DI CARLO GAMBESCIA
Come al solito certi giornali non hanno capito nulla.
A destra (vedi Libero e il Giornale) si è celebrato il sanbabilino Berlusconi come una sorta di salvatore della Patria, a sinistra (vedi Repubblica e Unità ) come un populista della peggiore specie.
I commentatori di destra hanno presentato le divisioni nel centrodestra come un elemento di forza per il futuro superpartito del popolo, capace di attirare i consensi anti-Fini, anti-Casini, anti-Bossi, all’interno dei rispettivi partiti. Quelli di sinistra come un ulteriore segno di scollamento e crisi del centrodestra. Ovviamente gli unici a non gradire l’ ”esibizione” berlusconiana sono stati appunto Fini, Casini e Bossi. Ma questa è un’altra storia. Che riguarda la politica politicante.
Qual è la verità? Quale senso profondo conferire al bagno di folla domenicale del Cavaliere? Procediamo con ordine.
In primo luogo, Berlusconi finora ha captato, e piuttosto bene, attraverso la sua retorica politica, i bisogni e l’immaginario di quella che viene definita l’Italia profonda, nella quale si identifica almeno un elettore su tre. Un’Italia rozzamente anticomunista, nononostante il comunismo sia scomparso da un pezzo; individualista benché non ami molto la libertà di mercato; autoritaria più per timore di finanza, polizia, carabinieri e magistrati, che per vero senso delle istituzioni. Un cui “campione”, quasi statistico, domenica erano presente a piazza San Babila…
In secondo luogo, Berlusconi, quale statista, vale poco, come hanno mostrato i suoi cinque anni di governo. Ma resta un carismatico uomo politico, capace, come domenica, di mobilitare le piazze e rubare il centro della scena ad alleati e nemici . E questo gli va riconosciuto.
Ora, però, questa cesura tra il Berlusconi, pessimo statista, e il Berlusconi ottimo pubblipolitico va sempre tenuta presente. Perché alla sua capacità di mobilitare, regolarmente, non corrisponde quella di governare. Per quale motivo?
Per la semplice ragione che la sua retorica politica, mal si concilia, con una politica di destra classica, liberale e liberista, che è quella attualmente svolta, ad esempio, dal governo Prodi ( e fortemente favorita dalle sue componenti moderate e riformiste). Probabilmente l’unico canale di comunicazione con Prodi e la destra-sinistra liberale è il filoamericanismo (che si badi bene non è condiviso da tutta la destra e da tutta la sinistra). E la politica neoliberista è quella imposta dall’attuale quadro sistemico internazionale, politico, economico e sociale, scaturito dalla dissoluzione del comunismo sovietico e dal consolidarsi, pur tra i contrasti, dell’egemonia imperiale americana.
Anche perché una politica anticomunista, individualista ma socialmente protetta, autoritaria ma non troppo ( o comunque autoritaria solo con “comunisti” e “magistrati”), diciamo così, appaga l’occhio, o la pancia se si preferisce, dell’Italia profonda, ma non può costituire un realistico programma di governo. Uno, perché di comunisti “mangiatori di bambini” da combattere non ce ne sono più in circolazione. Due, perché l’individualismo protetto scontenta il mondo economico, affamato di rivoluzioni neoliberiste ( ovviamente a proprio uso e consumo). Tre, perché, e fortunatamente, l’autoritarismo a senso unico, non è condiviso da magistrati e forze dell’ordine ( o comunque da una parte di essi).
A questi tre aspetti va aggiunta l’incapacità costitutiva di Berlusconi, al di là della pura retorica politica sanbabilina, di ragionare in termini di universale e non di particolare. Insomma, lo statista Berlusconi è totalmente privo di senso dello Stato. E questo proprio perché è sempre rimasto un imprenditore “prestato” alla politica. E per ogni uomo d’affari, di regola, prima viene la propria azienda, o comunque i propri interessi, e poi il resto. Inoltre, Berlusconi, al di là dei continui richiami all’Italia profonda (anticomunista, individualista ma desiderosa di protezione sociale, e autoritaria a senso unico), crede che uno Stato possa essere amministrato come un’ impresa (in modo gerarchico e secondo i principi dell’economia aziendale). Di qui quelle sue continue polemiche con gli alleati (legati a tradizioni statuali opposte), e a suo tempo l’effettiva, e addirittura contrattata, “paralisi” del governo di centrodestra, durata per cinque anni. Ma anche il rischio, prima o poi, di venire scoperto, o “tanato” dal suo elettorato, che non ama più di tanto il “libero” mercato…
Ora, fondando un suo Partito del Popolo, Berlusconi, potrebbe anche vincere le elezioni, ma poi non riuscirebbe a governare… Appunto per questa contraddizione sociologica tra la sua retorica politica, i vincoli sistemici di cui sopra, e le sua scarse capacità di statista.
Resta infine un altro aspetto, molto interessante.
Alla lunga, il suo appello al popolo dell’Italia profonda, che non ha matrici reali ma solo retoriche, e che dunque è privo di concreti sbocchi politici, potrebbe provocare in quel terzo dell’elettorato ma anche in larga parte di quello di sinistra stanco della politica tradizionale di un centrosinistra che mette in atto politiche di destra, il desiderio di un “capo” vero, capace di governare al di là della destra e della sinistra. Un “capo” e dunque anche un movimento, che tuttavia ancora non si scorgono all’orizzonte.
In questo senso il pre-populismo retorico e formale di Berlusconi potrebbe provocare, anche a seguito di un suo secondo fallimento governativo, un’ ondata populista, in senso sostanziale, capace di riassorbire in un unico contenitore elettorale l’Italia profonda e l’Italia stanca dei privilegi e delle lentezze della politica politicante. Diciamo così, di mettere confusamente insieme, come spesso capita nei grandi sommovimenti storici, “cattivi” e i “buoni”. Grazie, magari, alle “virtù”, di un capo vero, emerso improvvisamente dalle apparentemente nebbiose circostanze storiche.
A quel punto, ci potremmo trovare davanti a un vero e proprio esperimento politico e sociale. Che magari, potrebbe trovare il suo collante, non solo occasionale, nell’antiamericanismo (soprattutto se gli Usa dovessero imporci ulteriori, inutili e pesanti “sacrifici” in termini di impegni militari all’estero”, ma anche all’interno, si pensi alla questione aperta di Vicenza…).
Un fatto, insomma, di grande interesse. Ma di cui, almeno per ora, resta difficile valutare struttura, portata e conseguenze.
Carlo Gambescia
Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
Link: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2007/11/dove-va-e-soprattutto-dove-ci-porta-il.html
20.11.07