DI VINCENZO MARASCO
UomoLibero.com
Il nostro PIL è il più antico del mondo. Ma conteggia anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette e le corse delle ambulanze che raccolgono i feriti sulle autostrade. Conteggia la distruzione delle nostre foreste e la scomparsa della nostra natura. Conteggia il napalm e il costo dello stoccaggio dei rifiuti nucleari. Il PIL, invece, non conteggia la salute dei nostri bambini, la qualità della loro istruzione, la gioia dei loro giochi. Non prevede la bellezza della nostra poesia o la salvezza dei nostri matrimoni. Non prende in considerazione il nostro coraggio, la nostra integrità, la nostra intelligenza, la nostra saggezza. Misura qualsiasi cosa, ma non ciò per cui la vita vale la pena di essere vissuta.
(Robert Kennedy)
Se fossi certo che Robert Kennedy era veramente sincero quando disse queste parole, sarei anche disposto a rivedere il mio giudizio su alcuni americani.
(Vincenzo Marasco)Nascita della malafinanza
La moderna finanza, ovvero la malafinanza dei nostri giorni, nasce dalla confluenza di numerosi eventi storici remoti, ma credo che nessuno di questi abbia avuto un’influenza tanto determinante quanto la Riforma protestante calvinista. I calvinisti, uniti da una perversa quanto inconfessata alleanza con l’ebraismo veterotestamentario e col puritanesimo anglosassone, legittimavano infatti, in opposizione al pensiero luterano, quella concezione antropocentrica e materialista dell’esistenza che si era già andata affermando col decadere della spiritualità medievale e con l’avvento dell’umanismo e del razionalismo cartesiano secondo cui l’uomo e l’illimitato potere della ragione venivano messi in primo piano rispetto alla divinità (1)
Le diverse concezioni non erano prive di importanti risvolti in materia di finanza: Lutero predicava il ritorno alla semplicità dell’ortodossia evangelica lottando contro «mammona» e la simonia della Chiesa; il denaro era per lui «sterco del Demonio». Calvino invece, riesumando la tradizione ebraica del «vitello d’oro» e del «popolo eletto», condita con un abbondante dose di immancabile «occhio per occhio», metteva il «Dio danaro» al di sopra di ogni altro valore terreno; la conquista della ricchezza sarebbe stata il segno della predilezione di Dio e della predestinazione alla salvezza eterna.
Le idee calviniste tracciarono un filo sottile che segnò nei secoli successivi il pensiero e le azioni che risultarono di capitale importanza nel decidere le sorti del mondo moderno. Dapprima esse trovarono un humus di coltivazione molto fertile al tempo dell’illuminismo inglese (di tipo utilitarista) e francese (di tipo razionalista) (2), per poi essere portate dall’avidità umana sino alle estreme conseguenze nella vita reale attraverso due eventi storici epocali, la rivoluzione industriale inglese e la rivoluzione francese. La prima rivoluzione, iniziata nella seconda metà del 1700, dette infatti vita al capitalismo mercantile e alle politiche di colonizzazione su scala mondiale da parte di una nuova borghesia arricchita; la seconda rappresentò il capolinea degli ancien régimes aristocratici svuotatisi di autorevolezza e consenso popolare; da quel momento emersero nuove classi dirigenti, prima fra tutte quella borghesia populista e libertaria, anticipatrice degli attuali sistemi democratici e parlamentari. A seguito delle forti correnti migratorie dall’Europa, le idee sorte da queste rivoluzioni culturali e politiche si diffusero quindi nella ricca terra di conquista del Continente nordamericano sotto la veste del più spinto materialismo liberalcapitalista.
Dopo le due guerre mondiali, l’ultima soprattutto, questa forma di «civilizzazione» venne trapiantata nei Paesi Alleati dell’Europa Continentale e persino nel sottomesso Giappone, i quali si trovarono a dover modificare profondamente le rispettive tradizioni e culture secolari (Kultur) per uniformarsi ai costumi della società americana (zivilization) (3). In Europa furono gli «aiuti» del Piano Marshall ad agire da lubrificante per una resa incondizionata ai valori materialisti del vincitore (4); in Giappone furono invece la rinuncia dell’Imperatore Hirohito alla sua figura di divinità in terra e importanti accordi commerciali tra le due grandi potenze industriali che avrebbero consentito da un lato la ripresa economica dello sconfitto impero del Sol Levante e, dall’altro, la disponibilità da parte dell’America di un importante presidio in loco contro le temute potenze del Continente asiatico.
Dopo lo shock atomico e sotto il deterrente di una nuova guerra mondiale nucleare, ebbero buon gioco metodi di persuasione e penetrazione più soft ma non per questo meno efficaci: la canalizzazione del risparmio da investimenti nazionali verso i titoli di società statunitensi quotate in borsa e l’acquisizione da parte di queste ultime di partecipazioni societarie di controllo in ogni parte del mondo con i soldi degli stessi Paesi conquistati (5); il controllo dei traffici commerciali delle nazioni attraverso la manovra dei tassi di cambio delle valute; la stimolazione mediatica degli istinti più infantili e primitivi della gente con l’indebolimento di ogni spirito di rinuncia, di sacrificio, di fedeltà, religiosità e patriottismo.
Il crollo dell’ideologia comunista e la fine della guerra fredda nonché la caduta del Muro di Berlino hanno infine permesso di chiudere definitivamente la partita in favore del liberalcapitalismo materialista, avendo fatto venire meno gli ultimi ostacoli che ancora si frapponevano al pieno dispiegarsi della globalizzazione dell’umanità e rendendo così possibile la completa internazionalizzazione dei commerci e la finanziarizzazione globale dell’economia attraverso la selvaggia deregolamentazione dei mercati finanziari (6).
È così che oggi l’american way of life e il liberalcapitalismo occidentale si sono imposti, con ripercussioni ancora da valutare pienamente, sull’intero orbe terraqueo, persino nei Paesi dell’Est Asiatico, nella Russia ex comunista nonché in India, Africa e altri paesi con tradizioni molto diverse o addirittura opposte, al punto di far definire il nostro pianeta col nuovo suggestivo appellativo di americanosfera (7). Se è vero che il ruolo della finanza come tale è stato preminente in questo processo, altri strumenti hanno esercitato una influenza collaterale ma non meno efficace: l’acquisizione di partecipazioni societarie, i servizi reali di supporto al management, i condizionamenti da parte di lobbies dei programmi di sviluppo delle aziende e degli stessi Governi con imponenti mezzi mediatici di persuasione e, più in generale, l’impiego crescente di tecnologie avanzate, di politiche fiscali e doganali mondializzate cui possono avere accesso solo le grandi imprese multinazionali.
Se queste sono le principali ragioni «laiche» del nuovo corso della storia, non risulta affatto estranea ad esso anche una forte diminutio dell’autorità spirituale degli ordini religiosi, vieppiù soppiantata da forme crescenti di ateismo o di intransigente fondamentalismo o di anarchico edonismo.
Questo demoniaco corso della storia ha indotto le genti di ogni Paese a mercanteggiare a basso prezzo le loro immense ricchezze e tradizioni secolari con gli infiniti prodotti voluttuari e di largo consumo che sono oggi in commercio; nella sfera privata il denaro da mezzo è divenuto un fine per tutti e conseguentemente, nella sfera pubblica, il Prodotto Interno Lordo (PIL), la crescita, il profitto e il consumo sono divenuti la misura di ogni valore; come disse René Guénon, la quantità ha preso il sopravvento sulla qualità (8). Il vecchio motto «denaro sterco del demonio» veniva soppiantato da quello di «pecunia non olet».
Già negli anni settanta il grande filosofo rosminiano Federico Sciacca colse con parole insuperabili gli effetti negativi di questo modo di pensare e di agire, dicendo nella sostanza ma con parole sicuramente più eleganti di quelle con cui mi permetto di riassumere il suo pensiero, che l’occidente ha finito con l’esportare nel mondo i prodotti più avariati della propria cultura, consentendo da un lato all’uomo di oggi di riempire la pancia ma, dall’altro, facendogli pagare il prezzo di svuotare la propria anima e la propria intelligenza (9).
Dopo questi eventi l’uomo non è stato più protagonista del proprio futuro ma è divenuto una risorsa umana, un consumatore, un oggetto di utilità apprezzato solo in quanto funzionale agli scopi dell’economia. Questo nuovo modello di civilizzazione occidentale si è irradicato ovunque in modo tale che è ormai impossibile immaginare modelli di azione alternativi ad esso se non uno stato di guerra permanente tra vincitori che impongono le loro regole e perdenti che si rifiutano di accettare l’omologazione (10). Il risultato finale è che il mondo parrebbe essersi ficcato in un vicolo cieco senza vie d’uscita: non uniformandosi ai canoni del materialismo consumista, i singoli Paesi sono condannati all’estinzione; adottandoli, la maggioranza della popolazione mondiale è condannata alla miseria e, in ultima analisi, è a rischio di estinzione la stessa intera umanità.
Infatti, come avevano già profetizzato oltre due secoli fa gli stessi teorici del liberismo economico (Adamo Smith e David Ricardo) e in seguito e in modo ancor più efficace Vilfredo Pareto, il sistema liberalcapitalista invece di creare condizioni di maggiore competitività e benessere per tutti, ha instaurato regimi monopolistici di potenti imprese multinazionali che agiscono solo in funzione del profitto e che hanno arricchito le loro casse e i loro mercati di borsa a spese della stragrande maggioranza della popolazione mondiale tanto da aver fatto definire il mondo di oggi come «20/80», nel senso che l’80% della popolazione vive in condizioni di totale indigenza (c.d. globalizzazione della miseria), mentre il restante 20% si arricchisce sempre più. L’illusione liberaldemocratica ha partorito un regime oligarchico di pochi padroni che comandano su tutto e una situazione di caos generale (favorito dallo straordinario impiego di tecnologie sofisticate, dalla spersonalizzazione del lavoro e infine ma non meno importanti dall’incremento demografico esponenziale dell’ultimo secolo (11) e dai forti flussi migratori) dal quale, ancor più paradossalmente, non rimangono escluse le stesse oligarchie che detengono il potere le quali finiranno esse stesse col pagare il prezzo delle loro politiche suicide.
Le spese le sta facendo lo stesso nostro pianeta le cui risorse naturali, in nome del «progresso» e dello sviluppo economico, vengono spremute fino all’osso sino ad essere prossime all’esaurimento (12).
Insomma si potrebbe dire con Carlo Rubbia che stiamo viaggiando su un treno lanciato a pazza velocità senza che ci sia un manovratore in grado di controllarlo; resta solo una grande incognita, temo non incoraggiante per noi, che è data dalla Cina e da tutto il Sud Est Asiatico che da un lato si stanno facendo portatori di una nuova cultura più adatta a fronteggiare le sfide della contemporaneità, ma che dall’altro, avendo pienamente assimilato i metodi del capitalismo occidentale e disponendo oggi di immense risorse finanziarie (la sola Cina dispone di ben 600 miliardi di dollari di riserve valutarie da investire), causeranno un effetto boomerang a danno stesso di chi ha fatto loro da maestro e che ha sinora goduto del maggiore benessere.
Vilfredo Pareto, grande economista e sociologo purtroppo molto trascurato o contrastato, aveva dato prova di una straordinaria capacità di prefigurazione di questi eventi quando sostenne che la concezione del mondo e lo stile di vita fondati sul riduzionismo economico porta alle estreme conseguenze la disgregazione dell’idealismo dei sentimenti che hanno sempre costituito la forza di aggregazione e di identità delle società tradizionali (13) Dice ancora Pareto che col sistema della plutocrazia demagogica fa la sua apparizione una nuova specie antropologica che egli ha definito l’abitante di Cosmopolis, cioè quel tipo umano che considera il mondo intero come cosa propria, disincantato e cinicamente distaccato da tutto ciò che viene a mettere alla stregua di semplici pregiudizi: siano le tradizioni, le idee religiose, i riferimenti spirituali o l’idea stessa di patria e persino di famiglia, ai quali sostituisce null’altro che il movente economico-affaristico, il business come unico proprio orizzonte al quale ogni altra dimensione va sacrificata.
Nel mondo della finanza peraltro i titoli di borsa e i loro derivati (options, futures, warrants, edge funds, ecc.), uniti al potenziale tecnologico di internet, stanno causando una bolla speculativa planetaria che, come una bomba a orologeria, prima o poi scoppierà con effetti devastanti (14).
Banche di emissione e politica monetaria; l’era dei regolatori
Ad avere il ruolo di prime attrici nella folle corsa alla finanza sono state le Banche Centrali, affiancate nelle loro attività da una miriade di istituzioni internazionali, enti, fondazioni, banche di credito e d’affari, della cui esistenza l’uomo comune è a mala pena a conoscenza, tutte rigidamente dirette e controllate dalle stesse Banche Centrali che hanno preso il posto degli Stati e dei Governi nel decidere le sorti dei popoli (15).
Ormai sono molti gli storici e gli interpreti della finanza contemporanea che ci informano che le Banche Centrali sono enti di diritto privato (e cioè non di diritto pubblico) che sfuggono ad ogni regola della democrazia parlamentare in quanto le stesse autonominano i rispettivi Governatori nelle varie nazioni del mondo con la determinante approvazione dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI o BSI in lingua originale) e, solo in qualche raro caso, con la ratifica ex post da parte dei Governi nazionali delle decisioni prese. La BRI è assai poco conosciuta, se non in questi ultimi anni per gli osanna dei media di regime al famigerato Progetto Basilea 2, ma per chi non lo sapesse, risiede a Basilea in Banhhofplatz 2 ed è rigidamente controllata dalla Federal Reserve e dalla Bank of England. Nelle riunioni mensili che vengono tenute a Basilea sono affrontate tutte le questioni di ogni paese, decisi i tassi di sconto, i beneficiari dei prestiti, i governi che devono essere finanziati, rafforzati ovvero indeboliti, le monete che devono decollare o essere svalutate, i movimenti rivoluzionari da armare e le riforme da appoggiare, e se l’Olimpo delle grandi famiglie dei Morgan, Rockefeller, Warburg, Rothschild non è d’accordo sulle decisioni prese, tutto viene rimesso in discussione. Orbene, nessuno, assolutamente nessuno di questi signori che si riuniscono e decidono a Banhhofplatz è mai stato candidato in nessuna lista di partito, nessuno è mai stato eletto da nessun elettore di nessun popolo del mondo.
Il discorso potrebbe continuare a lungo se prendessimo in esame il caso della Banca d’Italia e dei governanti di nome che obbediscono ai suoi ordini, ma questo ci porterebbe troppo lontano.
Guillaume Faye ha così trovato un suggestivo appellativo per l’epoca in cui viviamo: l’era dei regolatori (16) e cioè un’epoca caratterizzata dalla delegittimazione politica delle nazioni e dal trasferimento della gestione del potere mondiale ad anonimi burocrati telecomandati da oscuri poteri. Dice Faye:
«…. Il sistema mondiale in formazione seppellisce progressivamente le forme tradizionali di direzione e dominazione politiche. Il Sistema non ha più bisogno di capi; gli ci vogliono i “regolatori”. Alle decisioni politiche degli Stati si sostituiscono scelte strategiche decentrate prese in seno a reti di potere che trascendono i quadri nazionali: reti degli Stati maggiori delle grandi società, reti bancarie internazionali reti di speculatori pubblici e privati, reti di Istituzioni internazionali». […] «Il potere tende a non aver più né ubicazione né volto; ma sono sorti poteri che ci circondano e ci fanno partecipare al nostro proprio asservimento….. Il Sistema funziona per «autoregolazione incitativa». I centri di decisione influiscono, tramite gli investimenti, le tattiche economiche e le tattiche tecnologiche, sulle forme di vita sociale senza che vi sia alcuna concertazione d’assieme. […] Le istanze direttive molteplici e decentrate si confondono con la stessa struttura organizzativa del sistema. Imprese nazionali, amministrazioni statali, multinazionali, reti bancarie, organismi internazionali si ripartiscono tutti un potere frammentato. Eppure, a dispetto, o forse proprio a causa dei conflitti interni d’interessi, come la concorrenza commerciale, l’insieme risulta ordinato alla costruzione dello stesso mondo, dello stesso tipo di società, del predominio degli stessi valori. Tutto concorda nell’indebolire le culture dei popoli e le sovranità nazionali, e nello stabilire su tutta la terra la stessa “civilizzazione”.»
È così che la mania regolatoria si è insinuata come un virus contagioso anche nella mente della gente comune con forme ossessive e autodistruttive. Tutti si dichiarano sistematicamente scontenti del loro modo di vivere e delle regole che vengono loro imposte, ma si ostinano a chiedere a chi governa di intervenire con altre nuove regole di cui si dichiarano poi puntualmente ancor più insoddisfatti, non avvertendo che le regole medesime non sono di alcuna vera utilità se dettate dall’alto e non invece ricercate nella coscienza della gente e nel comportamento individuale di ciascuno.
L’Unione Europea
A questa accolita di regolatori che decidono su tutto senza rispondere di nulla ed a nessuno se non a se stessi non è affatto estranea la Unione Europea la cui stessa esistenza e decisioni sono sottratte al voto parlamentare e alla consultazione dell’elettorato, salvo venire convalidate a livello nazionale ex post «a giochi fatti» da vaghe leggi di delega che possono essere attuate per mezzo di decreti delegati interpretati da dubbie figure di uomini politici secondo il vento che tira nelle alte sfere (17). Il caso più vistoso, dopo la rinuncia di fare della UE una unione politica (alla quale si tenta oggi di sopperire con una costituzione europea che è stata bocciata dai paesi in cui è stata sottoposta a referendum popolare e che è del tutto sottratta alla consultazione popolare nella maggioranza degli altri paesi, come ad es. l’Italia) è stato quello di ridurla ad una Unione monetaria. Per inciso, i referendum in Italia non sono indetti per dare al popolo la possibilità di decidere su questo genere di decisioni importanti che sono complesse sì ma, tutto sommato, comprensibili, ma per votare sulla fecondazione assistita, sull’uso delle cellule staminali ed altre leggi che nessuno è in grado di comprendere. Se Socrate tornasse in vita, non aspetterebbe di essere condannato a bere la cicuta, ma lo farebbe spontaneamente.
Ma torniamo all’Unione monetaria. Mentre noi crediamo che l’Euro sia il punto di arrivo spontaneamente perseguito dalle nazioni del Vecchio Continente, sappiamo che esistono documenti del Bilderberg Group (da poco de-secretati) da cui risulta che già da oltre cinquant’anni in quegli ambienti si lavorava perché l’Europa si dotasse di un’unica valuta. Nel 1948 le Fondazioni Ford e Rockefeller avevano dato vita all’American Committee for a United Europe, con lo scopo di condizionare lo sviluppo monetario, economico e politico del nostro Continente in modo convergente agli interessi d’Oltreoceano. Si pensò infatti che fosse molto più semplice controllare un’unica entità monetaria e un’unica Banca Centrale (nel caso la BCE), piuttosto che una quindicina di valute e di Istituti di emissione.
Ma se volete divertirvi (o piangere, secondo gli umori) vedendo tutti gli sprechi, le inefficienze, la corruzione di questa Istituzione comunitaria e anche le tante regole amene con cui si trastullano i suoi strapagati burocrati, leggete il necrologio della UE in testi reperibili sul mercato (18).
Il capitolo più esilarante di queste pubblicazioni riguarda le migliaia di leggi e regolamenti che i burocrati della UE, sotto la pressione di ogni sorta di incentivi ricevuti da business promoters al servizio degli interessi delle rispettive lobbies, scovano ogni giorno per intervenire anche su fatti che a noi potrebbero apparire marginali e che ci vengono fatti passare come necessari per il bene dei cittadini dell’Unione. Cito ad esempio: la dimensione delle banane, la curvatura dei cetrioli, il numero e grandezza dei piselli nel baccello (almeno 5 del diametro non inferiore a 10 mm.), il contenuto di cotone e fibre sintetiche nei pigiama e nelle mutande, la larghezza delle porte delle saune e, per tornare al punto da cui sono partito, i requisiti dei forni a legna per pizze. Volete vendere forni elettrici, a gas o a microonde? Ebbene, se siete bravi riuscirete ad ottenere un nuovo Regolamento UE che ostacola l’uso dei forni a legna. Se ci stai sei in business, se ti metti contro puoi chiudere bottega.
Beppe Grillo raccontava in uno spettacolo, ottenendo con facilità l’ilarità del pubblico, che la UE ha addirittura adottato una norma sui Certified Super Basset Hound che stabilisce l’altezza massima che questi cani devono avere per poter essere catalogati come una razza particolare di «bassotti». Il comico immaginava che da allora i cani di questa specie che superavano l’altezza prescritta avrebbero preso a camminare chinandosi raso terra!
Ma ci sono altre norme della UE che non dovrebbero far ridere nessuno. Faccio solo l’esempio delle acque minerali che beviamo ogni giorno, senza parlare dell’acqua di rubinetto. Giuseppe Altamore (giornalista di Famiglia cristiana e studioso di problemi ambientali) ci informa che il nostro Ministero della salute, in attuazione della Direttiva UE 2003/40, ha emanato un decreto legislativo che stabilisce parametri di rilevabilità di sostanze tossiche nelle acque minerali che sono talmente elevati che oggi è possibile ritrovare in queste acque fenoli, pesticidi, idrocarburi oli minerali e così via, più o meno come nell’acqua di rubinetto (che tuttavia è meglio controllata). Ci dice anche che, sulla falsa idea tanto pubblicizzata della «purezza» e «incontaminazione», i produttori di acque (ormai concentrati in un manipolo di multinazionali) hanno trovato il modo di fare enormi affari (19). Altre fonti meno autorevoli ma non per questo meno veritiere (20) ci fanno sapere che da una indagine del Corporate Europe Observatory risulta: «che documenti rimasti a lungo sotto segreto mostrano che la UE si identifica con gli interessi delle aziende di produzione dell’acqua e che la stessa UE non sta facendo altro che usare il GATS (Organizzazione Mondiale del Commercio) per portare avanti interessi di espansione del mercato di queste grandi aziende con base in Europa “con scarsa attenzione” alle esigenze della comunità in generale».
Basterebbero queste constatazioni per capire facilmente dove si collochi l’origine di tante afflizioni che ci piovono addosso senza sapere chi dover ringraziare, non solo nella vita strettamente privata ma anche nella sfera legata alla finanza di cui stiamo discutendo. Cito a riguardo e solo a titolo di esempio: le interminabili e sempre superate riforme dei mercati finanziari e del diritto societario, i modelli di corporate governance, i principi contabili e di revisione internazionali, i regolamenti di Basilea 2 e quant’altro ci viene imposto nella nostra vita quotidiana: authorities, privacy, security, cartolarizzazione, privatizzazioni, ogni forma di usura sino al più recente tentativo di «sequestro» in Italia del TFR delle aziende a vantaggio dei Fondi pensione (ça va sans dire, governati dagli stessi speculatori della finanza internazionale).
Anestetizzati dai miti della tecnica, della trasparenza, della efficienza, dello sviluppo, del progresso e ancor più noi cristiani dall’irriducibile fede in un mondo migliore, subiamo e digeriamo a fatica queste novità senza avvertire che abbiamo a che fare con malfattori ben mimetizzati che usano subdoli mezzi per attuare impunemente i loro loschi affari. Come si è potuto giungere a tanto? Con quali mezzi doveva essere condotto il gioco per raggiungere il fine di rincitrullirci a tal punto? Ce lo aveva insegnato a chiare lettere già diversi secoli fa Niccolò Machiavelli ne Il Principe con queste testuali parole: «Debbe allora chi è in una provincia disforme […] farsi capo e difensore dè vicini minori potenti, ed ingegnarsi di indebolire è potenti di quella, e guardarsi che, per accidente alcuno, non vi entri uno forestiere potente quanto lui. ». È così che anche oggi prende i posti di comando e trova spazio sulle prime pagine dei giornali e in TV chi è prescelto come «minore potente» e quindi più adatto a seguire il dictat omologante del «Principe» straniero; viene invece indebolito e messo nell’oscurità chi è «più potente» e che non vuole sottomettersi. Si verifica in sostanza nei paesi dipendenti da altri, ma anche all’interno di questi, quel fenomeno che Julius Evola aveva definito come la selezione a rovescio, secondo cui non sono i migliori a prevalere ma i peggiori, coloro cioè che sono malcontenti e che per ignoranza o per opportunismo sono più inclini a farsi servi del potere.
Declino dell’impero mondialista americano
Il bello è che dopo che l’America è divenuta la prima potenza mondiale – prima grazie all’importazione di decine di milioni di negri africani per lavorare come schiavi nelle piantagioni di cotone (21), poi grazie allo sterminio di milioni di pellirosse per sottrarre loro le terre ed impiantarvi le ferrovie e, infime, grazie al proprio imperialismo capitalista che ha «occidentalizzato» il mondo intero (e che continua tuttora a farlo per il tramite degli onnipresenti «regolatori») – proprio l’Impero americano si sta trovando di fronte ad un’immane catastrofe che trascinerà tutti con sé. Dopo il danno anche la beffa.
Se quello che affermo può apparire dettato da un catastrofismo apocalittico o da una pregiudiziale avversione per l’America, informo che sono molti gli scritti di illustri pensatori che lo sostengono (22). Chalmers Johnson, con scoraggiante candore afferma: «È impossibile indovinare quale forma assumerà la crisi del nostro impero (americano) da qui a qualche anno, forse qualche decennio. Ma la storia insegna che per tutti gli imperi il declino prima o poi arriva, ed è irragionevole pensare che l’America possa miracolosamente sfuggire al proprio destino». Vilfredo Pareto molto prima ancora aveva costruito su questa elementare verità una vera e propria teoria sociale, quella della c.d. «circolazione delle élites», secondo cui ogni gruppo al potere è destinato ad essere rimpiazzato da altri quando in esso si indebolisce lo spirito di resistenza e di sacrificio privandolo di quei valori fondamentali che ne avevano fatto la grandezza. Per inciso, Pareto non nega che il progresso come tale sia possibile, ma respinge la filosofia del progresso in quanto la stessa postula l’idea di un perfezionamento progressivo dell’umanità, quasi una sorta di determinazione inscritta nel suo codice genetico. Sulla negazione della filosofia del progresso Evola aveva assunto una posizione ancor più radicale chiedendosi come fosse mai possibile soltanto immaginare un «progresso» di fronte alla infinitezza dello spazio e del tempo in cui l’uomo percorre il proprio cammino.
Se poi vogliamo andare più nel dettaglio per sapere in quali condizioni si trovassero già agli inizi del secolo passato l’economia e la finanza americana che noi tanto scioccamente ammiriamo ed imitiamo, andiamo a leggere L’economia della truffa (Rizzoli) di John Kenneth Galbraith, economista (americano, per chi non lo sapesse) molto noto e stimato per essere stato Professor Emeritus alle Università di Princeton, Cambridge e Harward e per aver costantemente affiancato molti Governi degli Stati Uniti nella vita politica e istituzionale. Ebbene, Galbraith, alla bella età di 96 anni ha finalmente deciso di vuotare il sacco in questo piccolo opuscolo dove ci dice che tutto (o quasi) quello che noi abbiamo ammirato e imitato dell’America è stata appunto una truffa.
Galbraith ci dice che già sin dall’inizio del secolo XX, soprattutto dopo la famosa crisi del 1929, si avverti che il termine «capitalismo» nascondeva una vera e propria truffa coperta dagli interessi delle grandi imprese. Per questa ragione si ricorse all’espediente di coprire questa truffa con un’altra truffa, sostituendo cioè il termine «capitalismo» con quello di «economia di mercato»; la nuova truffa risiede nel fatto che la sovranità dei consumatori è una pura illusione poiché sono sempre le grandi imprese a dettare le esigenze di questi ultimi con mezzi di suadente persuasione occulta. Dice testualmente:
«Il riferimento al “mercato” come alternativa benevola al “capitalismo” è un’operazione cosmetica, fiacca e insipida, destinata a coprire una scomoda realtà: quella delle “corporations “, ovvero di un predominio della produzione capace di manipolare la domanda e, in sostanza, di controllarla […] Oggi, l’economia di mercato è quella di cui si riempiono la bocca i leaders politici, i giornalisti e gli studiosi che la insegnano alle nuove generazioni, negando che singole imprese e singoli capitalisti detengono il potere economico; […] donde la truffa».
Degli analisti e consulenti finanziari e delle società in cui essi operano (le note Goldman Sachs, Solomon Brothers, Chase Manhattan, Moody’s Investor Service, Standard & Poor’s, Morgan Stanley, Merryl Linch, Gruppo Rotschild-Lazar, ecc.), Galbraith ci dice che:
«coloro che sono assunti, o si autoassumono, per prevedere le future “performances” di un’industria o di una società, […] non ne sanno niente, e per lo più non sanno di non saperne niente. […] A Wall Street, gli economisti non si sono accontentati dei guadagni che vengono dal loro lavoro passivo e impersonale ma hanno invece cercato di scoprire quello che più aiutava i committenti delle ricerche, e si sono prodotti in previsioni adeguatamente pubblicizzate che giovano al loro patrimonio personale. Previsioni tagliate su misura per procurare guadagni o evitare perdite a determinate persone».
E noi abbiamo demandato a queste stesse società il compito di fare il rating delle nostre imprese, sia per la quotazione in Borsa che per il finanziamento bancario, per cominciare a scoprire che esse agiscono, sotto la copertura di insospettabili parametri tecnici di valutazione, non nell’interesse dei loro clienti ma in quello proprio di chi comanda dietro le quinte.
Della sbandierata e altisonante corporate governance, Galbraith ci dice:
«Il consiglio di amministrazione è una simpatica istituzione i cui membri coltivano la stima reciproca e le buone maniere, ma sono totalmente succubi delle scelte dei managers […] un aspetto dell’autorità della corporation è quello di stabilire i compensi dei suoi dirigenti, in una situazione in cui proprio l’entità di questi compensi stabilisce la misura del loro successo. Una discrezionalità che, come la storia recente ha dimostrato, si presta perfettamente all’abuso» […] «L’illusione del management è la più sofisticata, e negli ultimi tempi una delle più scoperte forme di truffa. Dopo l’espunzione della brutta parola “capitalismo” non mancherebbe un valido sostituto: burocrazia della grande impresa. La truffa consiste nel tentativo di attribuire alla proprietà, agli azionisti e ai sottoscrittori di obbligazioni, insomma agli investitori, un ruolo quale che sia nel governo dell’impresa. Il capitalismo, avendo lasciato il posto al management cum burocrazia, attribuisce alla proprietà una rilevanza fittizia. […] Il ruolo dei membri del consiglio di amministrazione è di semplice assenso. In cambio di una retribuzione e di qualche manicaretto, i consiglieri accettano di essere periodicamente informati dal management sul già deciso e l’universalmente noto. L’approvazione è data per scontata, compresi gli emolumenti dei dirigenti, decisi dai dirigenti stessi. Come stupirsi se questi tendono ad essere astronomici?[ …] questo è il principale evento economico di questo inizio di ventunesimo secolo: un sistema della grande impresa basato sull’illimitatafacoltà di autoarricchimento».
Della Federal Reserve e di Alan Greenspan:
«I discreti interventi della FED sono considerati le più giuste e apprezzate tra le iniziative economiche. Sono anche le più palesemente inefficaci, almeno nel senso che non producono quello che ci si aspetta da loro […] Gli interventi della FED sono tempestivi e ben calibrati, riscuotono l’ampio consenso della comunità finanziaria. L’unico neo è che non producono effetti percepibili […] Nondimeno, si pensa sia un bene disporre di un’istituzione politicamente neutrale, apprezzata e guidata, come sempre negli ultimi tempi, da una personalità (Greenspan) preparata, lucida e rispettata, non priva, inoltre, di spiccato talento teatrale».
Non meno tenero è Galbraith verso le privatizzazioni che, in quest’ottica di economia liberista all’americana, sono venute di gran moda anche in Italia. Le privatizzazioni sarebbero cioè nient’altro che un mezzo per passare da una inefficienza pubblica ad una rapina privata, fatta cioè da pochi affaristi con i soldi di tutti i cittadini. Galbraith ci spiega anche come l’interferenza di interessi privati sulla politica governativa e militare sia persino divenuta la causa principale delle guerre di oggi:
«L’appropriazione dell’iniziativa e dell’autorità pubbliche da parte delle corporations è sgradevolmente visibile nei suoi effetti sull’ambiente, pericolosa in quelli sulla politica estera e militare. È indubbio che le guerre siano una delle principali minacce alla civiltà, e la vocazione delle corporations alla produzione e all’impiego degli armamenti nutre e sostiene questo pericolo, al punto di ammantare di legittimità e perfino di eroismo la devastazione e la morte».
Eppure eravamo stati avvisati …
La cosa più sorprendente è che questa situazione di decadimento era stata anticipata da tempo e non solo da pensatori controcorrente (23), ma anche da uomini politici e d’affari illuminati i quali tuttavia sono rimasti senza ascolto o, molti di loro, hanno subìto dall’establishment la più severa inquisizione e spesso anche il martirio. Cito qualche esempio nella sfera finanziaria.
I pericoli della finanza furono visti sin dai primi del 1800 persino da un Presidente americano, Thomas Jefferson, che ebbe a dichiarare a proposito: «Credo che per le nostre libertà le istituzioni bancarie siano più pericolose degli eserciti dei nemici. Sono già arrivate al punto di erigersi in un’aristocrazia del denaro che sfida il Governo». Non si può escludere del tutto che proprio il modo di pensare dello stesso Robert Kennedy – di cui alla citazione in epigrafe – abbia avuto un peso nella decisione di assassinarlo.
Del resto anche in Italia, sin dagli anni settanta, ci fu chi ci mise in guardia contro il pifferaio magico americano che ci aveva illuso di poter confidare sul capitale di rischio e sul mercato di borsa per rilanciare la nostra economia. Costui era Federico Caffè, il noto economista professore all’Università La Sapienza di Roma il quale, in totale controcorrente, aveva anticipato di diversi decenni per l’Italia quello che oggi ci viene a dire Galbraith sull’America. Nel suo libro Un’economia in ritardo (Boringhieri), Caffè dice: «Né si dà minor prova di provincialismo […] allorché si prospettano gli assetti istituzionali «altrui» dei mercati finanziari e borsistici come modelli ideali verso i quali si dovrebbe tendere. Qui veramente si è in presenza […] di una congenita tendenza a vedere il paradiso nell’inferno degli altri». Il Caffè scomparve, o venne fatto scomparire misteriosamente, e non si sa più nulla di lui.
I risultati di queste previsioni sono sotto gli occhi di tutti: siamo ancora qui a rilanciare, risanare, ristrutturare, riformare un’economia sempre più asfittica (o fatta volutamente credere tale), per non parlare delle ferite inflitte ai risparmiatori con le speculazioni di Borsa, con l’usura delle Banche e con i crimini finanziari che si sono moltiplicati e ingigantiti. In America abbiamo gli immani disastri di Enron e Worldcom, e chi più ne ha più ne metta, sino ad arrivare alla vicenda delle Torri gemelle e a tutto quanto segue che altro non sono che dei complotti per cercare di poter sedare le difficoltà dell’economia o l’avidità degli uomini d’affari. In Italia siamo passati da scandali tutto sommato «provinciali» come quelli di Virgillito, Rovelli-SIR e Banco Ambrosiano-Sindona a quelli di oggi, ben più imponenti per dimensione ed impatto sui risparmiatori, come Parmalat, Cirio, Bonds argentini. I danni causati ai risparmiatori dai reati finanziari di un tempo venivano per lo più risarciti, è pur vero con i soldi dello Stato e quindi con quelli di tutti noi, ma venivano risarciti; quelli di oggi restano invece incagliati in interminabili procedimenti giudiziari che, se tutto va bene, lasciano ai danneggiati gli spiccioli. La Consob, figlia della SEC americana, e i suoi funzionari anziché curarsi di tutelare il risparmio pensano a curare gli interessi dei potenti che li hanno nominati, rendendosi complici delle loro malversazioni anche se poi restano quasi sempre impuniti grazie alla indulgenza di magistrati della stessa parrocchia (24).
Dopo la caduta del Muro di Berlino, la Germania coltivava un grande disegno per contrastare la finanza internazionale e rilanciare le decotte industrie tedesche dell’Est, disegno che avrebbe portato non solo la capacità produttiva tedesca, ma anche quella polacca, ucraina e baltica ai massimi livelli mondiali. Era il sogno di Herrhauser e di Rohwedder, massimi esponenti della Deutsche Bank, incaricati di realizzare questo disegno. Herrhauser, dopo aver interpretato per anni il ruolo del banchiere d’affari all’americana, ebbe una illuminazione che lo converti ad una visione meno usuraia e più lungimirante della finanza quando si senti dire da un capo di governo che Egli avrebbe «finanziato»: «Ma dimmi in tutta sincerità, tu accetteresti queste ignominiose condizioni se dovessi proporle alla Germania?». I due personaggi furono entrambi assassinati, Herrhauser con una bomba nella sua auto, Rohwedder con tre colpi di fucile, dopodiché l’incarico di portare a termine il «progetto Germania dell’Est» venne affidato ad una gentil signora che svendette le industrie di quel Paese ai banchieri cosmopoliti, trasformando i molti occupati che avrebbero fatto crescere l’Europa in uno stuolo di sottoccupati e cassintegrati e in una vasta e penosa plaga di assistenzialismo (25). Così è miseramente finito l’ultimo tentativo di far rialzare la testa dell’Europa dalla sudditanza economica e finanziaria angloamericana.
Quali prospettive?
A partire dalla disfatta dei regimi fascisti e nazionalsocialisti e dopo 1’inglobamento dei totalitarismi comunisti nel sistema capitalistico mondiale non sembrerebbe più possibile intravedere una via alternativa che possa sostituirsi al sistema sociale fondato sul liberalcapitalismo e sui suoi inevitabili eccessi. Tutte le convinzioni e le tradizioni su cui si è retta la nostra generazione si sono infranti e non è pensabile un nostalgico ritorno al passato: è ormai accertata tanto la crisi dello stato sovrano quanto dei sistemi di democrazia nazionale, mentre all’autorità spirituale degli ordini religiosi o di regimi fondati sulla loro origine «divina» o su valori spirituali si vanno sostituendo forme di intransigente fondamentalismo, di ateismo o di irresponsabile edonismo anarchico.
Dopo gli anni «eroici», il mondo occidentale sta perdendo ogni giorno terreno sotto l’incalzare di popoli meno viziati dal facile benessere e più competitivi i quali, dopo essere stati depredati dei loro beni dagli imperi coloniali, hanno imparato da questi tutti gli insidiosi trucchi del mestiere di affaristi e li stanno a loro volta usando senza freni contro i loro stessi maestri; le risorse del pianeta vanno scarseggiando e sempre più numerose sono le guerre tra Stati per la loro appropriazione; l’uomo di oggi ha perso se stesso e si muove ormai come un automa teleguidato da condizionamenti mediatici.
Le bolle finanziarie non sono più «incombenti»: stanno per esplodere; i conti dell’Occidente non tornano più da un pezzo e le «toppe» che i governi locali – i regolatori – continuano a mettere sulle sbrindellate economie nazionali non ce la fanno più a nascondere la realtà.
L’apocalisse non è qualcosa che deve ancora venire ma qualcosa che stiamo vivendo già da tempo e mentre tutto questo sta accadendo, sono ancora in molti a credere scioccamente di trovarsi nel paese dei balocchi senza capire, come diceva Giorgio Gaber, che «la nostra generazione ha perso» e che presto resterà a pancia vuota e con le orecchie da somaro senza poter sperare che qualche nuova Fatina le venga in soccorso. Che fare allora?
Quando si arriverà al crollo – quando volenti o nolenti si dovrà ricominciare a costruire – quello sarà il tempo di nuove classi dirigenti. Ma queste potranno formarsi solo se già da oggi avranno potuto «sapere» e «capire». Essere oggi uomini liberi infatti rappresenta il ruolo più difficile da conquistare e da mantenere, ma è anche la condizione indispensabile per sperare di vedere nuove classi dirigenti delinearsi all’orizzonte.
Vincenzo Marasco
Relazione presentata al Convegno A.I.Re.
«Dal risparmio gestito ai flussi di capitali»
Palazzo delle Stelline
Milano, 19 maggio 2005.
Fonte: http://www.uomolibero.com
Segnalato da Arianna editrice
NOTE:
1. In effetti il conflitto di idee in sede religiosa nacque già prima tra Erasmo da Rotterdam e Lutero e solo in un secondo tempo il calvinismo, con una improvvisa virata di bordo, accentuava la propria opposizione al luteranesimo per allinearsi al pensiero erasmiano ed assumere così quel ruolo determinante che ha avuto nella vita moderna. Tale disputa, che risale sin dalle origini del pensiero ma che ha trovato all’epoca della riforma protestante la sua manifestazione più concreta nelle contrapposte tesi del libero arbitrio, sostenuta da Erasmo, e della predestinazione e della Grazia, sostenuta invece da Lutero (in armonia con Sant’Agostino), avrebbe appunto determinato un solco profondo nel concepire il ruolo dell’umanità. La prima, legittimando una visione antropocentrica dell’esistenza, avrebbe portato, in campo politico ed economico, al c.d. pensiero progressista e demoliberalcapitalista. La seconda, mettendo invece l’uomo e la ragione in subordine alla autorità divina, avrebbe invece portato, in campo politico ed economico, a tendenze conservatrici o antiprogressiste e anti-demoliberalcapitaliste e quindi anche regimi aristocratici o totalitari o comunque forme dirigiste di governo.
2. Pareto colse come pochi altri pensatori, parimenti inascoltati – esempio Nietzsche – la crisi incipiente, più propriamente il naufragio, delle promesse elargite dall’illuminismo con il mito di una universale e trionfante Dea Ragione.
3. Chi volesse cogliere le trasformazioni che sarebbero avvenute nei nostri costumi a partire dal dopoguerra senza affaticarsi in letture impegnative e magari anche traendone maggior frutto, può vedere – per citare solo due film – Napoli milionaria di e con Eduardo De Filippo e Un americano a Roma con Alberto Sordi. Ancor più rivelatori sono i film-documentari (anni sessanta) di Gualtiero Jacopetti che però, proprio per lo spirito critico e le graffianti immagini, non sono mai proiettati in TV né si trovano in videocassetta se non con faticose ricerche presso noleggiatori o mercatini dell’usato o altrimenti importandoli dall’estero dove è stato prodotto il cofanetto Mondo cane collection con la raccolta completa (anche in lingua italiana!) e tanto di interviste al regista. Divagando un po’, da questi filmati si apprende che questo straordinario uomo di cinema, oggetto di studio e venerazione all’estero, in Italia è stato sepolto nel dimenticatoio dopo aver subito pretestuose quanto inconcludenti cause giudiziarie intentategli dai nostri politici di sinistra per aver osato andare «controcorrente» o per aver mostrato crude verità. Bella trasparenza, bella democrazia, bello spirito patriottico nel valorizzare gli artisti nazionali! Esiste poi una videocassetta di un documentario degli anni ottanta prodotto in USA (!) titolato Questa è l’America di Romano Vanderbes che pur avendo modesto valore artistico ci racconta in 3 ore tutti gli aspetti più deteriori e sconosciuti della società americana che il regista prefigura anticipatori (cosa puntualmente avvenuta) della nostra società di oggi. A confronto di questo filmato, quelli di Michael Moore degli anni 2000 (es. Bowling for Colombine) sono solo una pallida conferma.
4. È bene però precisare che mentre l’establishment italiano abboccò acriticamente alle lusinghe americane, la Germania e più ancora la Francia videro nella loro accettazione soltanto un mezzo temporaneo per risollevarsi dai danni della guerra con l’obiettivo di recuperare, superati i momenti difficili, almeno qualche traccia delle loro tradizioni nazionali. L’Inghilterra, superfluo dirlo, agì ed agisce invece tuttora come fedele avamposto dell’America in Europa.
5. Jean Jacques Servan-Schreiber, La sfida americana, Rizzoli.
6. Sebbene il fenomeno della globalizzazione sia considerato di questi ultimi decenni, molti studiosi fanno risalire la sua nascita sin dalla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, che fece prendere coscienza della rotondità della terra e dette avvio alle grandi conquiste europee in quel Paese.
7. Guillame Faye, Il sistema per uccidere i popoli, Edizioni de l’Uomo libero.
8. René Guénon, Il regno della quantità e il segno dei tempi, Adelphi.
9. Federico Sciacca, L’oscuramento dell’intelligenza, Edizioni L’epos.
10. Il marxismo e la rivoluzione comunista sovietica, pur potendo apparire ad un’analisi superficiale come elementi di contrapposizione alla concezione liberaldemocratica, sono in effetti soltanto la diversa faccia della medesima medaglia avendo con essa in comune la massificazione dei bisogni materiali dell’uomo. Vedi: Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Ed. Mediterranee.
11. Nel 1500 l’intera popolazione mondiale era ancora di 500 milioni; all’inizio del Novecento è salita a 1 miliardo e 600 milioni e oggi a 6 miliardi; quindi, nel solo ultimo secolo la popolazione che si era formata in migliaia di anni si è cioè quasi quadruplicata. Di questo passo, nel 2015 aumenterà di un altro miliardo e nel 2050 si prevede che raggiungerà i 9-10 miliardi.
12. Tra le tante pubblicazioni in commercio, le più recenti che hanno attirato la mia attenzione sono: La terra scoppia di Giovanni Sartori (Rizzoli) e Iperlogica di Vincenzo Caprioli (La goliardica pavese).
13.. Pareto sosteneva paradossalmente che: «nella vita dei popoli, niente è tanto reale e pratico quanto l’ideale». Diverse dall’«ideale» sarebbero invece per Pareto le «ideologie» che sarebbero «delle contraffazioni più o meno deliberate di una situazione reale, mirando a persuadere altrui di operare in un certo modo reputato utile alla società».
14. F.Capra, La scienza della vita, Rizzoli
15. Cito alcuni nomi di questi organismi senza la minima pretesa di essere esaustivo: Trilateral Commission, Council of Foreign Relations, Bilderberg Group, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, Forum di Davos, Comitato di Bali (per la supervisione bancaria), IOSCO (per la supervisione delle Borse e dei mercati dei capitali), ISO (per la definizione degli standard di qualità internazionali), IASC, FASB ecc. (per la definizione degli standard contabili e di revisione contabile).
16. Guillaume Faye, op. cit.
17. Tra i molti fustigatori dei politicanti c’è stato il grande Vilfredo Pareto il quale già a inizio del secolo scorso denunciava la delusione per un costante modello di governo che trapassava senza soluzione di continuità dalla destra di Depretis fino alla sinistra di Giolitti, attraverso l’affermazione burocratica dell’esecutivo che gestiva in prima persona, al di fuori della stessa mediazione parlamentare, i «patti» conclusi direttamente con i centri di potere economico e sociale.
18. Vedi S. G. Verde, L’Unione fa la truffa, l’Uomo libero n.53/02 e l’omonimo L’Unione fa la truffa (Mondadori) di Mario Giordano, anche articolista de il Giornale.
19. Vedi: Giuseppe Altamore, Qualcuno vuol darcela a bere, Fratelli Frilli Ed. e Atti del Convegno Pro o contro l’ambiente? A.P.U.R.P.
20. Vedi: 50 cose che forse non sai, a cura di Russ Kick, Nuovi Mondi Media Ed.
21 Il film-documentario di Gualtiero Jacopetti, Addio Zio Tom, documenta con agghiacciante evidenza l’anima razzista della Grande America; nel filmato si apprende tra l’altro che la schiavitù venne favorita dalle chiese protestanti le quali non solo disponevano di schiavi negri nelle loro Comunità ma aizzavano e legittimavano i bianchi a trattarli come bestie servendosi di citazioni bibliche del genere: « I negri sono come le bestie e sono stati creati per servire i bianchi e quindi per vivere da schiavi». Colgo l’occasione per informare che il film, dopo essere stato presentato nelle sale è stato sequestrato dalla magistratura e poi dissequestrato ma mai riprodotto in videocassette, cosicché chi volesse vederlo deve importare dall’estero la Mondo cane collection (Nota 4) o una costosissima cassetta (in lingua italiana!) prodotta in Giappone (!).
22. Per stare nella sola sfera del politically correct e della pubblicisitica «al di sopra di ogni sospetto», vedi: Gli ultimi giorni dell’impero americano (Garzanti) di Chalmers Johnson, presidente del Japan Research Institute, professore emerito dell’Università della California e storico di indubbia imparzialità e del Cardinale Camillo Ruini, Nuovi segni dei tempi (Mondatori).
23. Cito per tutti: Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Guanda Ed.
24. Vedi: Paola Pampana, I signori della truffa, Editori Riuniti.
25. Queste informazioni sono state tratte dal documentario TV Black box Germany e dall’articolo di Sergio Gozzoli, La Germania e il popolo tedesco, eterni obiettivi dei nemici dell’Europa, l’Uomo libero n.47/99.