DI RITANNA ARMENNI
Il Riformista
Sono organizzazioni totalitarie in sé come dice Simone Weil? O forse hanno esaurito il loro compito storico e la democrazia oggi ha bisogno di nuovi pilastri
Mi è capitato di leggere in questi giorni un piccolo volume di Simone Weil titolato “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”. Una «modesta proposta» rimasta inedita e pubblicata dopo la sua morte che colpisce per la sua radicalità e la sua potenza.
«I partiti – scrive senza mezzi termini l’eretica Simone – sono organismi costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso di verità e di giustizia», perché sono costruiti proprio per «esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte». «L’unico fine di qualunque partito politico – prosegue la Weil – è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite», di conseguenza «è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono da meno». La conclusione non ammette compromessi: «Se si affidasse al diavolo l’organizzazione della vita pubblica, non saprebbe immaginare nulla di più ingegnoso» e quindi «la soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro».
Nella foto: Simone Weill
Il piccolo volume mi ha colpito molto. Per due motivi probabilmente molto personali e apparentemente contradditori. Quelle definizioni non contenevano quasi nulla di ciò che io avevo fino a quel momento pensato e detto dei partiti e che, con me, avevano pensato e detto molti altri. Ma nello stesso tempo quelle parole così drastiche, appassionate e definitorie mi convincevano, squarciavano un velo, portavano alla luce qualcosa che sapevo e che – paradossalmente – non avevo avuto il coraggio di pensare fino in fondo.
Lo so bene, oggi i partiti non godono di buona fama. Anche l’uomo della strada pensa che il loro fine è il potere. La scarsità di adesioni e di militanza indica che la sfiducia è profonda. La supremazia che i governi hanno ormai acquistato rispetto ai parlamenti e quindi ai partiti che qui sono rappresentati è un segnale inequivocabile della loro crisi.
Ma quelle parole vanno ancora più nel profondo e aprono nuove domande. Dicono che i partiti, non in conseguenza di condizioni date (Simone Weil scrive in pieno stalinismo e nazismo), ma in sé e per sé, in quanto organizzazioni del pensiero e dell’azione, ne contengono la soppressione, producono l’abolizione della libertà di espressione e delle idee di cambiamento.
Naturalmente so bene che, guardando alla storia, mi si potrebbe dimostrare il contrario. Ma il punto interessante non riguarda il passato bensì il presente. L’eretica Simone non stimola sull’analisi di quanto è avvenuto ieri ma sull’oggi e sul domani. La domanda che ci fa o alla quale ci induce è la seguente: la società moderna ha ancora bisogno dei partiti per produrre idee di cambiamento e per organizzarlo? Non stiamo assistendo oggi nel concreto della loro azione al fatto che non sono capaci né dell’uno né dell’altro? Chi dovrebbe sostituirli? E, ancora, se il loro fine, e quindi il fine della politica è il potere, è possibile separare l’una dall’altro? E – soprattutto – è giusto e utile?
Confesso che non so rispondere a queste domande. E a molte altre che Simone Weil con i suoi drastici assunti suggerisce. Ho, invece, alcune piccole certezze.
Negli ultimi anni non ho visto nascere nessuna idea, nessuna analisi convincente della realtà da un partito. È più facile, molto più facile, che essa nasca da un giornale, da un singolo intellettuale e persino da una discussione in un salotto.
Nei partiti di destra e di sinistra il conformismo è la regola. Ed è il conformismo la forma moderna del totalitarismo. La liberazione da esso, che pure alcuni attuano, è quasi obbligatoriamente simultanea all’abbandono del partito che, nel migliore dei casi, rimane uno stanco riferimento elettorale.
Separare il potere dalla politica non è una idea tanto astratta e velleitaria se è vero che milioni di persone si dedicano al volontariato, si organizzano autonomamente, cercano di portare avanti nuove idee di cambiamento. Il senso di verità e di giustizia di cui parlava Simone Weil sta cercando nuovi modi di esprimersi.
Il pessimismo quindi non è d’obbligo. Ma lo è il ripensamento di tutti gli schemi che ci hanno guidato finora compreso quello secondo cui «i partiti sono i pilastri della democrazia».
E se non fosse più così? Se per la democrazia dovessimo trovare altri pilastri, altre parole? Se non potesse essere ridotta a prendere posizione dall’una e dall’altra parte? Se fosse sbagliare liquidare come «qualunquistica» la diffidenza e l’abbandono dei partiti? Se pensassimo a nuovi strumenti per «perseguire il bene pubblico»”?.
Ritanna Armenni
Fonte: www.ilriformista.it/
2.12.08