DI MONI OVADIA
ilmanifesto.info
Palestina-Israele. Il divieto imposto allo storico israeliano Pappè a parlare all’Università di Roma danneggia la società, la libertà di parola e il censore stesso, che fugge il dialogo per paura
Un blackout della democrazia, quando si tappa la bocca a priori. Domani all’Università di Roma Tre si sarebbe dovuto tenere l’incontro «Europa e Medio Oriente oltre gli identitarismi», a cui avrebbero preso parte, oltre a me, la professoressa palestinese Ruba Saleh, l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini e il professore e storico israeliano Ilan Pappè. Pare che il rettore abbia negato la sala, negato l’accoglienza dell’ateneo dietro presunte pressioni dell’ambasciata israeliana e della comunità ebraica romana.
Ci siamo organizzati: si terrà in un’altra sede, al Centro Congressi Frentani. Ma ciò non intacca il mio profondo sgomento. Seppur non abbia le prove di tale censura preventiva, il divieto di parlare è una prassi troppo ricorrente. Pappè è ospite in un paese che si millanta democratico. Ma è ormai da lungo tempo che una parte delle comunità ebraiche ritiene che non si debba nemmeno trattare la questione palestinese. Silenzio di tomba. Qualsiasi che sia il comportamento del governo o dell’esercito israeliano, non ci si limita a negare il diritto di critica. Ci si spinge tanto oltre da anelare al silenzio totale.
Nei grandi media, nelle tv, nei talk show la questione israelo-palestinese è off limits. Sull’argomento c’è una censura comparabile solo a quella imposta dallo stalinismo e durante l’epoca fascista. La censura è tanto più grave perché viene compiuta per mano di un ateneo, luogo del sapere e del dibattito.
Quanto accaduto è una catastrofe per la democrazia italiana, sì, per noi, ma anche per coloro che impongono il silenzio senza rendersi conto di censurare il pensiero prima che questo venga espresso. Ad uscirne sconfitta è la società, la democrazia, e non solo noi, organizzatori di un evento e depositari di un’opinione, non della verità assoluta. E nel momento in cui si calpesta la libertà di un individuo di esprimere il proprio pensiero, il principio volterriano, la democrazia muore.
Negare la libertà di parola è l’anticamera della dittatura. Impedire a Pappè di dibattere all’università è il risultato di un cortocircuito psicopatologico che colpisce persone terrorizzate dal confronto e dall’opinione diversa. Temono il dibattito a prescindere e impongono una censura plumbea, colonna del pensiero fascista. Altro che cortina di ferro, questa è una cortina di titanio che danneggia, per primo, chi si erge a censore. Censura chi ha paura.
Moni Ovadia
Fonte: http://ilmanifesto.info
14.02.2015