DI HOPE FERDOWSLAN
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Quando ci bruciamo un dito la smorfia sul nostro volto invia un messaggio universale. Dalla Finlandia alle Fiji, è sufficiente guardare in faccia una persona per capire che prova dolore. Le espressioni facciali – gli antropologi lo sanno da molto tempo – sono un linguaggio internazionale.
Ma si è scoperto che questo linguaggio non è esclusivamente umano. Anche i topi esprimono il dolore attraverso espressioni facciali – e queste smorfie sono veramente molto simili alle nostre, secondo quanto pubblicato in un recente articolo comparso sulla rivista Nature Methods.
In questo studio molto controverso, i ricercatori hanno utilizzato un ampio spettro di metodi per sottoporre i topi a diversi livelli di dolore. Hanno immerso le code degli animali in acqua molto calda, le hanno esposte al calore radiante, hanno pizzicato le loro code con delle molle fermacarte, hanno iniettato delle sostanze irritanti nelle loro zampe, hanno provocato loro infiammazioni urinarie con sostanze chimiche che causano dolorose cistiti nell’uomo, e hanno iniettato loro acido acetico, provocando loro contrazioni addominali e convulsioni. Hanno eseguito operazioni sui topi senza fornir loro analgesici post-operatori.
Gli autori dello studio hanno realizzato una scala di gradazione delle smorfie dei topi da utilizzare come strumento di misurazione per stabilire il livello di dolore provato dai topi. In questo modo, i ricercatori sono giunti alla conclusione che i topi, sottoposti a stimoli dolorosi, mostrano la loro sofferenza attraverso espressioni facciali nello stesso modo in cui lo fanno gli umani.
Questo doloroso esperimento ha suscitato diversi interrogativi fra i ricercatori. Si è criticato lo studio in una newsletter intitolata Laboratory Animal Welfare Compliance e altrove. Si è criticato il fatto che gli esperimenti fossero crudeli e superflui.
Lo studio – e il dibatto che vi è sorto intorno – mette in luce temi cruciali riguardanti la sperimentazione sugli animali. Per esempio, i topi sono gli animali che più di altri vengono usati solitamente nella ricerca, ma non si parla di loro nell’Animal Welfare Act, una delle poche tutele legali previste dalla legge statunitense ad altri animali usati negli esperimenti di laboratorio.
L’intento originario del Laboratory Animal Welfare Act del 1966 era quello di prevenire il commercio non autorizzato di cani e gatti da compagnia per scopi di ricerca. Comunque, con emendamenti successivi sono stati aumentati i tipi di attività trattati, le specie animali regolamentate, l’obbligo di informazione, e le linee guida sul trattamento degli animali.
Sebbene queste leggi forniscano una protezione basilare per alcuni animali utilizzati nella ricerca, ci sono delle evidenti incongruenze nelle norme statunitensi. Per esempio, più del 90 % degli animali usati nella ricerca è escluso dall’Animal Welfare Act.
La legge non include uccelli, ratti del genere Rattus, topi del genere Mus, e animali da fattoria. Il fatto che questi animali non siano protetti per legge è dovuto alle pressioni esercitate – con successo – dall’industria di laboratorio. Inoltre, la legge non prevede una soglia massima di dolore cui può essere sottoposto un animale durante un esperiemento.
Questi sono alcuni dei temi trattati in una recente conferenza riguardante la ricerca sugli animali e le sue alternative. Noi del Physician Commettee for Responsible Medicine abbiamo oganizzato “Animals, Research and Alternatives” per riunire esperti con opinioni diverse e discutere i temi legati alla ricerca sugli animali. Essendo un medico interessato alla prevenzione e all’alleviamento del dolore sia negli uomini che negli animali, ho voluto agevolare una discussione basata sulle conoscenze e razionale riguardante la ricerca sugli animali.
Nonostante si discuta di questo argomento da ben oltre un secolo, i temi etici e scientifici riguardanti la ricerca sugli animali non sono mai stati approfonditi insieme in un forum equilibrato ed organizzato. Nella nostra conferenza più di 20 relatori hanno condiviso le proprie esperienze riguardo gli imperativi scientifici, legali, etici e politici riguardanti la ricerca sugli animali.
Il primo relatore, John Gluck – professore emerito di psicologia all’Università del New Mexico e membro affiliato di facoltà al Georgetown University’s Kennedy Institute of Ethics, ha dato il la alla conferenza. Dopo aver condotto per anni ricerche sui primati, ha iniziato a studiare l’etica della ricerca sugli animali. Gluck e altri relatori hanno spiegato che gli animali hanno delle proprie necessità che vengono compromesse quando l’uomo usa gli animali in esperiementi di laboratorio.
Diversamente dalla tutela inerente la ricerca sugli uomini, che si basa su un approccio regolato da principi, le leggi che regolamentano l’uso di animali nella ricerca sono scaturite da un processo composito e molto politicizzato. Ciò ha portato a regolamenti differenti che mancano di chiarezza. Nel frattempo, gli studi sugli animali hanno accresciuto enormemente le nostre conoscenze riguardanti le loro percezioni e le loro emozioni, mettendo in luce che gli animali possono esperire dolore anche molto più di quanto si pensi, e per ciò le attuali tutele debbano essere riconsiderate.
Sebbene la legge attuale richieda l’istituzione di commissioni istituzionali che monitorino la ricerca sugli animali, le persone che fanno parte degli Institutional Animal Care and Use Committees non hanno una serie di chiari principi etici sui quali basare le proprie decisioni riguardanti le approvazioni regolamentari. Si dà la precedenza alla ricerca di una risposta scientifica rispetto al benessere degli animali. In questo la tutela degli animali differisce significativamente da quella sull’uomo, dove si proteggono gli interessi degli individui e della popolazione, talvolta a scapito della ricerca scientifica.
Alla conferenza siamo venuti a conoscenza di progressi affascinanti nella ricerca medica, incluso un sistema immunitario umano surrogato per testare la sicurezza dei vaccini, e un approccio rivoluzionario alla ricerca sul cancro al seno.
Susan Love, presidentessa della Dr. Susan Love Research Foundation, specializzata nel combattere il cancro al seno, ha spiegato che la maggior parte della ricerca sul cancro al seno è condotta ancora sugli animali, sebbene gli umani siano una delle poche specie in cui questo tipo di cancro si sviluppa. Susan Love ha parlato anche dello scopo dell’Army of Women (un sodalizio fra Avon Foundation for Women e la fondazione della Love): convertire gli scienziati che conducono ricerche su inefficaci modelli animali alla ricerca di prevenzione al cancro al seno condotta su donne sane.
Se riuscissimo a scoprire i fattori che aumentano il rischio di cancro al seno e i metodi per garantire una prevenzione efficace, molte meno donne dovrebbero essere curate. Inoltre, gli esperimenti sugli animali non forniscono scoperte affidabili e riproducibili che possano essere adeguatamente applicate alle donne. Mentre l’effetto della ricerca sugli animali si esaurisce nell’ambito sperimentale, Army of Women cerca di dare risposte cruciali riguardanti la cura di donne a rischio o affette da cancro al seno. Questa aspirazione ha permesso alla fondazione di contattare facilmente molte donne per studi come il progetto (sostenuto dal National Institute of Health e dal National Institute of Environmental Health) finalizzato a scoprire come l’ambiente e il patrimonio genetico influiscano sul rischio di sviluppare cancro al seno. La ricerca sugli animali non avrebbe certo dato alcun apporto a questo importante studio, iniziato nel 2002.
William Warren ha illustrato come il surrogato di sistema immunitario umano sviluppato in vitro dalla sua società può aiutare a prevedere la risposta immunitaria di un individuo a una particolare droga o vaccino. Questo sistema funziona sostanzialmente come un test clinico in provetta. In altre parole, si tratta di fatto di un sistema immunitario umano che si basa su risposte immunitarie umane, che differiscono da quelle di altri animali. Il sistema include una base di donatori di sangue di centinaia di individui di diverse popolazioni. Può sostituire l’uso di animali per alcuni scopi di ricerca, soprattutto per il test di vaccini. Le tecnologie offerte da questo sistema potrebbero velocizzare il processo di sviluppo di un vaccino contro l’HIV e altre immunizzazioni.
Altri relatori si sono soffermati maggiormente su motivazioni etiche per sostenere alternative alla ricerca sugli animali. Lori Marino, senior lecturer in neuroscienza e biologia comportamentale presso la Emory University, ha parlato della propria ricerca non invasiva sulla percezione di delfini e balene. Ha raccontato come la ricerca invasiva sui cetacei possa portare a reclusione e privazione sociale, stress e malattie, mortalità, e distruzione delle culture sociali. Sebbene sia la ricerca invasiva sia quella non invasiva cerchino di ottenere maggiori conoscenze sulla percezione dei cetacei, la ricerca della Marino non include procedure mediche quali biopsie o tecniche che influenzano la mente, il contesto sociale o la libertà fisica degli animali.
Jaak Panksepp, neuroscienziato alla Washington State University, ha parlato delle evidenti prove che attestano il fatto che gli animali provino emozioni basilari. Per esempio, i topi amano il solletico, persino più degli uomini. Se le nostre orecchie fossero abbastanza sensibili potremmo sentirli ridere. Marc Bekoff, professore emerito in ecologia e biologia evoluzionaria presso la University of Colorado a Boulder, ha evidenziato l’importanza delle vite emozionali e morali degli animali.
Ora è ampiamente riconosciuto che gli animali provino dolore, ha spiegato Bekoff. Decenni di osservazioni e ricerche sperimenatali ci hanno fornito le prove del fatto che gli animali provino dolore fisico. La sofferenza psicologica – paura cronica, ansietà e angoscia – è un altro tema importante, probabilmente uno dei meno considerati nella ricerca animale.
Forse Jeremy Bentham (1748-1832), studente di legge e riformatore sociale, ha detto una grande verità: “Il punto non è ‘possono ragionare?’ né ‘possono parlare?’ ma piuttosto ‘possono soffrire?'”
Dato che gli animali sono esseri senzienti, hanno molte caratteristiche in comune con gli uomini. Per esempio, gli animali mostrano risposte coordinate al dolore e a molti stati emozionali simili a quelle degli uomini. Inoltre, le strutture e i meccanismi neuroendocrini associati a certe condizioni psichiche sono comuni a un ampio range di animali.
Basandosi su queste affinità neuro-anatomica e psicologica, i ricercatori hanno individuato segni di depressione negli animali, inclusi primati non umani, cani, maiali, gatti, uccelli e roditori. L’impotenza acquisita, una forma di depressione che compare nelle persone vittime di violenza domestica, è stata individuata anche nei roditori, nei cani, nelle scimmie – antropomorfe e non – che hanno subito shock inevitabili. Il disturbo post-traumatico da stress e la despressione sono stati osservati negli scimpanzé.
Anche l’assenza di alcune strutture neuro-anatomiche può essere significativa, perché gli animali con circuiti neurali meno organizzati possono avere meccanismi di reazione più limitati e perciò non riescono a ridurre il livello di dolore percepito. Anche altre caratteristiche animali possono essere importanti dal punto di vista etico. Per esempio, molti animali mostrano capacità linguistiche, abilità nella risoluzione di problemi complessi, empatia e coscienza di sé.
Alla conferenza ho esposto il mio studio basato sull’osservazione degli scimpanzé. Io e i miei colleghi abbiamo scoperto che molti scimpanzé utilizzati nei laboratori di ricerca mostrano sintomi di depressione e disturbi post-traumatici da stress anche molti anni dopo la loro liberazione nelle riserve.
Dato che gli Stati Uniti sono rimasti una delle poche nazioni che ancora permette esperimenti invasivi su larga scala sugli scimpanzé, dobbiamo chiederci perché ciò avviene – soprattutto considerando il fatto che la ricerca sugli scimpanzé non ha portato ad alcun risultato utile per gli uomini. Per più di due decenni sono stati testati sugli scimpanzé vaccini contro l’HIV, ma non si è riusciti a produrre alcun vaccino utile all’uomo. Lo stesso è avvenuto per l’epatite C, che ha caratteristiche diverse negli umani e negli scimpanzé. Gli scimpanzé sono colpiti raramente da epatite cronica o complicazioni associate all’epatite, come la cirrosi o il carcinoma epatocellulare. Decenni di ricerca sugli scimpanzé hanno portato solo fallimenti per il cancro, la malaria, le malattie cardio-circolatorie e altre.
Frattanto, gli scimpanzé hanno dimostrato di avere le proprie preferenze nello stile di vita, ad esempio cercano la solitudine, esplorano nuovi posti, rifuggono la paura delle aggressioni, e con gli individui che amano intrattengono rapporti per tutta la vita.
La ricerca sugli animali è una materia complessa. Le nostre opinioni personali sono fondate sull’educazione, l’esperienza, il punto di vista personale. Le conversazioni riguardanti l’uso degli animali nella ricerca sono comprensibilmente inficiate dalle emozioni. Spesso ci si trova muro contro muro.
E’ evidente che stiamo facendo progressi verso l’abbandono degli esperimenti invasivi sugli animali, ma abbiamo ancora molta strada da fare. Spero che la nostra conferenza abbia fatto progredire il dialogo e che porterà a progressi scientifici ed etici sia per la gente che per gli animali.
Negli anni a venire, quando avremo sostituito gli animali nella ricerca, le generazioni future guarderanno indietro e si chiederanno perché questi progressi non sono avvenuti prima. Ma ringrazieranno anche quelli che hanno migliorato la vita degli animali e hanno lottato per una scienza migliore e più etica.
Hope Ferdowsian
Fonte: http://chronicle.com/
Link: http://chronicle.com/article/Animal-Research-Why-We-Need/125240/
7.11.2010
Traduzione per wwww.comedonchisciotte.org a cura di GIADA GHIRINGHELLI