DI LUCIANO CAPONE
liberoquotidiano.it
Il Tea Party americano non teme il fallimento. Situazione simile alla nostra del 2011, ma con una differenza: loro hanno il dollaro, noi no. E’ sempre l’Euro il nodo di tutto: gli scenari di due economisti
Da giovedì gli Stati Uniti non avranno soldi a sufficienza per pagare il debito. Se il braccio di ferro sta l’amministrazione Obama e i repubblicani non si risolverà in una accordo sull’aumento del tetto del debito, sarà default. È lo stesso scenario che veniva prospettato solo due anni fa in Italia con il rischio, secondo alcuni reale e secondo altri esagerato, di non pagare più i dipendenti pubblici, le pensioni e il welfare. Ovviamente le due vicende non sono paragonabili: negli Usa la decisione è esclusivamente politica, visto che c’è la fila di investitori pronti a comprare titoli di stato americani, mentre in Italia il default sarebbe arrivato per l’incapacità di pagare gli interessi crescenti sui propri titoli richiesti da creditori diffidenti. A due anni di distanza da quei giorni e dall’inizio dei governi di “solidarietà nazionale” o di “grande coalizione”, il rischio-default italiano sembra sparito, non se ne parla più, nonostante il debito pubblico sia in costante aumento, l’economia sia ancora in recessione e il Pil sia l’8% inferiore del livello ante crisi. Ma cos’è cambiato?
Secondo Claudio Borghi Aquilini dell’università Cattolica nel caso di “debito pubblico emesso in valuta propria, l’eventualità del fallimento è puramente politica”, ma a pensarci bene lo è anche nell’area euro: “Se la Grecia fosse stata tutelata dall’Europa, se Trichet (ex presidente della Bce) avesse fatto dichiarazioni di garanzia sul debito, la Grecia non sarebbe fallita”. Per quanto riguarda l’Italia, non sono state le riforme, le tasse e gli aggiustamenti dei conti pubblici di Monti e Letta ad aver scongiurato il fallimento, ma il bazooka di Draghi: “Lo spostamento di volontà della Bce nel luglio scorso ha reso inutile scommettere contro il debito italiano”. Lo spread insomma è calato per le garanzie della Bce anche se “la situazione non è ancora sanata – continua Borghi – perché Draghi è creduto solo in parte. E’ evidente che se la Banca centrale tedesca dicesse che non c’è nessun rischio lo spread si azzererebbe, ma ciò non accade e l’Italia continua a finanziarsi ad un costo superiore ai concorrenti tedeschi, handicap che si trasforma in differenza di competitività”. I problemi dell’Italia quindi non derivano dall’eccessivo indebitamento perché “il debito pubblico è una questione puramente politica, siamo in avanzo primario e il nostro debito è sempre stato sostenibile”. Il problema reale sarebbe invece la moneta unica: l’uscita dall’Euro e il ritorno ad una moneta sovrana svalutata eliminerebbe il problema spread e rilancerebbe la competitività.
Per Riccardo Puglisi della Bocconi l’intervento di Draghi è stato fondamentale nello scongiurare il rischio default, ma non sono da sottovalutare gli interventi precedenti come la bistrattata riforma Fornero delle pensioni che “seppur con elevati costi sociali, ha migliorato notevolmente gli equilibri di finanza pubblica”. Dopo l’allentamento della morsa dello spread la politica, come al solito, si è rilassata e non ha proseguito sulla strada delle riforme strutturali. “Non nego – continua Puglisi – che un’eventuale svalutazione abbia effetti positivi congiunturali, il punto è che uscire dall’Euro sarebbe uno sconquasso”. Inoltre una politica monetaria espansiva non può supplire a tutte le mancanze del sistema paese: “Non si può ragionare solo dal lato monetario – sostiene Puglisi –, l’Italia ha bisogno di urgenti riforme generazionali, di tagliare sprechi e spesa pubblica inefficiente e di rimodulare un welfare disegnato sulle vecchie generazioni che attribuisce costi eccessivi ai giovani”. L’uscita dall’Euro sarebbe quindi un modo per aggirare i nodi strutturali ed inoltre creerebbe due grandi problemi: il primo è la perdita di credibilità e il rischio chiusura dei rubinetti degli investitori internazionali, il secondo, ancora più grave, è la ricaduta sulla solidità delle banche: “La sola ipotesi di uscita dall’Euro – dice Puglisi – potrebbe portare alla famigerata corsa agli sportelli e al rischio di tenuta del sistema bancario”.
Riguardo al primo tema Borghi sostiene che “il mercato internazionale va dove non perde soldi, e l’Euro non ci rende uno stato appetibile, quindi un’uscita non ci taglierebbe fuori dai mercati internazionali, anzi”. Mentre la corsa agli sportelli sarebbe un problema reale, “visto il panico alimentato dalle menzogne sulla conseguente svalutazione – prosegue Borghi -, l’unica soluzione sarebbe il blocco dei contanti in una fase iniziale”. La discussione sull’uscita dall’Euro è tutt’altro che definitiva e c’è da giurare che sarà uno dei temi centrali delle prossime campagne elettorali e del dibattito pubblico.
Luciano Capone
Fonte: www.liberoquotidiano.it
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14.10.2013