DI GIULIETTO CHIESA
Supponiamo che il 10 aprile Berlusconi sia stato sconfitto. L’11 il cosiddetto centro-destra non esisterà più. I lanzichenecchi non sono in grado di restare insieme senza un capo. E Berlusca sarà un padrone (sempre che non scappi alle Bahamas) comunque potente, ma non più un capo. Le orde barbariche dei suoi avvocati non potranno occupare gli scranni di una maggioranza e saranno costrette a sciamare nei tribunali, dove potranno fare danni limitati anche perché il ministro della Giustizia attuale non sarà più al suo posto e sventolerà la sua maglietta verde in qualche comune padano. Il problema è che l’11 di aprile anche il centro-sinistra non sarà più nemmeno quel poco che sarà riuscito ad essere fino al 10 aprile incluso.
Non c’è bisogno di una sfera di cristallo per vedere all’orizzonte un terremoto politico di vaste proporzioni, che toccherà anche tutte le aree del centro-sinistra: quella moderata e quella “più a sinistra”. Voglio dire, semplicemente, che temere un berlusconismo di sinistra – come dicono in molti, tra i delusi del programma, tra gl’incerti, tra i critici di questo centro sinistra – non è un atteggiamento adeguato. E’ un po’ come giudicare staticamente la situazione. Che invece richiede un’analisi dinamica.
Faccio un esempio. Che succederà al centro sinistra se, per caso, Dick Cheney decidesse velocemente di risolvere il problema dell’Iran con un bel bombardamento sui siti nucleari iraniani? Non è più un’ipotesi peregrina, a meno che non si voglia sotterrare la testa sotto la sabbia. Chi è disposto a scommettere un euro sull’ipotesi che il governo Prodi dica con nettezza che non è d’accordo sull’attacco, cioè sulla guerra? Io naturalmente mi auguro che lo faccia, anzi mi sembrerebbe altamente salutare, per tutti noi, che Prodi dica qualche cosa in proposito fin da subito, senza aspettare il 10 aprile (cosa che, ne sono convinto, gli farebbe anche guadagnare altri voti, perché penso che basti spiegare alla gente i rischi che correremmo tutti se l’ipotesi di cui sopra si realizzasse).
Ma mi figuro subito la faccia di Rutelli, o di Fassino, cioè del futuro Partito Democratico, di fronte a una tale eventualità. Lo so che queste cose non si devono dire fino all’11 di aprile, perché qualcuno subito insorgerà per stigmatizzare i fomentatori di discordia. Eppure penso che sia una questione da discutere subito. Insomma: urgente.
Di questioni analogamente urgenti ce ne saranno molte, anche se non tutte saranno di uguale pressanza. Penso, ad esempio, al problema della Rai, radiotelevisione italiana. Il Consiglio di Amministrazione della Tv pubblica è a maggioranza di centro destra: quattro contro tre, e lo resterà per almeno altri due anni, salvo rivoluzioni. Il presidente è ormai compiutamente bipartisan e quindi lo contiamo zero, com’è giusto. E’ presidente da sei mesi e ancora nessuno degli epurati bulgari e post bulgari è tornato sui teleschermi. Che ne facciamo della legge Gasparri? Privatizzerà la Rai il nuovo centro sinistra? Non è dato sapere, al momento. Ma provo a immaginarmi cosa pensano – se mai l’hanno letto – del progetto di legge d’iniziativa popolare iniziato da Tana de Zulueta e che sta raccogliendo le firme per arrivare nel nuovo parlamento a creare disordine e zizzania.
Insomma mi fermo qui perché non voglio inquietare nessuno.
Ma poiché questa rubrica – generosamente affidatami dal direttore dopo il mio licenziamento da parte dei rivoluzionari tipo Gardini Ivan e Bonaccorsi Luca – si chiama Left, mi sembrerebbe utile che la sinistra che sta un pochino più a sinistra del futuro, inevitabile, inesorabile, prossimo venturo Partito Democratico, si ponga il problema, il più rapidamente possibile, di darsi una fisionomia comprensibile alle grandi masse popolari, di sinistra e democratiche.
Se siamo in questo frangente, tra il Feticcio e il Pantano, e se abbiamo dovuto camminare tutti sul sentiero ormai strettissimo che li separa, è anche perché nessuno, a sinistra del centro, ha fatto nulla per offrire a milioni di persone una maniglia cui afferrarsi. Il sentiero sarebbe stato meno stretto, il Pantano meno pantano, e il Feticcio sarebbe già stato battuto e non agirebbe su di noi come un ricatto sempre più insopportabile, che ci impedisce di combattere apertamente per cambiare questo paese.
In ogni caso il terremoto non risparmierà nessuno: non i Ds che, trascinati al centro dalla loro stessa deriva, avranno problemi con un elettorato che, in parte almeno, continua a essere di sinistra. Non Rifondazione, che è già due partiti, e nemmeno la Margherita , perché non tutti i cattolici vorranno fare la guerra con Bush. Per gli altri il travaglio non sarà minore. E fuori dai partiti c’è la folla dei senza partito, che è più grande di loro, che premerà per avere le risposte che non ha avuto fino a questo momento. Tanto vale prepararsi a costruire qualche cosa di nuovo, in fretta, prima che il simulacro di sinistra che abbiamo di fronte si spacchi.
Giulietto Chiesa
22.03.06
Fonte: www.megachip.it
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