DI CLAUDIO MOFFA
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Ma è vero badoglismo ?
A una lettura attenta, certezze e confusione si accompagnano giorno dopo giorno sulla guerra contro il governo di Tripoli scatenata da Sarkozy il 19 marzo scorso e ancora in pieno svolgimento. La certezza è che – nonostante le dichiarazioni a raffica contrarie – l’intervento in Libia dei paesi occidentali con o senza Nato è, come ho scritto fin dal primo momento, illegittimo. Illegittimo perché le Nazioni Unite non possono intervenire nel conflitti interni ad uno Stato, ma solo in quelli tra Stati, secondo lo Statuto dell’ONU e secondo tutto il Diritto internazionale “classico”, quello dell’epoca del bipolarismo Est-Ovest (1945-1990). Illegittimo, ancora sulla base della Carta, e in particolare dell’art. 41, perché deve essere il Consiglio di Sicurezza stesso con i suoi Caschi Blu a guidare l’intervento, e non gli Stati a briglia sciolta e tanto meno una organizzazione indubitabilmente di parte quale la NATO. Illegittimo inoltre, anche se si decidesse che quello da seguire è il “nuovo” Diritto Internazionale postbipolare, quello che uno la mattina si sveglia e dice “oggi voglio bombardare questo paese che è troppo propalestinese e ha ancora una Banca statale con bassi tassi di interesse” e parte lancia in resta coprendo la sua vergogna con la foglia di fico dell’ONU.
Anche così, infatti, l’illegittimità resta. Resta perché la stessa risoluzione 1973 che prescrive una no fly zone è stata fin da subito applicata in modo “ultroneo” rispetto a quella che è una zona di interdizione aerea: non cioè un bombardamento contro le postazioni e le sedi governative dello Stato invaso nel suo Dominio riservato, ma solo una azione di pattugliamento dei cieli per impedire all’ aviazione governativa alle prese con una rivolta interna di bombardare “le popolazioni civili” e le zone di insorgenza, quali non sono né i ribelli armati fino ai denti in Cirenaica, né soprattutto la popolazione della Tripolitania, che in rivolta non è e anzi appoggia con ogni evidenza il regime di Gheddafi. Alla fine della prima guerra “alleata” in Iraq, la prima no fly zone – inventata dagli anglo-americani – fu applicata solo nel sud sciita e nel nord curdo, le due effettive zone di insorgenza, e non sui cieli di Bagdad e della regione sunnita centrale, dove Saddam aveva più ampio consenso popolare. Non dovrebbe questo criterio – entro la cornice comunque illegittima della stessa no fly zone – essere applicato anche alla Libia? Non dovrebbe essere proibito alla NATO di far intervenire gli “alleati” su Tripoli e nella regione occidentale tutta?
Certo che sì. Ma la guerra di Libia non rispetta alcuna legge, se non quella della giungla. Ed ecco allora la confusione, che riguarda anche il cercare di capire quello che sta succedendo, e quale è la vera linea di intervento dell’Italia. L’accusa più diffusa è di tradimento di Gheddafi, “badoglismo” nel linguaggio tradizionale della destra. Ma è così veramente? A mio avviso non è possibile affermarlo con certezza, e si può anzi avanzare l’ipotesi che non solo la concessione delle basi alla NATO nei primi giorni di guerra, ma persino la decisione di partecipare ai bombardamenti del 25 aprile scorso mirino in realtà – nell’intenzione soggettiva del governo di Roma – a salvare Gheddafi e non a eliminarlo, come sta cercando di fare il duo Sarkozy-Cameron.
Ma per capire meglio, ripercorriamo le tappe fondamentali della guerra illegittima contro Gheddafi (e contro l’Italia) scatenata da Sarkozy il 19 marzo scorso. Dopo il via alle missioni aree francesi, con il vertice di Parigi del 19 marzo ancora in svolgimento, c’è chi tra gli “Stati volenterosi” – e fra questi il governo italiano – cerca di trasferire il comando delle operazioni alla NATO. Certo, si potrebbe e dovrebbe tornare in sede ONU, ma il comportamento di Russia e Cina nella votazione del 17 marzo – non il veto, ma l’astensione: a Mosca c’è la fiammata improvvisa e fugace del dissenso aperto Medvedev-Putin – impedisce la certezza di un freno ai bollori bellicisti del presidente francese: anche perché a frittata-risoluzione fatta, l’arma del veto è ormai in mano a Parigi e tornare indietro “secondo Diritto” non si può. Dunque altro passo illegale, il comando alla NATO, organizzazione obbiettivamente di parte, un assurdo giuridico: un pragmatismo tuttavia utile per la giungla, reso possibile anche dalla linea cauta di Obama e Gates, cosicché il passaggio delle leve del comando al Patto Atlantico frena i francesi per qualche giorno.
Perché per qualche giorno? Perché già il 2 aprile gli americani si ritirano dalla coalizione e dentro la NATO priva del peso della superpotenza, l’estremismo franco-inglese riguadagna gli spazi formalmente persi con la perdita del comando nominale. Non tutto è probabilmente univoco, vedi la notizia del 12 aprile successivo di un Drone lanciato dal Pentagono (??) sulla Libia: ma se “per errore” alcuni aerei colpiscono anche le postazioni e una nave dei ribelli, e se Gheddafi – dichiarazioni ufficiali a parte – sembra non considerare troppo ostile la posizione dell’Italia, altrimenti non avrebbe mai permesso il dissequestro della nave Asso due il 24 aprile, ecco che il giorno dopo la NATO “attiva”, cioè la NATO anglo-francese (più Canada e altri paesi minori), tenta il colpo maestro, che avrebbe potuto anche finire con l’uccisione di Gheddafi: un attacco mirato non alle postazioni militari libiche, ma al bunker tripolino del rais, 45 civili “feriti” (feriti? Una prima notizia parlava di morti) e tre sicuri morti. Un segnale evidente che Sarkozy “l’israeliano” non molla, vuole Gheddafi morto.
Quel che accade dopo, una ulteriore deriva “badogliana” di Roma, non sembra di nuovo esser tale, appare piuttosto un tentativo di contrastare dall’interno l’oltranzismo franco-inglese. Leggete le cronache: la decisione di Roma di intervenire militarmente è di poche ore successiva, cinque o sei, al bombardamento del bunker di Gheddafi (la France Presse diffonde la notizia alle 0 e tre minuti del 26 aprile). Dopodiché, inizia il “mistero” delle missioni italiane: non vien detto dove sono state compiute, un flash di agenzia parla di un “bunker” forse di Misurata, “già colpito” dagli alleati nei giorni precedenti (strano bombardamento di probabili macerie), e ci si comincia ad interrogare – vedi il Corriere di oggi – se per caso noi ci occupiamo della Tripolitania o no. Già, perché questo potrebbe essere il nocciolo della questione: se a Roma viene assegnata la regione occidentale come zona esclusiva di guerra (“protezione dei civili”, secondo la favoletta di Ban Ki Moon) allora il presunto “badoglismo” potrebbe rovesciarsi nel suo contrario, il tentativo di una difesa di fatto di Gheddafi.
E’ – ripeto – solo una ipotesi. Ma anche se non fosse tale, la guerra libica resta comunque un labirinto assurdo e pericoloso da cui appare difficile liberarsi senza uno strappo deciso. Perché ad esempio, non tornare indietro passo dopo passo, verso un minimo rispetto della legalità? Perché non imporre dentro la NATO un effettivo rispetto almeno della risoluzione 1973, ricordando che gli anglo-americani con la no fly zone di venti anni fa non bombardarono Bagdad ma solo le zone di effettiva insorgenza, e questo è uno dei discrimini fondamentale tra l’azione preventiva prevista dalle zone di interdizione, e una guerra di aggressione? Perché non recuperare la memoria di Bush padre, colui che blocco’ il generale Schwarzpof sulla strada di Bagdad, e che impedì a Moshe Arens di scatenare un attacco aereo contro Saddam alla fine della prima guerra d’Iraq, anno 1991?
Nonostante tutte le buone intenzioni possibili, l’azione di contrasto dall’interno di una guerra i cui promotori puntano a uccidere Gheddafi, a rubare il petrolio a a lui e a noi, e a obbedire ciecamente alle forme più oltranziste esistenti in Occidente, rischia di farci scivolare di tragedia in tragedia. La Siria incombe sempre più, e già nelle prime quarantotto ore della crisi del paese che dal 1967 sta aspettando che Israele restituisca le alture del Golan, il senatore americano Lieberman – il falco pro israeliano con cui polemizzo’ Putin nel vertice di Monaco del 2008 – ebbe a chiedere subito un’altra “no fly zone”, cioè un’altra aggressione. Poi dopo la Siria, ci sarà l’Iran … Per arrivare dove? Esistono altre vie? Esiste la possibilità di un rilancio della diplomazia internazionale, dopo la sconfitta del 17 marzo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU? Forse sì. Un ritiro delle concessioni delle basi della NATO agli alleati – come paese sovrano e “in prima linea”, l’Italia può ben decidere autonomamente – potrebbe essere solo l’inizio di una riattivazione dei molteplici canali diplomatici oggi “in sonno”. C’è l’ Unione Africana, un continente intero che ha disertato il vertice parigino di Sarkozy. C’è la Russia, con le notizie recenti di una possibile uscita di scena di Medvedev e il ritorno in sella di Putin. C’è la Cina, con i suoi interessi economici: e poi la Turchia, paese della NATO e tutta una serie di paesi minori e maggiori che possono levare la loro voce per far sì che gli anglo-francesi vengano ridotti alla ragione del diritto. Con tutti i vantaggi evidenti per l’Italia, a partire dal blocco dell’immigrazione clandestina, per più di due anni garantito dall’accordo con Tripoli del 2008.
Claudio Moffa
Fonte: http://www.claudiomoffa.it/
30.04.2011