DI CLAUDIO MARTINI
il-main-stream.blogspot.it
[…] Facciamo un’ipotesi di “fantascienza”, e assumiamo di poter disporre, noi, di un notevole potere politico in ambito nazionale. Una volta al potere attuiamo misure de-globalizzatrici. Cominciamo dal blocco dei movimenti di capitale: senza di esso non si fa nulla. Ottimo, abbiamo creato un isola nel sistema finanziario internazionale; essa finirebbe stritolata nel giro di pochi mesi, o meglio ci stritolerebbero prima i cittadini, una volta che si siano accorti che non possono usare le loro carte di credito una volta usciti dai patrii confini (e mille altre limitazioni). Tutta roba già successa agli inizi degli anni ’80, quando Mitterand provò a socialistizzare la Francia: bloccò i movimenti di capitale, nazionalizzò le banche, fece anche tante altre cose carine. Durò un anno. Figuratevi adesso.
La de-globalizzazione mi sembra analoga al disarmo: chi disarma per primo? Non credo proprio che sia alcunché di realizzabile per iniziativa unilaterale di uno stato solo (a meno che non si tratti degli Stati Uniti). O si fa in contemporanea tra i principali stati industrializzati, o non ha senso farlo.
L’eventuale de-globalizzazione dovrebbe essere frutto dell’azione coordinata di vasti movimenti internazionali. Allora potrebbe funzionare. Non è più fantascientifico di una nostra presa del potere in ambito nazionale, se ci riflettete.
Va detto infine che se per caso esistessero vasti movimenti internazionali in grado di agire in maniera coordinata tra loro, allora a quel punto si perderebbe la necessità di de-globalizzare: le forze popolari avrebbero la possibilità di gestire in maniera democratica le dinamiche economiche sovra-nazionali, per esempio inibendo la concorrenza tra stati e lavoratori.
La morale della favola è: se tanto è tutto utopico, scegli l’utopia che ti esalta di più (o quella che ti deprime di meno)
[…] Sinceramente, non vedo alternative a livello mondiale. I paesi si differenziano per il modo di stare dentro la globalizzazione, ma nessuno la mette in discussione; il primo che lo facesse si autodistruggerebbe. Nessun capitalismo nazionale rinuncerà mai al mercato mondiale (anche perché credo che le classi dirigenti siano abbastanza memori di quel che è successo l’ultima volta…)
Quel che invece può accadere è che il mercato mondiale si segmenti in alcune macro-aree. Il TTIP è un passo verso tale direzione. È possibile che, in risposta all’iniziativa USA di creare tale “NATO economica” anche altri gruppi di stati apparecchino qualcosa (ma non è affatto detto: Giappone, Russia, India e Cina si mandano a quel paese ogni volta che possono).
La creazione di queste macro-aree potrebbe essere interpretato come un gesto di deglobalizzazione. Tuttavia, non sfugge che all’interno di queste aree il principio “liberista” tipico della globalizzazione verrebbe amplificato. Quindi in realtà si tratta di una globalizzazione più intensa, anche se più ristretta dal punto di vista dei soggetti coinvolti.
È probabile che USA e UE, legate da NATO e TTIP, daranno anche vita a qualcosa di simile ad un coordinamento permanente tra governi: qualcosa di più del G-7 e qualcosa di meno dell’attuale Consiglio Europeo, per dire. Magari, chissà, un giorno ci faranno eleggere una pazzesca assemblea parlamentare atlantica…
Al di fuori di questa area i singoli paesi continueranno la loro corsa verso il turbo-capitalismo, Sudamerica in testa.
Può darsi che in questo scenario le comunità locali diano vita a qualche forma di resistenza. Perché questa resistenza abbia forza, credo debbano esserci due condizioni:
1) forte solidarietà trans-nazionale tra le varie comunità e tra i vari movimenti;
2) totale indipendenza dagli organi dello stato nazionale, in particolare dai suoi addentellati partitici/sindacali/elettorali/istituzionali.
PS Poniamo che la presa del potere a livello nazionale abbia una possibilità su un milione. Ti concedo che la prospettiva “internazionalista” ne abbia una su tre milioni. Praticamente, che cambia? Sono entrambe fantascientifiche. Solo che la prima, a mio avviso, è un vicolo cieco, la seconda no.
[…] Io credo che fra i pre-requisiti dell’essere “rivoluzionari” sia convincersi del fatto che le classi dominanti la sanno lunga, ma davvero lunga, e che l’ultima cosa che faranno sarà permettere a dei pirla come noi di prevalere.
L’esempio che prendi è perfetto. È una conseguenza dell’effetto band-wagoning: la prima cosa che passa per la testa del debole non è diventare forte unendosi ad altri deboli, ma proteggere la propria debolezza affiliandosi a qualche soggetto forte. Ci sono anche casi più estremi della serie A: 180 stati nel mondo non riescono a coalizzarsi contro uno solo, gli USA…
Detto ciò, io studio la storia e l’attualità del medio oriente. Da questo studio ho tratto la convinzione che i miracoli esistono. Quel che sta accedendo ora in Iraq, per fare un esempio, è semplicemente miracoloso.
Faremo miracoli? Probabilmente no. Però conserveremo la soddisfazione di non esserci resi complici di questo schifo di realtà.
Estratto da Dialogo a tre sul nostro futuro
24.06.2014