DI GIANFRANCO LA GRASSA
conflittiestrategie.it
Adesso anche gli ottusi di “destra” (in realtà nulla a che vedere con una vera destra così come la sinistra nulla ha a che vedere con la sinistra “storica”) dicono che è finito, ma con decenni di ritardo, il comunismo in Italia.
Così scrive il loro Giornale e così dichiarano gli ignoranti di questo schieramento di una rozzezza culturale che non si sa se preferire o aborrire rispetto alla “semicultura” degli altri gonzi, quelli della finta “sinistra”. L’Italia è ormai un paese da rifare da Milano fino a Palermo, eliminando una gran massa di pattume sedicente umano.Volendo fare il “raffinato”, e con forte spirito di autocritica e non solo di critica, potrei affermare che il comunismo è morto con la Rivoluzione d’Ottobre, che ammiro oggi come ieri, ma con spirito tutto diverso poiché non si è trattato per nulla di una rivoluzione proletaria né di inizio della transizione al socialismo. Tutta la polemica sul fatto che fosse necessario limitarsi alla costruzione socialistica “in un solo paese” o insistere nella “rivoluzione permanente” – facendo dell’Urss un semplice primo bastione del “prossimo travolgente” rivolgimento mondiale operato da un “proletariato” puramente creato dall’immaginario di date “avanguardie” – era condotta senz’altro con grande convinzione ma commettendo un errore storico di enorme portata, che sarebbe stato necessario riconoscere assai prima. A quelle supposte “avanguardie” – reali élites di grandi capacità strategiche – va tutto il mio rispetto per il loro coraggio e abnegazione, mentre disprezzo e mi disgustano quelli che ancora oggi non hanno capito la “grande illusione” del secolo XX.
Nel dopoguerra in Italia – un’Italia di Savoia e badogliani (cioè di traditori) ben oltre le ormai battute schiere monarchiche, anche tra i “campioni” di (in)giustizia e (il)libertà e consimile merce avariata, che si è ingoiata poi negli anni ’70 quel po’ di gloria di cui poteva vantarsi la Resistenza – si svolse per qualche tempo nel Pci la lotta tra coloro che volevano “fare come in Russia” (e che, a detta di un personaggio come Cossiga, hanno rappresentato l’80% della vera Resistenza combattente!) e chi, sostenendo l’accordo (in realtà inesistente) con gli intendimenti staliniani e con Yalta, ha usato il massimo tatticismo politicistico (il togliattismo) per adeguarsi al mondo bipolare. Nessuno scandalo, scelta assai probabilmente obbligata, ma la denominazione (comunismo) non corrispondeva più al contenuto. Bisognava riconoscerlo, lasciando perdere quelle code del tutto negative di tipo “brigatistico” o giù di lì.
Negli anni ’70 – approfittando di eventi come il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia (’67) o quello in Cile (’73), di cui è impossibile parlare perché testimoni sono solo le orecchie (e la memoria) e mi mancano prove documentarie – si verificò la grande svolta detta subito dopo “eurocomunismo”, un primo timido mutamento della denominazione (d’origine del tutto incontrollata da decenni). Non uso paroloni come tradimento o altro; anche perché che cosa è mai stato tradito in un partito ormai tranquillamente seduto sul carro della “via italiana al socialismo”, via pacifica in attesa del 51% alle elezioni, godendosi degli “ozi” romani, delle belle trattorie di Trastevere, di qualche “vernissage” in via Frattina, e altre cose “piacevoli” consimili? Semplicemente c’è stato un cambiamento di campo, dovuto al riconoscimento che – dopo un pre-Gorbaciov quale fu Krusciov, liquidato malgrado i tentativi di salvarsi con certi mai rivelati pasticcetti “mal cucinati” assieme a Kennedy (faccenda dei missili a Cuba, di cui il presidente americano fu avvertito dal sovietico, ma poi dovette fare una precipitosa ritirata per lo sconcerto, pericoloso per lui, provocato in dati settori della sua stessa Amministrazione) – l’Urss era entrata in fase “recessiva” (da non confondersi con le recessioni economiche “occidentali”), si era irrigidita “strutturalmente”, con sorde rivalità tra pre e post-kruscioviani, ecc.
Berlinguer puntò sulla vittoria Usa nel lungo periodo e il “migliorista” Napolitano mutò atteggiamento nell’ambito delle varie “correnti” (non ufficiali ma ben esistenti) del partito, diventando poi suo “ambasciatore” negli Usa. Quindi, anche per quel che riguarda la denominazione ormai in uso quasi dall’inizio del secolo (e dopo la nascita della Terza Internazionale in netta antitesi alla Seconda), si può ben dire che essa non corrispondeva più dagli anni ’70 a quella ancora in uso nei partiti del sedicente eurocomunismo. Lasciamo appunto stare i tradimenti; semplicemente il Pci divenne punto d’appoggio in Italia di determinate correnti statunitensi; non degli Usa in quanto tali poiché eravamo ancora nel mondo bipolare. Certi processi non sono mai istantanei; anche chi sa ormai che essi hanno preso definitivamente una data direzione, si attiene a lungo alla massima discrezione, finge di credere ancora che la direzione seguita sia quella ormai abbandonata, ecc. Non si poteva cambiare all’improvviso il seguito che il Pci aveva tra le “masse” italiane, non si era ancora formato al suo interno, quale sua nervatura centrale, il ben noto “ceto medio semicolto”; gli sfrenatamente ambiziosi e opportunisti (e verminosi) intellettuali usciti dal ’68 e ‘77 non avevano ancora provocato tutti i loro pluridecennali guasti.
Accenno appena alla faccenda Moro, altra questione su cui non si può parlare se non a rischio di incriminazioni per diffamazione, ecc. Non dirò che egli è stato accoppato perché sapeva bene che cosa stava combinando il Pci con gli Usa; detto meglio, con dati ambienti di tale paese, quelli che chiamo “di riserva”, quelli che – tanto per dirne una, e una soltanto – avevano sempre tenuto rapporti con l’opposizione greca ai colonnelli (e con il partito comunista dell’interno, eurocomunista, legato al Pci o meglio alla sua parte berlingueriana che comunque vinse nel Pci anche grazie ai “transfughi” del “migliorismo”) per preparare la successione ai militari, garantendosi l’avvento di un regime “democratico”, quella democrazia che piace agli americani così tanto da “obbligarli” (oh, quanto “malvolentieri”!) ad andare in giro per il mondo, massacrando e assassinando, pur di farla trionfare a loro esclusivo vantaggio.
Moro era un democristiano, intriso di “buon spirito cattolico”, quindi abituato all’uso della vaselina, a discorsi contorti che si devono capire per poter obbedire agli ordini in essi contenuti, mai espliciti e diretti. Fu facile così raccontarci le balle, che ci si continua a raccontare a tutt’oggi, di un Moro ucciso perché voleva il compromesso storico tra Dc e Pci. Voleva, democristianamente, tutto il contrario, ma parlava sul tipo delle “convergenze parallele” (convergere con la bottiglietta di vaselina in tasca); e ciò in fondo lo perse in questo caso giacché impedisce ancora oggi che gli si renda giustizia almeno come intelligenza politica, avendo ben compreso il gioco del Pci e di settori diccì (tipo la sedicente “sinistra”) che hanno sempre tenuto bordone ai voltagabbana dell’ormai inesistente comunismo, pur anche considerandolo soltanto un semplice piciismo.
Morto Berlinguer, comunque dotato di intelligenza almeno tattica, i successivi meschini dirigenti piciisti – se uno pensa a quei furfanti (anche dell’establishment), che hanno diffuso l’idea di un fessacchiotto come D’Alema quale “novello” Togliatti, viene veramente voglia di mettere mano ad una pistola – ne hanno combinate di tutti i colori, soprattutto dopo la fine ufficiale del “socialismo” e dell’Urss. Di quest’ultimo ventennio abbiamo comunque parlato più volte e quindi sorvolo. Dico soltanto che non sono ancora del tutto chiari i motivi della preferenza statunitense per i servigi prestati dai balordi transfughi del piciismo. In ogni caso, ribadisco che – pur se penso che non si sia trattato di un processo pensato e preordinato – si è svolto nel ventennio un vero “gioco degli specchi” tra due schieramenti, detti “sinistra” e “destra” senza alcun rispetto per la realtà storica di simili denominazioni.
Ribadisco che la “sinistra” si è trasformata nel cancro (o comunque grave infezione mortale) di questo paese mentre la “destra”, apparentemente in deciso e radicale antagonismo, ne ha rappresentato in fondo il “controcanto” non disgiunto da forme di “accompagnamento”, di cui è parte anche l’ultimo episodio della formazione del “nuovo centro-destra”. I settori vetero-diccì (soprattutto della “sinistra”) hanno funto da alleati degli ex piciisti (divenuti pidiessini e poi tutte le altre etichette varie), fulcro iniziale (ma durato assai a lungo) di questa pseudo-sinistra; una sorta di rinnovato, a livelli molto bassi, “compromesso storico”, con inversione del rapporto di forze esistente nella prima Repubblica tra Dc e Pci; e con dirigenti di basso livello politico (e cerebrale) di quei due partiti.
Dopo vent’anni di varie manovre e manovrine, in una situazione di più cogente avvio del multipolarismo, e di conseguente nuova strategia in auge negli Usa per contrastarlo o almeno meglio situarsi in esso, sta avvenendo un mutamento nella composizione della servitù (nel senso di complesso dei servi) italiana. Si cerca di scombinare il più possibile le forze di “controcanto” (dette destra) in modo da imbrigliare il loro punto di riferimento – restato sempre una sola persona cui si è inoltre limitata la libertà d’azione politica – onde costringerlo ad un adeguato comportamento di opposizione allo schieramento detto di “sinistra”, di cui prende adesso la direzione una nuova generazione di nemmeno più ex piciisti (dirli democristiani mi sembra la solita forzatura antistorica). I vecchi ex piciisti non sono però più indispensabili.
Anche Napolitano – rieletto perché (e spero ci si ricordi che lo dissi subito in questo blog) non erano ancora maturi i tempi della “transustanziazione” della “sinistra”; diciamo che ci sono stati alcuni ritardi nella presa di possesso del Pd da parte di Renzi e occorreva dunque una fase di “surplace”, come avviene nelle gare di velocità ciclistiche prima che uno dei due competitori si produca nel “rush” – è in fondo divenuto superfluo o sta divenendo tale. Non so se si avrà il coraggio di farlo in qualche modo decadere; certamente, però, il parallelismo “strano” formatosi in favore dell’impeachment sembra una forma di pressione concordata ben oltre il duo Berlusconi-Grillo. Non è comunque detto che si vada fino in fondo; la situazione appare confusa e credo che lo sia pure per i vari mediocri protagonisti della (non) politica in questo paese disgregato. Dovremo fare attenzione in modo particolare alle esigenze che si presenteranno per gli Usa nell’area mediterranea in merito al confronto con la Russia, cui si sta dedicando per intanto una nuova ondata contraria in Ucraina.
In Italia, non esistono al momento forze nemmeno per un briciolo capaci di autonomia; ogni mossa è dettata, magari tramite canali indiretti o comunque ben coperti, dall’attuale Amministrazione statunitense.
Staremo a vedere cosa accade nei prossimi mesi.
Gianfranco La Grassa
Fonte: www.conflittiestrategie.it
Link: http://www.conflittiestrategie.it/finita-unepoca-lo-era-gia-di-glg-9-dic-13
9.12.2013