DI MARTHA ROSENBERG
counterpunch.org
E’ stato un grande momento dell’ “educazione medica” finanziata da Big Pharma. Durante un simposio nell’ambito di un incontro tenutosi all’Associazione Psichiatrica Americana nel 2010 ed intitolato “Umore, memoria e miti: cosa accade davvero durante la menopausa” due relatori pagati dalla Wyeth/Pfizer hanno cercato di riesumare la teoria secondo cui le terapie ormonali per sconfiggere il cancro porterebbero dei benefici. Ma il pubblico, prevalentemente composto da donne, non ha voluto sentire storie: quello che a loro interessava sapere era cosa fare con il “cervello al tamoxifene” derivato dal cancro che già avevano.Non bisogna biasimare le donne se si sono dimostrate scettiche nei confronti delle notizie di questa settimana relative al fatto che il farmaco anti-cancro tamoxifene possa salvare delle vite. Dal 1940 è stato detto loro che avrebbero dovuto sottoporsi ad una terapia ormonale sostitutiva (TOS) per tutta la vita, salvo poi scoprire nel 2002 che essa causava cancro al seno, malattie cardiache, ictus e trombosi. Ricerche che sembravano fondate quanto lo studio di questa settimana sul tamoxifene hanno assicurato alle donne che la TOS vita natural durante sarebbe servita a prevenire disturbi al cuore, demenza ed altre malattie, quando invece si è rivelato essere l’esatto opposto.
Il danno causato dalla TOS, tanto raccomandata dalla medicina ufficiale per anni, è plateale, al punto che nel 2002 negli Stati Uniti la percentuale dei tumori al seno tra le donne afflitte da un cancro causato dagli estrogeni si è abbassato del 15 percento dopo che queste hanno abbandonato la terapia ormonale sostitutiva. Quattordicimila donne considerate a rischio di tumore al seno non lo hanno sviluppato perchè ne hanno eliminato la causa, hanno detto i reportage. Più che una cura per il tumore al seno, la TOS ne è l’origine. Purtroppo le donne, i medici e la stampa medica se ne sono già dimenticati e la TOS sta tornando in auge.
Perchè le donne dovrebbero essere scettiche nei confronti dell’inchiesta condotta questa settimana dal Lancet secondo cui chi rimane fedele al più venduto tra i farmaci anticancro, il Nolvadex tamoxifene, per dieci anni invece che per i soliti cinque ha meno probabilità di morire e di avere un ritorno del tumore? (Il che ha già fatto venire a qualcuno l’idea di consigliare l’uso del tamoxifene per tutta la vita).
La prima ragione è che la ricerca è stata in parte finanziata dall’ AstraZeneca, che produce il Nolvadex o tamoxifene. Secondo il Centro per i Media e la Democrazia di SourceWatch, AstraZeneca, precedentemente Zeneca, ha definito il Mese Nazionale della Consapevolezza sul Cancro al Seno una “truffa di pubbliche relazioni”, e ha dichiarato la stessa cosa in merito all’accusa rivolta alla sua società madre, la ICI Pharmaceuticals/Imperial Chemical Industries, di fabbricare pesticidi e organofosfati legati al cancro al seno. Alcuni hanno accusato il colosso farmaceutico di tenere il piede in due scarpe, soprattutto perchè il tamoxifene ha alcune proprietà in comune con i pesticidi che disturbano gli ormoni.
La seconda ragione di tanta diffidenza è che l’uso del tamoxifene comporta una serie di rischi che non sono merce di scambio per nessuno (a meno che tu non sia Big Pharma). “5 anni di terapia a base di tamoxifene possono causare effetti collaterali come il tumore all’endometrio e malattie tromboemboliche. Continuare la cura per altri 5 anni significa aumentare le probabilità che tali effetti si manifestino”, dice l’articolo del Lancet. Secondo l’inchiesta il 3,1 percento delle donne che si sono sottoposte a questi ulteriori 5 anni di terapia al tamoxifene hanno in effetti sviluppato il tumore all’endometrio, contro l’1,6 percento dichiarato.
Le donne sopravvissute al cancro al seno stanno reagendo sempre più negativamente al tamoxifene e a questi “costi opportunità”: “Avevo l’1 percento di probabilità che il cancro si ripresentasse, mi era stato detto che con il tamoxifene si sarebbero dimezzate” dice Kay, un’istruttrice di fitness di Chicago sottoposta ad intervento chirurgico e radioterapia a causa di un carcinoma duttale in situ (CDIS) all’età di 50 anni. “Ciò significa che se mi fossi esposta ai rischi e agli effetti collaterali del tamoxifene le probabilità di ricaduta sarebbero state del 5 percento. Nessuna donna pensante avrebbe acconsentito”.
E oltre ai lati negativi del tamoxifene e alle cause esterne del cancro che continuano ad essere ignorate, inclusa la prescrizione degli ormoni, c’ è un’altra ragione che rende le donne scettiche. In Novembre il New England Journal of Medicine ha pubblicato uno studio secondo il quale negli ultimi 30 anni in più di un milione di donne americane sottoposte a mammografia è stato riscontrato un cancro al seno allo stadio iniziale, che non si sarebbe rivelato mortale se non fosse stato riscontrato o curato. I milioni, o forse miliardi spesi in dollari per la salute a causa di queste diagnosi inutili e di questi eccessi di terapie e la sofferenza delle donne devono ancora essere globalmente quantificati.
“Si spendono più soldi per curare il cancro che per prevenirlo”, dichiara Kay dopo essersi interessata al business che ruota intorno alla malattia – quello che da quando ha ricevuto la sua diagnosi chiama “Tumore al Seno Spa”. “Ecco perchè il CDIS, che è uno stadio 0, un pre- cancro, da loro viene subito chiamato cancro: perchè per curarlo si guadagnano più soldi.”.
Martha Rosenberg
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2012/12/07/pfizers-elixir-of-youth/
7.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DONAC78