DONALD TRUMP E LA RIVOLUZIONE PROLETARIA

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DI MIKE WHITNEY
counterpunch.org
“Negli ultimi 25 anni, il centro-sinistra ha detto al 60% di coloro nella parte bassa della distribuzione del reddito nei loro rispettivi paesi la storia seguente: “la globalizzazione è ottima per voi, è fantastica ed eccezionale. Firmeremo questi accordi commerciali. Non temete, sarete ricompensati, starete bene, farete tutti quanti i programmatori di PC. Sarà fantastico, o comunque non ce ne frega molto perché a noi interessa la classe media che è quella a cui appartiene chi ci vota, sono quelli con i soldi e in realtà ce ne frega soltanto di loro” al 30% più in basso della distribuzione della ricchezza invece si dice: “Non ci interessa come andrete a finire, non siete un fattore che si prende in considerazione nelle nostre politiche, dobbiamo modificare il vostro comportamento, rimontarvi in modo opportuno”.

Un rapporto molto paterno, nel senso dall’alto al basso. Addio al caldo abbraccio della socialdemocrazia, mano nella mano in solidarietà con le classi lavoratrici. A loro ci pensa la polizia e basta lasciarli nell’ esclusione dei loro quartieri separati, perché ciò che conta è che i quartieri bene e le scuole private dei figli di chi ci abita siano al sicuro.

Dal momento che questo è stato il tenore negli ultimi 20 anni ci ritroviamo di fronte a una rivolta, non mi riferisco soltanto al brexit. Non è un fenomeno specificamente contro la UE. E’ una question delle elites, una questione dell’1%. E’ una questione che i tuoi partiti ti hanno venduto (Estratto da Mark Blyth’s “Brexit” su YouTube).

Liberali e progressisti amano accusare i loro avversari di razzismo, misoginia e xenofobia, ma in realtà la campagna di Trump non si basa su questi argomenti. E non è stato nemmeno questa la posta in gioco sul brexit. Mentre è vero che il sentimento anti-immigranti cresce sia in Europa che negli USA, l’ostilità ha poco a che vedere con la razza e molto con lavoro e salari. In altre parole, il brexit è la rivolta contro un regime di libero mercato in cui tutti i benefici vanno agli straricchi mentre i salari di tutti gli altri diminuiscono, le loro prospettive future si restringono e i loro standard di vita crollano. Come sostiene Vincent Bevins del Los Angeles Times:

“Sia la brexit che il trumpismo sono risposte forti alle legittime richieste che le elites urbane hanno semplicemente ignorato negli ultimi 30 anni” (…) “Dagli anni ’80 in poi le elites nei paesi ricchi hanno forzato la mano, accaparrandosi tutti i vantaggi e limitandosi a tapparsi le orecchie quando qualcun altro alza la voce, adesso assistono in orrore ai votanti che si rivoltano”.

Finti liberali come Tony Blair e Bill Clinton sono stati enormi sostenitori del libero mercato, contribuendo così a questa rivolta dal basso contro elites accondiscendenti e tecnocrati il cui obiettivo è livellare il terreno affinchè i lavoratori negli stati sviluppati si ritrovino a competere fianco a fianco con gli schiavi salariati sottopagati in Cina, Vietnam ed altri luoghi in Asia. Come sostiene Blyth nel video di youtube:

“L’effetto a lungo termine dell’euro è allineare i salari dell’Europa occidentale a quelli dell’Europa orientale”.

Bingo. Sempre più persone si rendono conto che è questo il vero obiettivo del libero mercato, abbassare i salari e schiacciare le organizzazioni sindacali allo scopo di gonfiare i profitti. Ed è proprio il motivo per cui i media non sono affatto riusciti a ridurre l’appoggio publico alla brexit o a Trump, perché queste cose hanno un impatto immediato sulla classe lavoratrice e i suoi standard di vita. La maggior parte dei votanti è oggi convinta che tali politiche ispirate dalle elites sono dannose ai loro interessi e minacciano la loro sopravvivenza. Per questo restano indifferenti se i media li accusano di razzismo.

Le elites capiscono cosa sta accadendo. Sanno di essere diventate troppo avare, avere esagerato e passato il limite. Sanno anche che il pubblico è furioso e vuole il sangue e ciò è il motivo per cui i mercati sono impazziti. Gli investitori hanno mosso verso i “titoli rifugio” a passo da record, fatto che segnala che le grosse concentrazioni di denaro sono terrorizzate dal cambiamento che le elezioni potranno portare. Che cosa ci suggerisce questo? Diamo un’ occhiata a ciò che dice la rivista Fortune:

“Gli investitori Americani ricchi stanno ritirando somme record dagli investimenti nel timore che le elezioni presidenziali USA danneggino i loro risparmi per la pensione, ha sostenuto un dirigente del gruppo USB AG. Nonostante che il mercato azionario USA sia stato in risalita questa settimana, molti clienti preferiscono restare al sicuro piuttosto che rischiare perdite come quelle del 2008”.

Un sondaggio USB su 2200 investitori di fascia alta ha trovato che l’84% di essi credono che le elezioni avranno un impatto significativo sulla loro ricchezza finanziaria, ha sostenuto McCann citando un rapporto da pubblicare questo Luglio. (I ricchi ritirano i loro soldi nel timore delle elezioni, Fortune)

Dunque gli investitori ricchi temono un giorno del giudizio e che tutta la retorica contro il libero mercato e a favore del protezionismo che emerge dalle varie campagne elettorali avrà un impatto sui mercati?

Certamente si direbbe di si, e alcuni credono che quel giorno sia già arrivato. Questa citazione è dal World socialist web site:

“Un rapporto del GTA di mercoledì sostiene che il termine “rallentamento” ha creato l’impressione che, mentre sta perdendo l’accellerazione di un tempo, il commercio mondiale sta comunque crescendo e gli export di un paese non sono a scapito degli altri. Queste impressioni ottimistiche sono da scartare, in quanto l’analisi ha rivelato che il volume mondiale delle esportazioni è fermo dal 2015. Il commercio mondiale non ha solo rallentato, si è fermato del tutto.

Il rapporto avverte che la situazione potrebbe far scattere un “negative feedback loop” (reazioni negative a catena) dove una crescita zero dei commerci butta benzina sul fuoco del ricorso a misure protezionistiche, il che spinge a una ulteriore riduzione del volume dei commerci. Mentre il volume non trae le conclusioni dall’assunto, sono comunque molto chiare. E’ proprio un “feedback loop” del genere ad essersi venuto a creare negli anni ’30, intensificando la grande depressione, e, in ultima istanza conducendo alla Seconda Guerra Mondiale nel 1939”. (L’ondata di protezionismo fa ristagnare il commercio mondiale, Nick Beams, World Socialist Web Site).

Il commercio globale è già stato danneggiato da politiche erronee delle banche centrali, che mirano soltanto a rubare fette di export attraverso la svalutazione della moneta (la corsa al ribasso). Ma adesso ci stiamo imbarcando in un periodo di forte nazionalismo economico che minaccia di distruggere l’eurozona, intensificare le richieste di dazi sulle importazioni estere e lanciare una guerra commerciale totale contro la Cina. Ed è tutta una reazione al modo in cui il libero commercio è stato strutturato per beneficiare solo l’1%. Le elites possono prendersela solo con sé stesse. Così Glenn Greenwald ha sintetizzato il punto in un recente articolo sul The Intercept:

“Il brexit poteva essere uno sviluppo positivo. Ma per essere tale le elites reagissero allo schock dell’essere state ripudiate riflettendo sui loro errori, comprendendo cosa hanno fatto per contribuire a tutta questa rabbia e deprivazioni, dovrebbero voler riflettere ed essere sinceramente pronti ad agire per correggere gli errori passati. Ma invece di comprendere e cercare di correggere i loro errori, spendono tutte le loro energie per demonizzare le vittime della loro stessa corruzione, per togliere legittimità alle rivendicazioni e sbarazzarsi della responsabilità di dover fare qualcosa. Una reazione del genere serve solo a ingigantire, se non a giustificare in blocco, la diffusa percezione che queste istituzioni delle elites siano egoiste oltre ogni ragionevole misura, tossiche, dannose nella misura in cui sia impossibile riformarle e vadano piuttosto distrutte. Ciò a sua volta non fa che garantire che ci saranno tanti altri brexit e Trump nel nostro futuro collettivo”. (Brexit è l’ultima prova dell’isolamento e del fallimento delle istituzioni dell’establishment occidentale, Glenn Greenwald, The Intercept).

Le elites occidentali sono rimaste sconvolte dal brexit, scioccate che tutto il loro moralismo e ricorso alla paura non sia servito a niente. Lo Stesso si può dire degli USA, dove gli assalti quotidiani a Trump sui mass media non hanno eroso la sua base di supporto per niente, anzi è più facile che l’abbiano estesa.

Come mai? Come mai il ripudio di Trump sui media ne ha solo ingigantito la popolarità e aumentato la determinazione dei suoi sostenitori? Forse i media hanno perso il loro potere di influenzare o sta succedendo qualcos’altro?

I media chiaramente non hanno perso il loro potere, è soltanto che l’esperienza personale è più forte della propaganda.

Di che esperienza personale stiamo parlando?

Insicurezza economica, il brexit è stato un referendum sull’insicurezza economica. Il fenomeno Trump si basa sull’insicurezza economica. L’ascesa di nuovi gruppi di destra e sinistra in USA ha tutto a che vedere con l’insicurezza economica. Non si parla di ideologia, bensì di realtà: la realtà di non sapere se si potrà andare in pensione, mandare i figli a scuola, pagare il mutuo, cavarsela fino alla busta paga successiva. La realtà di arrangiarsi in una economia nella quale le prospettive di sopravvivenza sembrano giorno dopo giorno peggiori. Questa è la realtà che rende un Trump possibile e questo è il grande tema dell’elezione, l’insicurezza economica.

Mike Whitney

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2016/07/18/donald-trump-and-the-revolt-of-the-proles/

18.07.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

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