DI SIMONE SANTINI
È ormai dato comune la percezione che gli Stati Uniti, e l’ordine imperiale da essi costituito a livello mondiale dopo la fine dell’Urss, siano in crisi e forse destinati, in varie forme, ad abdicare. Da anni il web è inondato da analisi, articoli, commenti che sviscerano la questione fondamentale dell’epoca contemporanea. Anche la pubblicistica italiana si è confrontata sul tema con autori del mainstream o di nicchia (1).
Sono in definitiva tre i temi posti a fondamento di tale percezione: l’ascesa dei paesi cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) più altri, che paiono in grado di affermare una propria indipendenza e dunque un nuovo corso multipolare; la crisi economico-finanziaria nata appunto negli USA e che dal 2007-2008 scuote soprattutto l’Occidente; le defaillance militari post 11 settembre in Afghanistan e Iraq.
A questi fattori va aggiunto un panorama mondiale, specialmente negli ultimi anni, che sembra farsi sempre più caotico e privo di guida, con tensioni o addirittura guerre che si susseguono nelle cerniere fondamentali del pianeta.
Effettivamente la concomitanza in un arco temporale piuttosto breve di tutti questi fenomeni suggerisce la possibilità di un Impero allo sbando, in preda ad una crisi sistemica di cui non trova la via d’uscita. Ma non è detto che di tutti questi elementi, presi singolarmente e nel loro insieme, si debba dare una lettura univoca. Guardiamoli oggettivamente.
Quello dei BRICS è sicuramente un percorso innovativo e molto interessante. Esso appare però ancora in fieri e privo di organicità e strutturazione. Da anni si sente parlare del progetto di una Banca internazionale dei BRICS che possa fungere da contraltare alla Banca Mondiale e al FMI a guida americana, ma anche partendo subito servirebbero ancora anni per diventare un fattore realmente efficace. Non si può inoltre nascondere che tra alcuni attori dei BRICS, quelli determinanti, ci siano rivalità storiche e fattori di concorrenza politico-economica o demografica (vedi ad esempio tra Cina e India, tra Cina e Russia) su cui gli USA potrebbero intervenire per determinarne la disgregazione.
La crisi finanziaria è originata dai limiti dello sviluppo del sistema capitalistico. Poiché l’economia reale, produttiva, con i mercati ormai saturi, non garantiva più margini di profitto per i detentori del capitale finanziario, questi ultimi si sono inventati il gioco per cui, di speculazione in speculazione, il denaro generava se stesso in un vortice autoreferenziale di finanza creativa. Una enorme bolla di soldi virtuali che vale, a seconda delle stime, decine di volte il PIL mondiale, ovvero i beni e servizi realmente prodotti. Prima o poi la bolla scoppierà o verrà sgonfiata in qualche modo. Vedremo chi ne pagherà il prezzo. Nel frattempo, però, questa massa di denaro può essere impiegata dai “Masters of Universe” per fare shopping tra i pezzi industriali pregiati dei sistemi economici in crisi (vedasi in Italia) o fare letteralmente incetta di terra coltivabile in Africa o America Latina.
Parallelamente, la crisi finanziaria americana è stata abilmente dirottata in Europa e trasformata in crisi dei debiti sovrani per cui la locomotiva centro-europea a guida germanica è stata letteralmente circondata da PIIGS, paesi maiali a rischio bancarotta (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna). Insieme ad altri fattori di cui si dirà tra poco, ciò sta determinando il più grande successo di questa fase per l’Impero: scongiurare ogni tentazione di costituire un blocco europeo continentale, da Lisbona a Mosca, indipendente politicamente, autosufficiente dal punto di vista economico, culturalmente e territorialmente coeso, avanzato tecnologicamente, armato nuclearmente, complessivamente il più ricco e dinamico del pianeta, più degli stessi Stati Uniti. Altro che BRICS.
Infine le non vittorie militari e conseguenti sconfitte politiche sono tali solo se viste nell’ottica della classica conquista coloniale ma non se inquadrate in un cambio di strategia. La geopolitica del caos è una metodologia imperiale più oscura e complessa, molto efficace in alcuni passaggi storici. Propugnata da alcuni settori dell’establishment americano che hanno in Zbigniew Brzezinski il loro pubblico rappresentante più noto (già Segretario di Stato durante la presidenza di Jimmy Carter e allora ideatore della “trappola afgana”) questa tecnica, se ben condotta, è utile per tenere divisi i popoli “barbari”, impedire la nascita di potenze regionali o che altre potenze egemoniche possano inserirsi in aree strategiche per gli Stati Uniti.
In tal senso, se si osservano sorgere i focolai di crisi come funghi che nascono spontaneamente, nottetempo, in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Ucraina, Palestina, allora sembrerà davvero un mondo in preda alla pazzia senza più gendarmi in grado di imporre l’ordine. Se invece si ammette la possibilità, terribile e dunque da sottacere, di una regia di fondo che a seconda delle opportunità muove marionette, favorisce attori già presenti sul terreno, lascia alcune dinamiche libere di compiersi mentre ne impedisce altre, allora apparirà lampante un quadro complessivo lucido e atroce in cui il destino dei popoli è giocato come su una “grande scacchiera”.
Emblematico il caso ucraino attraverso cui gli USA stanno ottenendo il risultato storico di dividere in uno spazio temporale decisivo la Russia dal resto d’Europa, colpendo al contempo Mosca e Berlino, costringendo la UE a votare sanzioni contro un possibile alleato strategico e contro i propri stessi interessi, contorcendosi e ripiegandosi su se stessa.
Dove siamo diretti dunque, quali scenari sono possibili? Userò come supporto per rispondere alla domanda una analisi del professor Aldo Giannuli che in un recente articolo ha sintetizzato i termini della questione enucleando quattro possibili scenari (2). Consigliando la lettura integrale, cerco di riassumere brevemente le ipotesi avanzate da Giannuli: a) gli USA si arroccano sulla difensiva, sfruttano i vantaggi strategici che ancora detengono e cercano di sopravvivere il più a lungo possibile; b) gli USA assorbono l’Europa e cementano un blocco occidentale attraverso un trattato di libero scambio e rilanciando la Nato; c) gli USA accettano un nuovo ordine bipolare formato da loro stessi e la Cina (o la Cina più la Russia); d) gli USA accettano un ordine multipolare con l’ingresso di nuove potenze in una sorta di Consiglio di Sicurezza dell’Onu riformato.
È sorprendente che il prof. Giannuli non preveda, al di fuori di questi schemi, altri sbocchi che non siano “il progressivo degenerare [.] verso un disordine mondiale sempre più caotico”. Ovvero nemmeno prenda in considerazione la possibilità che l’attuale situazione si consolidi, mutatis mutandis, con gli Stati Uniti che rimangono l’unica super-potenza imperiale. Tale ipotesi è ormai davvero da scartare?
La condizione attuale è quella che ha maggiori probabilità di prosecuzione almeno nel medio termine. Nessuna nazione appare in grado non solo di soppiantare, ma nemmeno di sfidare gli Stati Uniti con la forza, quindi o gli stessi implodono o decidono autonomamente di cedere almeno in parte la loro sovranità planetaria; la prima ipotesi sembra più verosimile della seconda.
Secondariamente, ma non per importanza, ritengo che gli Stati Uniti non si trovino in una fase di ritirata più o meno disordinata ma siano, al contrario, in piena offensiva. Certo, l’esito vittorioso di questa offensiva non è scontato ma la condizione strategica appare loro favorevole. In Medio Oriente, con possibilità di proiezione anche in Africa, Israele rimane l’unica vera potenza regionale ad eccezione dell’Iran. Ciò getta una luce sinistra sulla lentezza con cui stanno procedendo i negoziati sul nucleare iraniano, il cui esito viene rinviato di mese in mese mentre non si può ancora escludere l’opzione militare (3). Ad Oriente, gli accadimenti ucraini determinano, come si diceva, l’accerchiamento ad ovest della Russia ed il controllo sempre più stretto sull’Europa da parte americana.
In definitiva Cina e Russia vedono sempre più comprimersi i rispettivi spazi di manovra e per resistere sarebbe ormai necessaria la loro compenetrazione: ma, davanti alle sfide che lancerà l’Impero, Mosca sarà pronta a morire per Pechino e Pechino sarà pronta a morire per Mosca? Gli USA stanno agendo per alzare sempre più lo scotto della competizione per la supremazia con una azione pressante di sfiancamento, accerchiamento, logoramento, che possa portare almeno uno dei due grandi avversari strategici ad accettare la leadership americana piuttosto che un confronto militare diretto. Nel corso dei decenni trascorsi gli USA hanno dimostrato di cercare un rapporto privilegiato con la Cina, probabilmente ritenuta maggiormente plasmabile e assimilabile alle regole neoimperiali del “finanzcapitalismo”. Al contrario, come ha scritto Giulietto Chiesa, le correnti spirituali più profonde della Russia dimostrano di essere una fortissima resistenza contro la conquista (4).
Tirando le somme, propongo una quinta ipotesi di scuola da aggiungersi alle quattro delineate dal prof. Giannuli:
e) gli Stati Uniti rimangono la potenza imperiale di riferimento in una architettura piramidale a carattere neofeudale a cui gli altri Stati si associano, a vario rango, in condizione di vassallaggio. I grandi Stati vassalli avrebbero aree di influenza di loro pertinenza (a titolo di esempio: alla Cina l’Asia orientale, alla Germania l’Europa, al Brasile il Sudamerica, ecc.). Le Nazioni che non volessero sottomettersi spontaneamente sarebbero affrontate con la forza. In questo schema sembrerebbe naturale che la struttura neofeudale si riflettesse anche all’interno dei singoli Stati con strutture sociali piramidali e con potere e grandi ricchezze detenute da piccole élite.
L’appello a tutti coloro che ritenessero un tale scenario almeno possibile, e non volessero ad esso assoggettarsi, è di considerare in questa fase la Russia come la terra di confine di un autentico scontro di civiltà. E conseguentemente fare una scelta di campo tra la civiltà umana e la civiltà della barbarie.
P. S. Si accettano scommesse sul rango di vassallaggio riservato all’Italia
Simone Santini
Fonte: http://megachip.globalist.it
Link: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=108024&typeb=0&E-se-gli-USA-stessero-vincendo-
11.08.2014
Note:
(1) A titolo di esempio cito: Sergio Romano, Il declino dell’Impero americano, Longanesi (2014); Giacomo Gabellini, La Parabola, Anteo Edizioni (2012).
(2) Aldo Giannuli, Prove tecniche di neo-bipolarismo.
(3) Per un approfondimento rimando al mio testo “Iran 2012” che, benché ormai datato per taluni aspetti, mantiene ancora a mio avviso valido il contesto di fondo dell’analisi.
(4) Giulietto Chiesa, prefazione al volume di Paolo Borgognone “Capire la Russia” (Zambon editore).