DI CARLO BERTANI
Ci siamo addormentati con ancora negli occhi la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi – trionfo di suoni e colori della millenaria Cina – e ci siamo risvegliati fra le montagne del Caucaso, nella polvere sporca, macinata dai cingoli dei tank.
Subito dopo, è partito il coro delle lamentazioni da parte del cosiddetto Occidente, e delle affermazioni da parte russa. Il risultato: fiumi di parole avvelenate, sentor di tradimenti nell’aria, rivolgimenti delle cancellerie europee ed una sola, nitida realtà.
Sopra il clamore delle minacce velate ed esplicite, rimangono quei carri armati russi placidamente adagiati nei pressi della città di Stalin, quei posti di blocco a poche decine di chilometri dalla capitale, Tblisi, gestiti da giovani soldati russi che sembrano quasi partecipare ad un’esercitazione.
Ce ne dobbiamo andare? – sembrano raccontare i loro visi – sì, forse…anzi no, ce ne andremo…ma il colonnello non ha ancora dato l’ordine, i generali ammiccano, i grandi capi esternano…
Intanto, i tank continuano ad osservare la calura dell’estate georgiana dai sistemi di puntamento dei loro cannoni, i soldati dall’ombra di qualche rachitico arbusto, forse qualche pilota dall’abitacolo del suo Mig.
La realtà, che il cosiddetto Occidente sembra non comprendere, è che i russi – per la prima volta dopo il 1945 – sono usciti dai loro confini per attaccare forze armate a loro nemiche e le hanno annientate.
Che una faccenda chiamata “Saakashvili” non potesse continuare così all’infinito – era iniziata con un presidente regolarmente eletto spintonato fuori dal Parlamento – c’era da aspettarselo: oggi un campo d’addestramento in Kosovo, domani qualche radar sui confini russi, dopodomani rampe di missili nell’Europa orientale, al termine hanno fatto tracimare la pazienza dei russi.
Così, l’Occidente, scopre un giorno d’estate d’essere impegolato in una faccenda molto seria – che rammenta la crucialità storica del Caucaso, il delicato crocevia che rappresenta – senza avere un gran che da dire.
A parole, certo: fiumi di parole, centinaia di dichiarazioni, migliaia “d’avvertimenti” alla riottosa Russia, la quale mostra di non voler capire che noi siamo i più forti e, di conseguenza, usiamo il diritto internazionale come tutte le altre carte. Anche igienica, all’occorrenza, quando si tratta di lanciare un attacco notturno sulla popolazione civile a suon di cannoni e lanciarazzi.
Terminate le minacce e gli “avvertimenti”, però, rimane la realtà di quei carri placidamente adagiati nei campi, e gli ospedali georgiani zeppi di feriti, quasi tutti piagati – nel corpo e nello spirito – dall’inferno scatenato dagli aerei russi.
Perché, la realtà poco evidenziata, è che i russi non hanno poi fatto molto: hanno semplicemente scatenato l’aviazione su un esercito raccogliticcio, mal armato ed equipaggiato, privo di copertura aerea, che s’era immaginato di scorrazzare per l’Ossezia come gli aggradava, aizzato dal “patriottismo” di una sorta di Noriega caucasico, finanziato ed addestrato direttamente a Washington.
Si possono fare molte ipotesi sui retroscena politici che hanno condotto Saakashvili ad osare, su chi lo abbia convinto che sarebbe stato supportato, su chi gli abbia fornito “notizie certe” che i russi sarebbero rimasti alla finestra: oggi, poco importa, tutto è sopravanzato dagli eventi. Senza accorgercene, siamo già al domani.Quale?
Le ipotesi che circolano sono per lo più improntate al catastrofismo: tutti stanno già correndo a riaprire arsenali e si preparano alla guerra totale, magari atomica. Gli oleodotti dettano l’agenda politica e militare: domani – è ovvio – s’andrà a morire per Tblisi.
L’edizione che va per la maggiore è che, un Occidente ricco ed armato, farà un sol boccone di una Russia con le pezze al sedere, piazzando qualche portaerei di fronte al porto di Poti, qualche centinaio di jet negli aeroporti georgiani e qualche migliaio di super-addestrati fantaccini a ridosso dell’Ossezia e dell’Abkazia. Tutto da copione, come in Kosovo.
La Georgia entrerà nella NATO e nell’UE, si convertirà all’euro, “darà una mano” alla Turchia per la questione curda ed a Washington per quella irachena, e tutti vivranno felici e contenti. I russi, ovviamente, si dovranno accontentare della solita pippa.
L’unica nota stonata sono quei carri armati nella calura georgiana…che non dovrebbero essere lì, dovrebbero stare tutti ben riuniti nelle loro caserme per essere diligentemente bombardati dai nostri stealth…perché i russi con capiscono? O, forse, sono altri a non capire?
La prima cosa che l’Occidente dovrebbe cercare di capire – se mai sono ancora capaci di un minimo d’analisi – è che in Kosovo le cose non andarono proprio in quel modo. L’Occidente, non vinse nulla: bombardò per 78 giorni la Serbia ed il Montenegro – talvolta il Kosovo – giungendo, con lo strapotere dei suoi mezzi aerei, a distruggere circa il 40% dell’aeronautica serba ed una ventina di mezzi corazzati e blindati.
Nessun “g-man” super tecnologico mise piede nel Kosovo: lo fecero soltanto quando la Terza Armata serba s’era ritirata oltre Mitrovitza.
Quella guerra fu vinta – se così si può dire – sui cieli di Belgrado, di Nis e di Novi Sad, a colpi di bombe da 250 libbre sganciate – quasi “seminate”, verrebbe da dire – su tutto quello che si poteva colpire, civili o militari che fossero: la solita teoria di far cedere il “fronte interno”. Prima delle elezioni europee, ovviamente, costi quel che costi.
Se qualcuno ancora ritiene quella guerra una “fattiva” e “volonterosa” collaborazione fra 19 forze armate nazionali, dovrà spiegare perché i francesi – piccati per non essere stati avvertiti del bombardamento dell’ambasciata cinese – pensarono bene di “passare” ai serbi i piani di volo. Nessuna “gola profonda” né documenti super-segreti: ammissioni dei piloti statunitensi di fronte alle telecamere[1]: «O non trovavamo niente, o trovavamo “troppo” ad attenderci».
Il petrolio, però, metterà tutti d’accordo: Tblisi val bene una messa!
L’Occidente, però, non ha buona memoria: dimentica quel 90% delle concessioni petrolifere irachene – in mano a Francia e Russia – che passarono, appena abbattuto Saddam, alle compagnie statunitensi. Francia e Russia sbraitarono non poco e – sarà un caso – ma Sarkozy è volato a Mosca per far firmare ai russi un semplice “cessate il fuoco” che al Cremlino hanno subito accettato, tanto era loro favorevole. Sarà un caso che Saakashvili è giunto a mangiarsi la cravatta dalla rabbia?[2]
E’ dovuta scendere dal cielo Santa Condoleeza degli Affranti, per far digerire a Tblisi un cessate il fuoco che assomiglia tanto ad una resa. Arbusto da Crawford tuonava che “la pazienza aveva un limite”: intanto, i tank russi continuavano a sudare nella calura e le noccioline, probabilmente, ad andargli di traverso.
Dopo altri giorni[3], il ministro degli esteri francese Kouchner continua ad affermare che “senza dialogo, non vi sono possibilità di fermare il conflitto tra Georgia e Russia”: insomma, se qualcuno aveva tolto la sicura alla pistola, s’affretti a rimetterla.
Madame Merkel da Amburgo – ma laureata a Lipsia, nella DDR – intanto, assicurava che la Georgia sarebbe entrata nella NATO: prima o poi, ovviamente. Vorremmo sapere se l’ingresso della Georgia nella NATO coinciderà con l’inaugurazione del nuovo gasdotto – società mista russo-tedesca ed ex premier germanico Schroeder chiamato a dirigerla – che dovrebbe avvenire nel 2010. Un paio d’anni al massimo.
Quel gasdotto taglierà fuori completamente Ucraina, Polonia e Bielorussia dal percorso del gas siberiano, trasformando la faccenda
in un affare quasi privato fra Russia e Germania. Sicura, frau Merkel, di non voler precisare meglio la sua posizione?
Perché, vede, ci torna alla mente che russi e cinesi hanno recentemente stilato un accordo per stendere definitivamente la carta dei loro confini in Asia – scontri nei pressi dell’Amur e dell’Ussuri, ricorda? Eravamo ragazzi… – e fa parte dell’accordo, ovviamente, la fornitura di gas russo.
Ora, metaforicamente, se Vladimir Putin è seduto nei pressi di due rubinetti del metano, uno con scritto “Europa” e l’altro “Cina” – e può aprirli e chiuderli a piacimento per il prossimo mezzo secolo – …abbiamo capito…era stata fraintesa.
La nuova geopolitica del gasdotto baltico – più che qualche intercettore[4] in Polonia – sembra scuotere parecchio le classi dirigenti dell’Europa orientale, “arancioni” e non.
Nella “arancione” Ucraina, il premier Yushenko ha pensato bene d’accusare di “alto tradimento” – una personale interpretazione del diritto – Julia Tymoschenko, l’eterna alleata/rivale, perché – a suo dire – stava facendo pappa e ciccia con i russi. Molto probabile, visto che l’Ucraina è in una situazione delicata: all’est, regione mineraria ed industriale, la maggior parte della popolazione è di etnia e lingua russa, e tantissimi hanno un passaporto russo in tasca.
Cosa succederebbe, se Kiev decidesse d’entrare nella NATO? Una scissione, oppure scenari ancora peggiori: forse, la Tymoschenko ha messo a frutto il suo intuito femminile, e s’è messa “al vento”. O, forse, ha buona memoria e non ha scordato i “discreti” movimenti di corazzati russi in concomitanza di quella che fu definita la “guerra del gas” fra Mosca e Kiev, negli ultimi giorni del 2005: ho sempre ritenuto che le donne siano dotate di maggior buon senso rispetto agli uomini.
Novità sorprendenti anche dalla “fedelissima” Bielorussia, dove l’inossidabile Lukachenko ha deciso di liberare il capo dell’opposizione, Vintsuk Vyachorka, così, per le ferie d’Agosto. Un desiderio di Mosca (facciamo vedere che siamo democratici…)? Oppure un avvertimento al Cremlino, poiché i tank russi e gli oleodotti che ti tagliano fuori non piacciono proprio a nessuno?
E veniamo al grande monolite europeo, quello che dovrebbe reggere lo scontro con l’orso russo.
Cementata dal Trattato di Lisbona – che le popolazioni hanno acclamato con feste di piazza e referendum confermativi dai risultati “bulgari” (!) – la Grande Europa s’appresta a varcare i confini orientali, per definire finalmente chi comanda in questo pezzo di pianeta.
Sì…qualcuno s’è lanciato così avanti da proporre addirittura l’invio di una ventina di “caschi blu” – rigorosamente sotto l’egida dell’ONU – ma solo venti, perché al ventunesimo scatterebbe il veto di Mosca.
Non ci sembra d’udire assordanti tintinnii di baionette, da Lisbona a Berlino: forse a Varsavia ed a Vilnius, ma ci sembrano baionette spuntate ed un po’ rugginose. E, ad onor del vero, sono “baionette” che in sede europea hanno più volte irritato Parigi e Berlino, con una serie di bastoni fra le ruote che fanno pensare più a dei “Quisling” statunitensi in terra europea.
Addirittura, si paventano ritorsioni di natura nucleare: città russe cancellate da una vampa atomica, nel perfetto copione di Hiroshima. Ovviamente, Tblisi vale tutto ciò, ossia Francoforte, Berlino, Parigi, Roma…rese in cenere dagli ICBM di Mosca. Uno scenario veramente da crederci. Ad occhi chiusi, appunto.
Su tutto, la grande “regia” americana che tutto puote, con l’importante ausilio della finanza e dell’intelligence israeliana. Qui, non mettiamo in dubbio le intenzioni, ma George W. Bush (ed accoliti vari) dovrebbe per prima cosa ristudiare due argomenti: i verbi al condizionale (potrebbe, vorrebbe, sarebbe…) e la costituzione americana. Perché?
Poiché, se il suo ardire è quello di condurre la nazione in guerra per avere un terzo mandato, dovrebbe ricordare che siamo alla fine d’Agosto e gli rimane poco tempo per agire: il Congresso potrebbe concederglielo, ma a fronte di una vera guerra – dichiarata e di notevole importanza – non certo per qualche “pasticcio” di peacekeeping, “polizia internazionale” o roba del genere. Ci sembra, francamente, fuori tempo e fuori luogo: per il futuro, stia piuttosto attento alle noccioline di traverso.
Tutto sembra quindi rinviato al prossimo inquilino della Casa Bianca, il quale dovrà per prima cosa cercare di far scemare il numero degli americani che sono oramai ridotti all’elemosina, dare una casa a quelli che vivono nei camper, poi d’uscire dal pantano iracheno (magari con una re-distribuzione delle concessioni petrolifere) e cercare non nuovi scenari di scontro, bensì accordi per salvare il salvabile. La situazione economia americana, non consente più di rimandare oltre.
Libano, Iran, adesso la Georgia…è tutto un fiorire di roboanti affermazioni, bilanciate – però – da altrettanti fiaschi militari e strategici. Obama va a lezione da Brezinsky? Bene, ma dovrà stare attento, perché il vecchio marpione non s’è mostrato quell’aquila che si credeva: c’è riuscito in Afghanistan, ma quella era un’altra epoca…
Mc Cain vuole portare i marines in Georgia? Benissimo: e dove li trova? Ha anch’egli le armate di terracotta cinesi? Perché, ci sembra, che non trovino nemmeno sufficienti effettivi da inviare in Iraq: la Russia ha ancora la coscrizione obbligatoria, gli USA ne parlano, ne parlano e basta, appunto.
Mosca si ritirerà dalla Georgia – con tutto comodo, ovviamente – perché ogni giorno che passa dimostra che, pur non avendo più il “pedigree” di potenza “planetaria”, è sufficientemente coesa ed ha forze in grado d’impedire simili avventure ad un passo dai suoi confini.
I georgiani scorderanno presto l’Ossezia del Sud e l’Abkazia: del resto, hanno spumanti di produzione nazionale che possono, alla bisogna, aiutarli nell’oblio.
Bush andrà a brindare con loro, ricordando i vecchi tempi. Condoleeza, finalmente, convolerà a nozze con qualche ex pugile od ex agente CIA. Il gas fluirà potente sotto il Baltico ed i missili rimarranno inoperosi – come lo sono da decenni – nei loro silos.
Il resto? Parole, parole, parole…Tblisi: chi era costui?