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DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
blogs.telegraph.co.uk

Siamo sulla via del ritorno?

Ormai si sono messi a nudo : Moody’s ha abbassato di due tacche il rating italiano, portandolo quasi ad uno “ junk status” . E’ un atto d’accusa contro l’intera politica della zona euro di contrazione e di terapia dello shock.

In Italia la prospettiva  economica a breve termine si è deteriorata, come si vede  da una crescita più debole e da una disoccupazione maggiore, che portano al rischio di mancare gli obiettivi di consolidamento fiscale. Il mancato rispetto di obiettivi di bilancio, a sua volta, potrebbe indebolire ulteriormente la fiducia dei mercati, aumentando il rischio di una brusca frenata dei finanziamenti sul mercato.
Etc, etc

Se Fitch seguirà l’esempio di Moody’s, il downgrading spingerà verso una cascata di vendite sia i fondi asiatici che tutti gli altri, con tutte le conseguenze e limitazioni che questo porterà sul debito. Questi investitori hanno smesso di comprare debito italiano qualche mese fa, naturalmente: Ma non hanno neppure venduto. Lo faranno.

Moody’s fondamentalmente dice che la drastica austerità imposta all’Italia da parte della BCE dopo il suo Putsch di fine estate (acquisti e vendite di obbligazioni fino a forzare Silvio Berlusconi a lasciare il potere) è essa stessa la causa della profonda crisi.

La combinazione delle politiche di contrazione è stata disastrosa. La BCE lo scorso anno ha permesso – o meglio causato – che la massa monetaria italiana crollasse da M1 a M3, cioè a tassi da Grande Depressione buttando la politica monetaria nel baratro. Questo è stato uno dei peggiori episodi di errori di politica monetaria dell’ultimo mezzo secolo.

Il risultato della combinazione di stretta monetaria e fiscale doveva essere sicuramente evitato essendo troppo dannoso perché crea una  recessione doppia. La Confindustria italiana avverte che l’economia si ridurrà del 2,4 % solo quest’anno e forse molto di più, aggiungendo per buona misura che le eccessive misure di austerità stanno riducendo il paese a “macelleria sociale”.
Questa medicina degli anni 1930 è la ragione principale per cui l’Italia, dopo aver individuato la linea per uscire dal debito è improvvisamente ridiventata brutta, con il debito pubblico al galoppo fino al 126% del PIL quest’anno secondo il FMI.

Moody’s sembra assecondare il “consolidamento” degli obiettivi fiscali imposti al paese da Berlino, Francoforte e Bruxelles. Non dovrebbe farlo. Quelle richieste sono velenose. L’Italia ha già un surplus primario di bilancio che arriverà al 3,6% del PIL quest’anno, e al 4,9 % il prossimo anno.

Questo è di gran lunga il “miglior profilo fiscale” nel blocco G7, ma è una vittoria di Pirro. Gli effetti recessivi stanno annullando i guadagni. Il debito sta accelerando verso l’alto. La struttura industriale del paese è stata dissanguata.

Il risultato politico è la spettacolare ascesa di Beppe Grillo, il flagello dell’euro e ora “sindaco” di Parma. Berlusconi può già annusare l’occasione, il lancio del suo ritorno con una piattaforma anti-Merkel, anti-tedesca, anti-ECB, e anti-Europa.

“Non è una bestemmia parlare di abbandono dell’euro”, dice, chiedendo un ritorno alla lira a meno che la BCE non negozi un patto per la riduzione dei rendimenti delle obbligazionari italiane.
L’uscita dall’Euro avrebbe “i suoi vantaggi”, dice. “Una svalutazione ci permetterebbe di esportare. Finiremo in una spirale recessiva sempre peggiore se vogliamo andare avanti nel perseguire le politiche della signora Merkel.”

Personalmente, sono rimasto sbalordito dal livello di amarezza che ho provato durante un viaggio a Roma di tre settimane fa. Un alto funzionario – da lungo tempo sostenitore e controller della EMU – mi ha detto che l’euro era “praticamente morto”.

Appena il 30% degli italiani ora pensa che l’euro sia stata una “buona idea” (Pew Trust). E hanno certamente buone ragioni per sentirsi offesi. L’Italia non è fondamentalmente un caso disperato. E ‘stata trasformata in un caso disperato dai meccanismi perversi dello stesso euro.

Se si somma il debito pubblico e privato si arriva al 260 % del PIL, come la Germania e molto meno di Francia, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone. Con la ricchezza privata di € 8.600 miliardi, gli italiani sono più ricchi, pro capite, dei tedeschi.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’Italia ha il punteggio migliore nell’indicatore di sostenibilità a lungo termine del debito : 4,1, davanti a Germania 4,6, Francia 7,9, il Regno Unito 13,3, Giappone 14,3, e Stati Uniti 17.  

E’ uno dei pochi paesi che ha rimesso ordine nella crisi delle pensioni.

Il solo grosso problema è che l’Italia è nella valuta sbagliata.
Come tutti sappiamo ormai, dal lancio dell’Unione economica e monetaria l’Italia ha perso il 30 % circa in competitività sul costo del lavoro unitario rispetto alla Germania per effetto del blocco di una spirale inflazionistica e di scarsa crescita della produttività.

Il danno è stato fatto. Non è possibile riportare l’orologio indietro.

Lo storico Surplus commerciale dell’Italia sulla Germania si è trasformato in un grande deficit strutturale, bloccato in modo definitivo dagli effetti dell’UEM.
Hanno poche speranze di recuperare il terreno perduto abbassando i salari o con una “svalutazione interna”, perché comunque si genererà altro caos per la dinamica del debito, se non arriverà prima una rivoluzione.

David Woo della Bank of America ha appena scritto una “teoria dei giochi”, è lo studio della zona euro che sostiene che l’Italia trarrebbe vantaggio più di ogni altro paese (eccetto l’Irlanda) liberandosi e riprendendo il controllo sovrano dei suoi strumenti di politica.

Questo darebbe all’Italia un leva importante in una prova di forza con la Germania … anche se Wolfgang Schauble capisce che questa è un’altra questione.

L’analisi dell’avanzo primario del paese rivela che si può lasciare l’UEM in qualsiasi momento (a differenza di Grecia, Spagna o Portogallo);  l’Italia è grande abbastanza per farcela da sola. La sua esposizione patrimoniale verso l’estero è solo leggermente negativa (a differenza della Spagna, in rosso per la somma del 92% del PIL).

Il tasso molto alto del risparmio in Italia e la ricchezza privata spiegano che qualsiasi shock si abbattesse sul tasso di interesse, questo potrebbe essere ruotato di nuovo nell’economia con pagamenti più alti per gli obbligazionisti italiani. E macro-effetti seguirebbero anche all’estero.

Né accetto nemmeno il solito mantra che l’Italia ha i tassi d’interesse che salgono troppo tardi. Sono già saliti in termini reali (anche se oggi sono più bassi in termini nominali che nel periodo in cui c’era ancora la Lira).

In effetti, un calcolo di convenienza confermerebbe che l’unico modo per l’Italia per abbattere i costi finanziari reali in questa fase è quello di lasciare immediatamente l’euro.

Gli Italiani ovviamente decideranno del loro destino.

Durante le mie vacanze in Italia, ho letto un eccellente resoconto di Arrigo Petacco sulla Seconda Guerra Mondiale vista dal punto di vista italiano, “La Nostra Guerra 1940-1945”.
Il tema che più mi ha colpito è stato il numero delle sconfitte e dei disastri italiani causati da errori commessi dall’alto comando tedesco stesso, soprattutto da Rommel.

I Sub inglesi affondarono l’80% dei convogli di rifornimento italiani che andavano in Nord Africa, perché gli inglesi avevano scoperto i codici segreti tedeschi e gli ufficiali tedeschi non informavano necessariamente di tutti i dettagli sui convogli il proprio quartier generale. Mentre Rommel buttava sempre tutte le colpe su Roma dicendo, ingiustamente, che ci dovevano essere spie nella marina italiana.

La storia si ripete – in pace questa volta : l’Italia non ha più nulla da guadagnare dal dare ascolto ai consigli distruttivi dei tedeschi o dal continuare in questa disavventura soffocante.

Si sta aspettando un messaggio che somigli a quello inviato da Badoglio l’8 settembre 1943.  Tutto ad un tratto, l’Italia fece l’impensabile. Gli Italiani che ascoltavano la radio alle 18.15 di quella sera appresero con grande sorpresa – e con un certo sollievo – che non erano più impegnati a seguire ancora quella follia.

Ambrose Evans-Pritchard scrive da 30 anni di politica mondiale e economica, dopo aver vissuto in Europa, Stati Uniti e America Latina, lavora al Telegraph dal 1991, prima come corrispondente da Washington e poi come corrispondente a Bruxelles. Ora è Editor di International Business a Londra.

Fonte: http://blogs.telegraph.co.uk/
Link: http://blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100018656/two-steps-closer-to-growth-liberazione-and-the-italian-lira/
13.07.2012

Tradotto per www.ComeDonChisciotte.org da ERNESTO CELESTINI

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