Sera, megafono delle élite imprenditoriali e finanziarie del paese.
Di vero conflitto si tratta? Non di quelli che ci aspetteremmo e, comunque, spesso gli dèi minori simulano un atteggiamento aggressivo e bellicoso… C’è sempre qualche padrone su cui fare affidamento…
Essere liberi oggi, significa rifiutare le casacche altrui…
Essere liberi oggi vuol dire far funzionare finalmente la propria testa e rimettere in circolo i propri pensieri…
Anche quelli che fanno male…
Pare che il maggiore degli dèi minori – Roberto Saviano -, assieme ad un buon gruppo di amici e collaboratori, si sia preso la briga di somministrare massicce dosi di narrazione omeopatica al Belpaese declinante ma sempre festante.
E’ il racconto dell’Italia diversa, dell’altra Italia, antiberlusconiana, antileghista, antirazzista, antimafiosa e anticamorrista come piace agli attuali ‘oppositori’ istituzionali dell’odierna maggioranza di governo, i vari Fini, Casini, Bersani, Rutelli, Di Pietro, Vendola, ecc… La tracciatura di una linea di demarcazione apparentemente chiara e netta – ma anche parecchio ambigua – fra ‘buoni’ e ‘cattivi’.
L’esposizione consolatoria, compiaciuta, autoassolutoria e retorica di un paese che, a conti fatti, non corrisponde a quello reale. L’osmosi fra i corpi sociali e gli inestricabili intrecci delle relazioni umane ci indicano che, se il berlusconismo si è imposto come egemonia culturale ed esperimento antropologico di successo, allora a vari livelli, pochi possono ritenersi immuni.
Ovviamente non siamo tutti uguali e, al di là dei giudizi sull’imperante berlusconismo mediatico, l’Italia è per molti aspetti un paese frammentato, lacerato e diviso. Una delle linee di frattura, a mio avviso, passa fra gli dèi minori imposti dai grandi apparati massmediatici e gli ‘altri’, i comuni mortali, gli uomini… In una semplice e definitiva parola gli invisibili…
Se agli invisibili viene concesso un piccolo spazio di visibilità negli show e negli spettacoli allestiti dagli dèi minori e sovvenzionati dall’imperatore di turno è solo per garantire gli scroscianti ed ossequiosi enti applausi, mentre chi può godere del piccolo privilegio di poter parlare per una manciata di minuti deve rispettare un copione già scritto.
Se per Warhol nelle società dello spettacolo e dei mass media quindici minuti di celebrità non si negano a nessuno, nulla si più ritenere più effimero dell’illusione del successo che ogni tanto coglie qualche ‘invisibile’.
La scena viene letteralmente rubata dagli dèi minori che schiamazzano, strepitano, si ingiuriano e si spintonano. Ma poi, si sa, prevale l’abbraccio e la stretta di mano ipocrita… Gli dèi minori dialogano, si parlano e si capiscono meglio di quanto avremmo potuto sospettare.
Fra dèi minori ci si intende…
Qualche giorno fa dalle colonne de il “Fatto Quotidiano” il buon Oliviero Beha ha indirizzato una bella lettera critica, cordiale e misurata a Saviano invitandolo a riflettere sulla recente ‘mediatizzazione’ del suo personaggio.
Nella sostanza del contenuto, con toni più pacati ma non meno riflessivi, l’intervento di Beha riprendeva quel che altri hanno espresso in termini decisamente meno eleganti. Qualcosa negli ingranaggi del giocattolo ideato dalla premiata ditta Fabio Fazio & C. – accorto e sapiente nell’uso del mezzo televisivo come solo i liguri sembrano esserlo, vedi i vari Ricci, Freccero, Sanguineti, ecc… tutti curiosamente savonesi – si deve essere guastato e il muro di inviolabilità costruito attorno al giovane autore di “Gomorra” dalla quasi totalità del mondo dell’intellighenzia e del giornalismo italiano dà qualche segno di cedimento. Il maggiore degli dèi minori è un po’ meno dio e un po’ più uomo per ragioni che, ad esporle, si comprendono assai facilmente.
Mettiamo da parte la vicenda del povero Vittorio “Vik” Arrigoni e anche quella delle avventate asserzioni sul filosofo Benedetto Croce, per concentrarci su un altro versante.
Nell’ottobre dello scorso anno – alla vigilia della programmazione del caso televisivo dell’anno “Vieni via con me” – è capitato quello che, con un eufemismo, possiamo definire un ‘incidente’. Nel generale silenzio della stampa e dei media ufficiali il Centro di documentazione Giuseppe Impastato – dedicato all’illustre vittima della mafia, animatore di Radio Aut e militante di Democrazia Proletaria che osò denunciare i crimini e gli abusi della mafia di Cinisi retta dal potente boss Gaetano Badalamenti – ravvisò come nella nuova fatica di Saviano , “La parola contro la camorra”, fosse descritta una versione falsata e travisata dei fatti – processuali e non – che condussero alla condanna penale del boss di Cinisi come mandante dell’assassinio.
In sostanza si sopravvalutava in maniera oltremodo eccessiva il ruolo della pellicola del regista Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, mentre venivano ignorati i contributi degli inquirenti, della Commissione Parlamentare Antimafia e dello stesso Centro di Documentazione.
Per correre ai ripari, il Centro chiedeva a Saviano di apportare le dovute rettifiche al capitolo su Peppino Impastato. Una vicenda che, considerato il comune ed esibito impegno sul fronte della lotta alle mafie, avrebbe dovuto concludersi amichevolmente, con una stretta di mano come si usava fare fra galantuomini e con il riconoscimento e l’accoglimento delle richieste avanzate.
Invece, quasi a tener fede al nuovo, intoccabile ruolo di star del firmamento culturale e mediatico, Saviano si guardò bene dal rispondere. Atteggiamento degno di un dio minore abituato all’adulazione degli stuoli di “credenti”. Non solo…
Nella circostanza l’imperatore di turno non è rimasto a guardare… La casa editrice che ha pubblicato “La parola contro la camorra”, la berlusconiana Einaudi, ha minacciato di sporgere querela contro il Centro di Documentazione Giuseppe Impastato.
Questo comportamento – indegno agli occhi di chi ritiene che la civiltà debba passare soprattutto attraverso un leale e rispettoso confronto – ha giustamente generato l’ira del presidente del Centro, Santini, e di Giovanni Impastato, il fratello di Peppino.
Una controversia veramente imbarazzante e volutamente ignorata dalla schiera di infatuati, dispensatori di elogi e da chi, in tutta evidenza, ha preferito non disturbare gli allori dell’icona per concentrarsi su altri fronti più convenienti. A prendere le difese del Centro interveniva Paolo Persichetti di “Liberazione” guadagnandosi la recente querela da parte del giovane scrittore campano.
Da qualche tempo parte della sinistra – sinistra – e in particolare Manifestolibri e il quotidiano di Rifondazione “Liberazione” – si è impegnata in una battaglia di carattere politico e culturale per demolire il mito Saviano verso il quale buona parte dei ceti progressisti del paese manifesta una inguaribile venerazione.
In particolare, il professor Dal Lago – collaboratore de il “Manifesto” – ha destrutturato e smontato il Saviano – personaggio e il Saviano – scrittore attraverso la lucida e argomentata analisi estetica, sociologica e contenutistica di “Gomorra”.
Le reazioni verso il suo “Eroi di carta” sono state vieppiù scomposte, sgarbate, stizzite ed evasive. Chi tocca i fili, muore o, almeno rischia di morire, cioè di rinunciare alla propria integrità intellettuale. Il saggio di Dal Lago avrebbe comunque meritato ben altra attenzione…
ulla scia delle argomentazioni del professor Dal Lago, le stroncature contenute negli articoli di Persichetti sono, in un certo senso, ancor più stringenti. Oltre a denunciare la presunta mediocrità di Saviano, egli scorge una connotazione legalitaria e ‘giustizialista’ da ricondurre alla cultura di destra, manichea, intollerante, sostanzialmente incapace e non attrezzata per analizzare in maniera seria, scientifica e approfondita i mali sociali e le cause delle ingiustizie.
In sostanza, un santino da offrire alla destra emergente del partito finiano.
Personalmente non condivido tutte le argomentazioni del giornalista di “Liberazione”. Alcuni toni mi sembrano francamente eccessivi e una certa foga, intellettualmente inquisitoria, ha un sapore vagamente staliniano al mio palato. Saviano non è certo obbligato a schierarsi a destra o a sinistra e dovrebbe, invece, sentire il bisogno quasi naturale di coltivare l’onestà e l’integrità intellettuale che, notoriamente, non si acquisisce per il solo fatto di dichiarare la propria appartenenza ‘ideologica’.
I lettori e gli spettatori dovrebbero sentirsi liberi di esprimere giudizi ragionati e soppesati senza il fiato sul collo e l’obbligo di beatificare o demonizzare chicchessia.
Per quel che riguarda l’impostazione legalitaria della recente opera di Saviano, bisogna ammettere che una prospettiva esclusivamente ‘giustizialista’ è condannata a rimanere confinata in ambiti angusti e ristretti e ad impedire analisi più accurate delle dinamiche sociali.
Certe pulsioni forcaiole sicuramente diffuse nel Belpaese sono senz’altro da condannare senza appello. Non dovrebbe essere taciuto, tuttavia, che il cosiddetto ‘garantismo’ italiano ha generalmente un carattere ipocrita e peloso. I presunti ‘garantisti’ hanno esibito la loro sensibilità tutta personale verso i problemi della giustizia solamente quando sono cominciate a scattare le manette per loro o per le categorie sociali alle quali appartenevano e appartengono.
Inoltre Persichetti sa benissimo che i compagni dell’ultrasinistra sono diventati ‘garantisti’ quando le carceri cominciavano ad essere riempite di militanti della loro parte politica. Meglio sarebbe poi sorvolare sulla ‘giustizia proletaria’, quella ‘giustizia di classe’ che non aveva certo molto rispetto per i formalismi della legge.
Dulcis in fundo non mancano i ‘giani bifronte’, depositari di una coerenza autenticamente berlusconiana, ‘garantisti’ nei confronti dei potenti e degli abbienti e ‘forcaioli’ verso i piccoli delinquenti, gli immigrati clandestini, i teppistelli e i giovani intemperanti.
Detto questo, nulla di quanto è stato scritto da Persichetti su Saviano può essere seriamente considerato diffamatorio. In una parte della sinistra si è deciso di intraprendere una certa battaglia intellettuale che, condivisibile o meno, si giova di argomentazioni e concetti che appartengono a determinate scuole ideologiche e sociologiche.
Il clima che si è instaurato recentemente – con il deterioramento dei rapporti fra Saviano e i proprietari della casa editrice Mondadori – rende senz’altro più agevole l’aperta manifestazione di posizioni critiche che fino a qualche tempo fa sarebbero stare sommerse dal coro degli insulti e dalle accuse di fare oggettivamente il gioco della mafia e della camorra.
Queste voci difficilmente possono essere confuse con i volgari, insultanti e gratuiti attacchi di Berlusconi, Fede e degli altri cultori del Bunga Bunga. Sporgendo querela, indirettamente Saviano corrobora e rafforza le tesi di Dal Lago e le critiche di Persichetti…
Invitato a scendere sul campo della contesa intellettuale, Saviano non rifiuta di combattere… Semplicemente sceglie altre armi e delega altri a risolvere questo conflitto. Una battaglia che dal campo intellettuale e culturale si sposta repentinamente – ma non inaspettatamente – in quello giudiziale. E non è proprio questa l’essenza della più ficcante critica che si muoveva alla giovane star della pop cultura ? Se poi si reputa che ogni osservazione mossa all’autore di “Gomorra” debba essere ricondotta alla formidabile ‘macchina del fango’ berlusconiana, Saviano dovrebbe portare prove concrete del coinvolgimento dei citati esponenti della sinistra – sinistra…
A ben guardare Vittorio “Vik” Arrigoni, la nipote di Benedetto Croce, gli amici e i familiari di Peppino Impastato, il professor Alessandro Dal Lago, Paolo Persichetti, ecc… sono tutti, semplicemente, uomini, invisibili o seminvisibili…
Invece fra gli dèi minori ci si intende… E ci si intende bene…
Sono universalmente note le tempestose e travagliate vicissitudini che hanno accompagnato la preparazione del caso televisivo dell’anno ideato e realizzato dal binomio ‘perfetto’ Saviano – Fazio. Difficilmente il formidabile racconto dell’”altra Italia”, la quale fino a ieri – almeno per buoni due terzi – era o berlusconiana o tollerante di fronte alle intemperanze del Cavaliere, non poteva riscuotere il gradimento degli allora editori delle opere di Saviano, ovvero Berlusconi e famiglia.
Da qualche tempo il ragazzaccio aveva preso un atteggiamento impertinente, perfettamente consono a quello del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, nel frattempo, aveva deciso di farsi spina nel fianco del Presidente del Consiglio. I tempi mutano e il Cavaliere attraversa le stagioni del suo declino…
Dalle colonne dell’odiato foglio del nemico di sempre – l’ingegnere Carlo De Benedetti – Saviano ha sferrato qualche fendente antiberlusconiano. “Vieni via con me” potrebbe arrecare qualche fastidio in questi tempi di maggioranza governativa in bilico e perennemente traballante. Probabilmente il direttore generale della RAI, il buon Mauro Masi, uomo dal difficile rapporto con i telefoni e i cellulari – non ci dorme la notte.
Eppure, al di là delle voci allarmistiche e del timore di censure, “Vieni via con me” va tranquillamente in onda, con qualche coda polemica da dimenticare. Sono remoti i tempi in cui Berlusconi emanava editti bulgari per impedire l’accesso televisivo a Santoro, Biagi e Luttazzi. Più che il dolor potea pecunia…
Attraverso Endemol SPA, fra i proprietari del format di “Vieni via con me” – come di quello dello show “fazista” “Che tempo che fa” e di diversi realities – risultano la sempiterna Goldman Sachs e l’ammiraglia televisiva dell’impero berlusconiano Mediaset.
Fabio Fazio si presta spesso e volentieri a pubblicizzare i libri sfornati dalla berlusconiana Mondadori e destinati a diventare bestseller, mentre, fino a quel momento, Saviano può essere a ragione considerato l’autore mondadoriano di punta con i successi di “Gomorra” e di “La bellezza e l’inferno”. Il già citato “La parola contro la camorra” è stato pubblicato da Einaudi, rinomata casa editrice che, ahime !, gravita nell’universo mondadoriano.
Si dovrà convenire che, se è in corso una battaglia per far emergere l’Italia diversa, quella che non ama il Cavaliere e le sue disgraziate trovate propagandistiche e cabarettistiche nonché i risvolti delle sue note disavventure, qualcosa stona clamorosamente. Se con Endemol il Cavaliere detiene, di fatto, il monopolio della produzione di intrattenimento televisivo, è proprio impossibile – per chi è arrivato ad assurgere alla posizione di dio minore – percorrere strade alternative?
È veramente difficile per chi, come Saviano, ha la possibilità di scegliersi la casa editrice a cui affidare le cure della propria opera il distacco dalla Mondadori? Misteri della fede…
Le guerre che affliggono i nostri tempi – a parte quelle combattute con eserciti e cannoni – vengono dichiarate sullo sconfinato terreno del Mercato e sono prevalentemente finanziarie (le scalate) o massmediatiche ed editoriali. Sono gli imperatori – i Berlusconi, i De Benedetti, i Murdoch, ecc… – a decidere fondamentalmente gli sviluppi di queste nuove guerre, mentre gli dèi minori ne suonano le assordanti trombe.
Così, a partire dagli inizi di novembre, per quattro lunedì gli schermi di RAI Tre furono occupati dalla ossessiva litania e dalla scontata ritualità delle ‘liste’, il modo più avvilente per comprimere il dibattito sulle interessanti tematiche appena accennate.
Passerella dei più disparati personaggi, alcuni in cerca di gloria, altri in cerca di pubblicità, altri ancora per un curioso senso di ‘dovere istituzionale’ e altri ancora desiderosi di avere finalmente l’occasione di essere ascoltati. Uno spettacolo che, tuttavia, è piuttosto in linea con l’”estetica” e la mentalità dei nostri tempi dominate dal sensazionalismo, dalla frase ad effetto e dai facili slogan fatti per accalappiare i plaudenti.
Sotto questo profilo, e grazie all’incredibile riscontro presso particolare fasce di pubblico, “Vieni via con me” funziona e funziona alla grande… Il giovane Saviano comincia a dimostrare una certa padronanza del mezzo televisivo con i suoi seguitissimi e scontati monologhi. Insomma… si fa applaudire… La prima puntata della kermesse televisiva ottiene indici di ascolto impensabili per RAI Tre, ma che si spiegano soprattutto con la presenza dell’ormai ‘comico istituzionale’ Benigni, il giullare che non nega a nessuno un affettuoso abbraccio. Per conferire un tono – ahem… -più drammatico al racconto dell’”altra Italia” Saviano si produce in un’esposizione evidentemente antileghista – o almeno percepita tale da molti simpatizzanti ed iscritti a quel partito – narrando le vicende sulla presenza della ‘ndrangheta in Lombardia e nella capitale “morale” ed economica d’Italia, quella Milano che, tuttavia, ormai nessuno vuol più “bersi”…
Lo scrittore campano con un presente e un futuro televisivi cita fonti giudiziarie e giornalistiche per dimostrare la collusione fra gli uomini della mafia calabrese trapiantati al nord e alcuni personaggi della Lega operanti nelle locali amministrazioni. Un dito nella piaga, ma niente di particolarmente nuovo… La presenza delle mafie – quella calabrese e quella siciliana in primis – al nord Italia è radicata da decenni in quei territori e i mantra ripetuti dai politici ed amministratori locali – prevalentemente berlusconiani e leghisti – assomigliano a quelli dei democristiani romani e siciliani dei tempi della “mafia che non esiste”.
È indubitabile, invece, che l’esibizione di Saviano abbia aperto le porte alla pubblicistica critica, per rimanere agli eufemismi, nei confronti della Lega. Gli scaffali delle librerie cominciano ad essere occupati da volumi color verde che denunciano i lati oscuri del movimento autonomista ed anti immigrazione. Basti qui citare il “Dossier Bossi – Lega Nord” della prolifica KAOS Edizioni e”Il libro che la Lega Nord non ti farebbe mai leggere” di Eleonora Bianchini, edito dalla Newton Compton Editori. Lo show ‘antileghista’, ‘antirazzista’, ‘antimafioso’ e ‘antisecessionista’ di Saviano scatena le ire dell’infaticabile ed indomito e leghista Ministro degli Interni Roberto Maroni, il quale ribatte che l’autore di “Gomorra” ha diffamato il suo partito ed arriva ad appellarsi pure al Presidente della Repubblica.
Apparentemente si vuole bloccare la trasmissione di “Vieni via con me” e, in alternativa, si chiede il diritto di replica per un Ministro che, per l’occasione, deporrebbe la casacca governativa per indossare quella di esponente di punta della Lega Nord.
A suo modo pure Roberto Maroni si potrebbe annoverare fra gli dèi minori: dopo Umberto Bossi, è certamente l’uomo più influente ed apprezzato della Lega ed anche il più popolare, se si esclude forse il ‘purista’ antisistema Borghezio – tumultuoso passato di giovane militante neonazista vicino a quel pacifico e innocuo movimento che rispondeva al nome di Ordine Nuovo.
Molte lodi sono state tessute all’indirizzo del Ministro degli Interni leghista, e non solo da parte leghista, berlusconiana o destrorsa… Da politico politicante navigato e di lungo corso ha saputo attribuirsi i meriti del buon numero di arresti di latitanti della mafia siciliana e della camorra napoletana. Un po’ affrettatamente, lo stesso Saviano ha giudicato Maroni “il miglior Ministro degli Interni della storia repubblicana”, dimenticando le pulsioni violentemente contrarie all’immigrazione extracomunitaria che animano sia lui che i compagni di partito.
Anche in tal caso, sembra che egli faccia di tutto per corroborare le tesi di Dal Lago, Persichetti & C. Sulle prime viene risposto ‘picche’ alle richieste del Ministro di partecipare alla seconda puntata di “Vieni via con me” per poter esporre le proprie ragioni a titolo di risarcimento. Lo storico collaboratore del compianto Enzo Biagi e capostruttura di RAI Tre, Loris Mazzetti – fra gli ideatori del programma – risponde che “Vieni via con me” ha un carattere culturale e non politico. Un argomento poco convincente, in verità…
Alla fine la contesa si conclude nel più prevedibile e previsto dei modi: il Ministro degli Interni Maroni presenzierà al programma di Fazio e Saviano. In realtà quella poteva essere un’occasione ghiotta per un severo ed aspro confronto, una battaglia combattuta a colpi di argomenti fra il popolarissimo autore di “Gomorra” e l’efficiente Ministro. Magari si poteva levare un certo velo ipocrita e far cadere qualche tabù riconoscendo che in questo sporco mondo neocapitalista, mercantile ed edonista, nel quale tutto diventa merce da acquistare e vendere, è poi inevitabile che le mafie prosperino e siano indistinguibili dai cosiddetti circuiti legali della finanza e dell’imprenditoria. Arrestare qualche capobastone equivale a raccogliere gocce nell’oceano.
Invece… Invece per l’occasione Roberto Maroni gettò nuovamente a terra la camicia verde leghista per reindossare il doppiopetto ministeriale e sciorinare la sua lista di successi sul piano della lotta antimafiosa. Di fonte a un Fazio e ad un Saviano chiaramente genuflessi… In fondo una bella lista non si nega a nessuno !
In un contesto normale, di civile e ragionato confronto, sarebbe stata reale contesa, ma noi viviamo nel mondo dello spettacolo pervasivo, dell’applauso perenne e del dominio culturale del ‘virtuale’. Un mondo gretto e falso…
Come cantava Freddy Mercury, “Show must go on”… La seconda puntata di “Vieni via con me” bissò il successo della prima con ovvia soddisfazione per tutti, o quasi… Grande giubilo per Fazio, Saviano e Mazzetti, ovviamente… Gaudio ed esaltazione per i leghisti che assistevano alla bastonatura morale sferrata da Maroni ai presentatori della trasmissione…
Soddisfazione anche, tutto sommato, per il buon Cavaliere Silvio Berlusconi e famiglia, produttori del programma antileghista e antiberlusconiano. Certamente le intemperanze di quel giovane sconsiderato infastidivano e infastidiscono il Cavaliere, tanto più se vengono manifestate sul giornale di punta del proprio nemico personale, ma il ritorno economico non manca… E poi la vera battaglia si sarebbe svolta sul piano parlamentare per verificare quanto fosse ancora solida la maggioranza di governo. Contenti, ovviamente, i vari Fini, Bersani, Vendola, ecc… che hanno potuto tenere le loro banali lezioncine al popolo – pubblico “bue”… Contenti loro, contenti tutti… Beh! Non proprio tutti…
Ultimamente avvezzo a rispondere con la querela minacciata o inoltrata all’autorità giudiziaria, Saviano ha riservato al Ministro Maroni un trattamento affatto diverso da quello a cui sono stati sottoposti i vari ‘sinistrorsi’.
L’agguerrito Ministro degli Interni ha praticamente accusato Saviano di essere un diffamatore e un calunniatore, senza che seguisse una risposta adeguata a questa reazione o, semplicemente, degna di questo nome. Banalmente: per Maroni – come per gli altri ospiti, per carità… – è stato steso un tappetino rosso… Conosciamo sin troppo bene le ragioni e i meccanismi della macchina dello spettacolo… Certo, Maroni è un autorevole membro del governo berlusconiano ed è difficile denunciare – al suo “giudice naturale”, beninteso! – un Ministro…
Bisogna fare i conti con le pressioni, le minacce, le intimidazioni, le invocazioni alla censura, ecc… Ma perché – santiddio! – a questa arrendevolezza deve corrispondere la protervia e la superbia nei confronti della generalità degli altri critici ? Nel campo delle ipotesi ci si può sbizzarrire…
Forse che, con il tipico atteggiamento dell’ex, mal sopporta i rilievi provenienti dalla propria area di originario riferimento culturale e politico?
Forse che realmente Saviano si sente in sintonia con le varie destre di questo paese, con i loro accenti più o meno ‘legalitari’?
Forse che, servendo in qualche modo gli imperatori, è inevitabile vessare coloro che non accettano alcun padrone? Forse…
Temo sussistano delle ragioni più profonde, meno ideologiche, sociologiche e politiche e più attinenti alla sfera psicologica dell’individuo…
Ragioni che, in ultima istanza, portano Saviano ad essere molto più vicino a un Maroni, oltre che a un Fazio, un Rushdie o un Bono, che non a ‘Vik’ Arrigoni, alla famiglia e agli amici di Peppino Impastato, alle firme di “Liberazione” o del “Manifesto…
Fra dèi minori ci si intende e ci si intende bene…
Esclusi gli imperatori, tutto il resto è pubblico pagante, invisibilità, umanità varia da scansare con l’indifferenza… Oltre, la noia…
Tutto il resto è massa impersonale… È Nulla…
Il guaio di Saviano è essenzialmente il suo accesso all’Olimpo dei media…
E una volta entrato, difficilmente ne esci…
FINE
HS
Fonte: www.comedonchsiciotte.org
30.04.2011