DI SIMONE FALANCA
Agli inizi di giugno il pubblico ministero di Palermo Antonio Ingroia (coadiuvato dal pm Domenico Gozzo), al termine della sua requisitoria, aveva chiesto ai giudici del tribunale di condannare Marcello Dell’Utri a dieci anni di carcere. Oggi che il processo si conclude con un accoglimento quasi integrale (nove anni e mezzo) di quella pesante richiesta, cerchiamo in esclusiva le vicende meno note legate a quel processo per concorso esterno in associazione mafiosa, partito nel lontano 1997. Anche perché in tutti questi sette anni quasi nessuno, a parte i pm, i giudici, gli avvocati e qualche raro giornalista particolarmente attento, quasi nessuno sapeva bene quali fossero gli elementi che hanno trascinato sul banco degli imputati il senatore Dell’Utri Marcello e il suo invisibile ma mai dimenticato coimputato, Antonino Cinà, maresciallo della famiglia di Malaspina che, da titolare di una lavanderia di via Isidoro Carini, a Palermo, si sarebbe trasformato in “ambasciatore”, ufficiale di collegamento, portaordini, emissario, trait d’union tra Cosa nostra e Milano, fra Totò Riina e Silvio Berlusconi, sempre con i buoni uffici di Dell’Utri. Una carriera all’ombra della mafia, secondo l’accusa, quella del manager di Publitalia. In Dell’Utri molti collaboratori di giustizia hanno individuato l’intermediario tra Arcore e Santa Maria di Gesù – regno di Stefano Bontade, detto “il principino” – e tra Arcore e Corleone, regno del sanguinario Riina, detto “u curtu”. Le tappe più importanti della sua vita e della sua frequentazione di Milano sono state incentrate sulla fondamentale figura di uno stalliere, Vittorio Mangano, uomo che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, nella creazione dell’impero economico di Berlusconi avrebbe avuto un ruolo e una dignità quasi pari a quelle di Fedele Confalonieri e Adriano Galliani. Mangano andava a Milano per “proteggere” Berlusconi e intanto organizzava attentati intimidatori ed estorsioni. E Dell’Utri sempre lì a ricucire, a mediare tra la mafia e l’amico Silvio, che continuava a utilizzarlo come “ambasciatore” con Cosa nostra.
All’inizio degli anni ‘90 ancora Dell’Utri sarebbe stato l’uomo che trattò con i boss catanesi per gli attentati alla Standa e che tentò poi di estorcere personalmente denaro a un imprenditore trapanese, Vincenzo Garraffa. Infine sempre lui è stato l’artefic,e nel 1994, della fondazione di Forza Italia, il partito che doveva ereditare la pesante eredità della Democrazia Cristiana nel panorama politico italiano e il cui impegno principale sarebbe stato quello di realizzare i sogni di Totò Riina: abolizione dell’ergastolo, del 41 bis, della confisca dei beni ai mafiosi.
Ingroia in questi sette anni ha svolto un lavoro rigoroso: ha messo insieme e legato con un filo logico le dichiarazioni dei pentiti, le intercettazioni telefoniche tra Dell’Utri e diversi uomini “d’onore”, e vario materiale giudiziario emerso da passate inchieste, come alcuni passi della sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta con cui il 23 giugno 2001 venivano condannati 37 boss mafiosi per la strage di Capaci. In quella sentenza c’è un capitolo intitolato esplicitamente “I contatti tra Salvatre Riina e gli on. Dell’Utri e Berlusconi”. E’ provato – si legge nel documento – che la mafia intrecciò con i due “un rapporto fruttuoso quantomeno sotto il profilo economico”. Talmente fruttuoso che nel 1992 “il progetto politico di Cosa Nostra sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell’economia”. Cioè a “indurre nella trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato”.
I rapporti fra Dell’Utri e la mafia, secondo la requisitoria di Ingroia del sei giugno scorso, “durano tutt’oggi, nonostante questo processo”. Le ultime tracce risalgono al 2001, quando le cimici nascoste in casa dei boss Guttadauro e Aragona immortalano i progetti politici di Cosa Nostra. Guttadauro: “Con Micciché non si può parlare, magari fosse Dell’Utri!”. Il boss cita un mafioso arrestato per omicidio, Gioacchino Capizzi, che avrebbe trattato con Dell’Utri per le europee del ‘99. Guttadauro vorrebbe inoltre agganciare Giuliano Ferrara per una campagna contro il carcere duro e i pentiti. Aragona suggerisce Lino Jannuzzi, “che è amico di Dell’Utri”. Aragona verrà invitato dal senatore forzista a Milano, per la presentazione di un libro di Bruno Contrada, proprio con Jannuzzi. “E Jannuzzi, guarda caso, promuoverà in Parlamento una commissione d’inchiesta contro i pentiti”. Ingroia aveva chiesto “non una pena esemplare, ma equa, proporzionata e giusta per i due imputati”. Non solo carcere per il senatore di Forza Italia, ma anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Appellandosi al tribunale, presieduto da Leonardo Guarnotta, aveva aggiunto: “Se il maxi-processo fu la pietra tombale sul mito dell’impunità dei mafiosi, con questa mole di prove potete dimostrare che non c’è impunità nemmeno per il potente che tresca con la mafia. Non permettete a nessuno di pensare che queste prove basterebbero per condannare un cittadino comune ma non un potente. Anch’io, come Luther King, ho un sogno: che regni l’uguaglianza, che non esistano cittadini K come nel processo di Kafka, che la legge sia trasparente e uguale per tutti, per i deboli e per i potenti”. L’ultima citazione di Ingroia era stata per il filosofo Jacques Derrida recentemente scomparso: “La giustizia non è aritmetica, nessuna pena basterebbe a riparare le responsabilità di Dell’Utri, i suoi favori a un’organizzazione con le mani lorde di sangue”.
LA CONDANNA
Nove anni di reclusione a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Sette anni al coimputato Gaetano Cinà e risarcimento dei danni in favore delle parti civili: Provincia e Comune di Palermo. Interdizione dai pubblici uffici per entrambi. Sono le dure condanne inflitte il 10 dicembre dal Tribunale di Palermo dopo 13 giorni di Camera di consiglio. “La sentenza – ha commentato a botta calda il pubblico ministero Antonino Ingroia, autore dell’inchiesta – conferma il materiale probatorio. E’ una sentenza che spazza via gli insulti ricevuti in questi anni”. L’antico sodalizio fra Dell’Utri e il premier Silvio Berlusconi era nato sui banchi di scuola, quando entrambi frequentavano a Milano la Residenza Torrescalla dell’Opus Dei. E del sodalizio “religioso” transnazionale il senatore di Forza Italia resta uno dei massimi artefici in Italia e nel mondo.
Simone Falanca
Fonte:www.lavocedellacampania.it
dicembre 2004
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