DI CARLO BERTANI
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“E’ proprio indispensabile mettersi a scribacchiare quando vogliamo assistere ad una manifestazione della natura?”
Il dilemma che si poneva Johann Wolfgang Goethe nella seconda metà del Settecento – ne “I dolori del giovane Werther” (Die Leiden des jungen Werthers – 1774) – mentre vagava osservando i paesaggi (e non solo) della Renania-Palatinato era, all’epoca, pienamente giustificato.
E’ stupefacente notare come un giovane dell’epoca fosse stupefatto dalla bellezza e ne rimanesse incantato: i frutti di un albero, i vezzi di una donna…ma anche un vomere appoggiato, stanco, al bordo di un sentiero. Tutto pareva, al giovane Goethe, armonioso: anche i contadini, con i quali si fermava a chiacchierare, gli confidavano le loro pene d’amore, la loro fedeltà alla donna amata la quale – in molti casi – appena s’accorgeva di loro perché…si sentiva fedele a qualcuno che, speravano, si sarebbe fatto avanti…per fortuna, frequentemente, i predestinati avevano la felice sorte d’incontrarsi.Siamo nel mondo che precede la Rivoluzione Francese; lungo la valle del Reno – probabilmente – le nuove idee illuministe scorrono anche sul grande fiume ma Goethe non se n’accorge, o forse non ne parla: in fin dei conti è sì un grande poeta, ma anche un bizzarro conservatore.
All’epoca – nel bene e nel male – esisteva ancora un mondo senza asfalto, ferrovie, automobili, elettricità, radio, illuminazione notturna, pubblicità, televisione, Internet…
In ogni modo, il vate germanico è rimasto famoso per il suo viaggio in Italia nel quale ogni evento diventava esaltazione romantica, da Rovereto alla Sicilia: nessun dubbio passava per la sua penna, nessuna esitazione, era tutto armonico, anche all’esterno del Vaterland.
Oggi – metaforicamente – vorremmo accompagnarlo in una passeggiata che si può fare in un giorno, nelle valli dei torrenti Vado e Quiliano, nell’entroterra savonese: poche miglia in compagnia di Goethe, che si è parato di fronte a me mentre cercavo gli ultimi funghi, i “funghi del freddo”, come li chiamano qui.
Come ogni consuetudine prevede – oggi e nel Settecento – un viaggio lungo le rive di un torrente parte sempre dalla sorgente e così, muniti di lunghi bastoni (Johann non ha voluto ascoltare i miei dubbi per il loro peso) saliamo fino al colle dove sgorga l’acqua argentina, traversando ameni campi inselvatichiti con piante di mele stracariche, le quali regalano mestamente i loro frutti alla terra. Ciò lo ha un poco stupito “Nessuno mangia più mele?”.
“Non queste, almeno” rispondo affondando i denti nella polpa di una di esse: in questo frangente ha inizio la lunga serie di omissioni che il dialogo richiede. Si può spiegare ad uomo del Settecento l’aeronautica? No di certo. E’ possibile negarla? No, altrettanto. Si può omettere, sorvolare, trascurare una veritiera risposta? E’ il principio al quale mi sono attenuto, e sarà il lettore a giudicare i risultati.
Mentre ci prendiamo una pausa nel prato subito ribattezzato “delle mele rubizze” è inquieto: “Nessuno – voi m’assicurate – ci chiederà conto di questo furto? Comprendo che il valore sia basso, ma il principio…”
“Mio caro Johann, come potremmo pagare a qualcuno il costo della nostra colazione: non c’è nessuno!”
“Vero” risponde “ma è questo che mi sorprende: che non vi sia nessuno in tanta, aperta campagna. E i contadini?”
“Oh, non vi preoccupate…sarà un giorno di festa: vedrete che domani sarà tutto diverso…”
“Già…” rispose poco convinto.
Avrei forse potuto raccontargli che, nella stessa vallata, un amico – per la sua tesi d’Architettura – aveva censito 84 abitazioni abbandonate o diroccate ed una abitata da una vecchia che non aveva lenzuola, bensì dormiva su un pagliericcio fatto di giunchi?
Salendo, eravamo quasi giunti alle sorgenti: sopra di noi, cinque grandi aerogeneratori da 2 MW ciascuno facevano roteare le loro pale nel vento; alla nostra destra, in lontananza se ne scorgevano altri tre.
Rimase attonito, silenzioso, poi sbottò.
“Com’è sorta questa diavoleria? Chi ha costruito queste enormi girandole in luoghi impervi, quasi inaccessibili? E perché?”
Bella domanda, vero? Voi, cos’avreste risposto? Me la cavai con un guizzo della fantasia.
“Sono monumenti al vento” – le “vele” di Renzo Piano, ricordate? – “che gli uomini hanno desiderato costruire per rendere percepibile il suo passaggio. Dei quattro elementi, tre sono tangibili ed acqua, terra e fuoco si possono osservare e toccare, o almeno sono ben visibili ed individuabili: e il vento? E’ vero che non si può rendere visibile ciò che non è, ma visualizzare il segno del suo passaggio sì, non trovate?”
“Geniale, geniale…” bofonchiò “ci si può avvicinare? Vorrei osservarli più da vicino.”
“Certo: basta proseguire su questo sentiero ma, ahimé, le mie gambe sembrano di legno: ho bisogno di un po’ di riposo. Potreste proseguire da solo fin lassù? Non ve n’avrete a male?”
“No di certo, amico mio, restate e riposate le vostre membra: io salirò ad acquietare la mia sete di sapienza, la mia curiosità!”
“Arrivederci, allora”.
“Arrivederci”. E s’incamminò per l’impervia via.
Rimasto solo a massaggiarmi le gambe e la schiena, meditai su com’è facilmente fuorviabile la verità: non falsificabile, ma solo “deviabile” un poco, quel tanto che basta, perché in seguito saranno gli eventi stessi a renderla falsa, man mano che procede nel cammino manipolato.
Per costruire quei 5 aerogeneratori, la società appaltatrice dei lavori è stata costretta presentare la documentazione che prevede la salvaguardia dei volatili. Piccolo problema: non esistono studi scientifici sulla mortalità degli aerogeneratori per i volatili. L’unico studio è di fonte spagnola e relativo allo Stretto di Gibilterra (zona di wind farm): il risultato di un lungo periodo di monitoraggio (se ben ricordo, mesi) fu la sicura morte di un falco pellegrino e quella, incerta, di un altro volatile non identificato.
E poi: nel Nord Europa ci sono apposite tubazioni per il transito dei piccoli animali sotto le autostrade. Vogliamo paragonarla alla strage d’animali che osserviamo in Italia?
S’arresta, forse – nell’attesa di dati certi – l’industria automobilistica per un ripensamento?
Così, possono nascere strane “Associazioni di Resistenza dei colli liguri” – per la salvaguardia da questi mostri incombenti – e si scopre, guarda a caso, che l’ENEL faceva (e fa) la sua politica “ambientalista” tramite i suoi dipendenti. Il lavoro lo fanno le imprese esterne ed i dipendenti ENEL fanno i difensori dei “colli liguri”, dagli aerogeneratori.
La questione è di grande importanza, poiché gli aerogeneratori implicano cambiamenti drastici sul futuro industriale e tecnologico del nostro Paese, che nessuno immagina più e nessuno tratta: la politica è diventata la vicenda PD e PdL (o Forza Italia) Grillo e i grillini, eccetera…qualcuno aspirerebbe a parlare di cose serie? Lo si zittisce.
Quei 10 MW complessivi di potenza installata, in media – sottolineo in media – producono 3 MW l’ora (per il variare del vento): sono 3.000 KWh, con le quali puoi rifornire 6.000 abitazioni per circa 24.000 persone (consumo giornaliero di circa 12 KWh).
Gli aerogeneratori producono ad un prezzo appetibile – intorno ai 6 centesimi di euro per KWh – e sono quindi concorrenziali per il carbone e inferiori al metano: il problema è quel “in media” giacché il vento spira come e quando vuole, forte oppure in regime di brezza.
Come si potrebbe ovviare? In tanti modi:
1) Riempiendo i bacini idroelettrici con i surplus notturni d’energia;
2) Trasformando l’energia elettrica in Idrogeno, per poi utilizzarlo di giorno;
3) Utilizzare quell’energia elettrica per il parco automobilistico e/o Idrogeno per autotrazione.
“Autotrazione” è un termine complessivo, che raggruppa auto, camion, moto, trattori agricoli, navi e persino aerei.
Il problema è convincere la più conservatrice e statica azienda automobilistica (la FIAT) a produrre i nuovi veicoli elettrici, ad Idrogeno o misti elettrico/Idrogeno. Già: e il gettito fiscale della benzina? Ve lo immaginate un tizio che piazza un piccolo aerogeneratore (1 metro di diametro, il massimo consentito) sul tetto e ricarica l’auto nel garage? Niet!
Avverto rumori di rami spezzati: è Johann che torna.
E’ in uno stato di fervente esaltazione: “Mio Dio! Sono stato proprio sotto alle torri: sono enormi! E lanciano nel vento un richiamo strano, basso, potente…che civiltà meravigliosa state vivendo! Avete materializzato il vento!”
Poi continua: “Vi siete riposato abbastanza?”
“Sì, ora possiamo scendere verso il mare, verso la piana costiera…”
“Ah, meraviglioso: ricordo, ora ricordo quando scesi in Italia…le pianure costiere erano giardini di limoni, arance ed ogni sorta di frutti…le verdure crescevano abbondanti sotto quei frutteti ed il vino era straordinario!”
“Eh, sì…certo…” (come me la medicherò? Mah…)
Scendiamo sul versante opposto, dove c’è un breve tratto asfaltato: Johann si spertica nei complimenti per quella felice invenzione “Sapeste, che travaglio un viaggio in carrozza con tutte quelle pietre…un’ottima invenzione questa calce nera e, e…gommosa come il ripieno di una torta!”
Poi, subito: “Non vedo carrozze, nemmeno una: strano caso, vero?”
“Avete ragione” decido di farla finita – almeno questa volta – anche se Johann, uno dei più grandi scrittori europei e un erudito filologo, bisogna ammettere che di Fisica non mastica nulla, nemmeno quella del suo tempo. Però, l’automobile non posso negarla.
“Oggi non usiamo più le carrozze: mio caro Johann dovete fidarvi di me e credermi sulla parola…sarebbe troppo difficile spiegarvi il progresso di questi secoli: potrete fidarvi?”
“Certo, comprendo…cosa sono queste auto-mobili? Intuisco, dal termine, che sono in grado di muoversi da sole…”
“No, non correte troppo…devono essere guidate…e poi hanno mantenuto un legame con le carrozze nella terminologia: ad esempio, se vi dico “cruscotto”, “parafanghi”, “finestrino”, “portiera”, “sedile”…cosa immaginate?
“Ovvio: una carrozza”.
“Anche un’automobile usa quei termini per definire le medesime parti…”
“E che se ne fanno del cassetto della crusca se non hanno cavalli?”
“Già, questa è una curiosità: è una parte frontale, come lo era il cassetto della crusca, una mera questione di posizione…all’inizio, il motore fu montato, praticamente, sulle carrozze…”
“Motore? E cos’è questa nuova diavoleria?”
“Nulla d’eccezionale: è un congegno meccanico che brucia un liquido infiammabile…poi, il fuoco genera vapori che spingono uno stantuffo…”
“Oh, per dio! Mi fate venire il mal di testa! Accetterò di buon grado questo motore come un aggeggio metafisico della vostra epoca e sarò più tranquillo, credete!”
“Beh, non è proprio metafisica…”
“Vi prego: lasciate che osservi e basta, mi rendo conto di non riuscire a comprendere tutte le diavolerie della vostra epoca!”
Detto questo, la sua curiosità lo spinse ad accelerare il passo e svoltò nella curva.
“Oh, Die Asche von des Vaterland…“
Mi stupii nel sentirlo, per la prima volta, parlare tedesco: svoltai anch’io la curva e mi ritrovai di fronte ad un vecchio cimitero abbandonato: probabilmente, era il cimitero di quella frazione scomparsa, le 84 case che aveva censito l’amico architetto.
Varcai il cancello arrugginito, che oppose qualche resistenza: già…le ceneri della Patria…erano lì, di fronte a noi.
“Sono la gente del mio tempo…guardate, osservate le date: m. 1834…è stata una mia coetanea…e il marito? Eccolo: morto nel 1822. Ah, quest’uomo ha conosciuto il grande Napoleone, come me!”
Non voglio entrare in questo discorso: speriamo che il poveraccio non abbia conosciuto le truppe napoleoniche, le quali portavano sì un vento nuovo di civiltà, ma non si facevano scrupoli nel farsi mantenere dalla popolazione la quale, già povera di suo…meglio lasciar perdere…”
“Già, Napoleone…che tipo era?”
“Era uno dei grandi del nostro tempo: capiva ogni cosa con uno sguardo, vi squadrava in un attimo…” ma è perso nel decifrare date scolorite e sabbiate dal vento, come un viandante che cerca ferrivecchi portati dal mare sulla spiaggia.
Ne approfitto per rompere l’incanto del passato che è penetrato nella sua mente “Proseguiamo?”
“Sì…proseguiamo…” mentre s’allontana gli occhi ancora guizzano sulle tombe, alla ricerca di un segno, di una parola latina, di un nome…
Camminiamo in silenzio per un miglio o poco di più: ad una curva, compare la pianura costiera e, come un monumento al progresso, ecco le ciminiere alte 200 metri della centrale a carbone – la Tirreno Power – con le sue strutture cubiche, gli sbuffi di vapore e la scia – appena visibile nel cielo azzurro – dei fumi di combustione che vanno verso il mare.
La domanda è ovvia, ma la risposta sarà evasiva: come si può spiegare l’energia ad una persona di un mondo che conosceva solo quella muscolare, al più quella dell’acqua e di qualche mulino a vento per l’irrigazione?
“E’ un crematorio, un grande crematorio…”
“Santi Numi! Quel fumo che si vede lassù, allora, sono…”
“Esatto: l’essenza dei defunti che sale verso il cielo…”
Non lo prendo in castagna: “Quello è solo il corpo bruciato, l’anima sale a Dio come nel Fonte battesimale di Jeronimus Bosh: avete visto il quadro?”
“Sì, l’ho visto: è notevole…a guardarlo si è presi quasi da un’estasi mistica…”
“Perché questo grande braciere?”
“Caro Johann: avete visto quanti siamo? Come faremmo ad avere ancora campi da coltivare se li dovessimo usare come cimiteri?”
“Ah…”
Per fortuna, una locanda, un piccolo bar è sulla nostra strada e decidiamo di fermarci: meno male che Johann non porta il parrucchino. Al più, lo prenderanno per un punk fuori tempo e fuori di testa: entriamo.
Il bar è quasi deserto e solo un paio d’anziani, in un angolo, commentano il giornale: magari aspettando gli altri due, per fare una partita a scopone.
La ragazza (lui la chiama “l’ostessa”) al banco viene e chiede cosa vogliamo bere: io un caffè, ma Johann non rinuncia ad un buona bicchiere di vino rosso, “di quello sincero” aggiunge. La ragazza sorride, ed anche Johann sorride alla ragazza: noto che osserva attentamente il “balconcino” che la ragazza ostenta, sul quale – alla base del seno – spicca un piccolo tatuaggio.
“Ditemi” esordisce “ma la ragazza è europea?”
La osservo “No, può essere brasiliana o, comunque, del Sud America…”
“Sapete, anch’io ne vidi qualcuna: nel mio tempo era molto alla moda – soprattutto in Francia – avere servitori che giungevano dalle Americhe…ma questa non ha livrea né altri segni d’appartenenza…a parte il piccolo tatuaggio che è, evidentemente, caratteristico della tribù d’appartenenza…”
“Non so se si tratti di un tatuaggio della tribù” la minuscola stellina che la ragazza s’è tatuata mi sembra molto lontana dall’ipotesi di Johann “sapete, vivono con noi, fra di noi…”
“Ah non è dunque una serva?”
“Non lo so…ma non credo…è, come la chiamate voi, un’ostessa…noi preferiamo chiamarla cameriera…”
Johann sorseggia il vino che la ragazza ha portato “Non è cattivo, ma un po’ scipito…come annacquato…”
Vagli a spiegare storie di mosti pastorizzati e congelati, d’autobotti, di tini in vetroresina…
“Esco a fumare.”
“Fumate qui, accanto a me…”
“Non è possibile: è proibito nelle locande.”
“Ah” sorride “questa è proprio bella, proibito fumare ad un gentiluomo…che bizzarro il vostro tempo…”
“Già, ma questa è la legge…torno fra cinque minuti.”
Appena fuori la sua massa ingombra il mio campo visivo: eccola, da decenni, la Centrale Termoelettrica a carbone di Vado Ligure, oggi pomposamente chiamata “Tirreno Power”.
Il pacchetto azionario di Tirreno Power è, oggi, suddiviso fra il 50% di Gaz de France ed il 39% di Sorgenia: il resto sono piccole società pubbliche, principalmente comunali.
La storia della centrale, però, è tutta interna all’ENEL e – dagli anni ’70 in poi (quando la centrale entrò in attività) – la politica di Vado Ligure è stata tutta un cinguettio, una lunga, amorosa tenerezza fra l’allora PCI ed i vertici dell’azienda (allora) pubblica. Questo spiega la penosa uscita di Vendola: il rapporto fra chi “dà lavoro” e chi guida il percorso vittorioso della classe operaia (che va in Paradiso).
Fra quella gente c’è una sotterranea ammirazione per l’imprenditore: se la borghesia è il nemico da battere, l’imprenditore “illuminato” è tollerato con indulgenza, quasi un amore a tradimento, come i “compagni che sbagliano”.
Così, a Vado Ligure (8.200 abitanti) l’unica cosa che non mancava mai erano i soldi: il Comune possedeva e gestiva uno dei campi di calcio migliori della Liguria (veniva ad allenarsi il Genoa) e c’era sempre un fiume di finanziamenti per qualsiasi iniziativa. Il comune limitrofo di Quiliano (7.300 abitanti) ha un bellissimo palazzetto dello sport, e così via.
L’intesa era “in cambio dei fumi (e degli inevitabili carcinomi) c’è il lavoro ben pagato e soldi”, per tutto e per tutti: negli anni ’70, addirittura, il comune di Spotorno (3 Km) si lamentava per i fumi che ricadevano sul suo territorio, ma da Vado non giunse risposta. Ci sono dei fumi? Ma va? L’unico dubbio è di sapere se a Spotorno non volessero i fumi o desiderassero entrare nella torta dei soldi.
E le opposizioni?
All’epoca erano la DC, la quale faceva un placido contrasto: tutti meno uno.
Il dottor T. – medico e consigliere comunale – non voleva sentire ragioni: aveva, dalla sua parte, la competenza per affermare che i dati epidemiologici su Vado Ligure erano fuori norma, e di parecchio.
Ma, in questi casi, il partito allunga le mani e coinvolge “chi di dovere”: un giorno qualsiasi, il dottor T. commise un errore, ed erano lì ad aspettarlo. Cadde in un modesto errore amministrativo: consegnò un certificato di malattia il Sabato che copriva anche il Venerdì o roba del genere, adesso non ricordo con precisione…cosa gli fecero? Una lettera dall’Ordine, una multa…no…andarono in studio e lo arrestarono, facendogli passare la notte in guardina, il tutto alla velocità della luce. Elettrica. Qualche zampolit s’era mosso ed ora, il pretenzioso consigliere, era sotto ricatto.
Dall’epoca non si è più parlato di epidemiologia: il termine è stato bandito su tutto il territorio comunale.
Passano gli anni e le m… vengono a galla: nuove associazioni ambientaliste chiedono inchieste, si scrivono libri di denuncia, si scopre che il tasso di carcinomi, nell’area, è più alto della norma con percentuali stratosferiche, a due cifre.
Di quanto? Di certo non si sa nulla, perché l’incontro fra i magistrati e i tecnici (di norma, un chimico ed un medico) è stato blindato ed i dati secretati, nemmeno si fosse in presenza di una Chernobyl.
L’azienda, da parte sua, ha inaugurato la glasnost (“trasparenza”) nei confronti dell’utenza ed ha pubblicato i dati sui fumi: oh, bene.
Ha pubblicato (1) i dati in mg (milligrammi) di inquinanti (gas e polveri sottili) per Nm3 (Normal metro cubo), una misura tecnica leggermente superiore al comune metro cubo. Siete contenti? Rispettiamo anche le norme europee!
Già…se pubblichi i dati sono più contento…così so – ad esempio – che il dato di emissione, per il mese di Ottobre 2013 di Ossidi di Azoto (NOx, espressi in NO2) è stato di 196, contro un limite di legge di 200. Per poco, ma il pallone è andato ancora fuori scheggiando il palo.
Il problema è che non mi dici quanti metri cubi di fumi hai emesso.
Per nostra fortuna, c’è chi lo fa (2) e così scopriamo che – ogni anno che passa – nella zona di Vado cadono 165 tonnellate di polveri sottili (PM 2,5 e PM 10), che sono le principali responsabili delle affezioni polmonari e del cancro.
Beh, direte…che sono 165 tonnellate…si fa presto a fornirne un’idea concreta e tangibile: sono 6 TIR zeppi di quella roba che, ogni anno, sono scaricati nel territorio limitrofo. Dall’anno di entrata in esercizio dell’impianto, sono “arrivati” – metaforicamente – circa 250 TIR ed hanno scaricato il tutto in un comune di 8.000 abitanti. Quanti sono stati i morti? Nessuno lo sa con precisione: alcune fonti dicono un migliaio più del normale, ma i veri dati sono sigillati alla Procura di Savona.
E le ceneri?
Un simile quantitativo di carbone genera una montagna di ceneri, che devono essere smaltite in luoghi sicuri: ricordiamo che Pierre e Maria Curie scoprirono il Radio proprio nella pecblenda, un minerale che scavarono dal fondo delle miniere di carbone. C’è, dunque, anche un rischio di radioattività che nessuno ha mai preso in esame, a meno che i dati – come sempre – siano “targati” ENEL.
E, nessuno sa dove finiscano quelle ceneri.
L’errore, però, è primigenio e dipende da chi decise di costruire quella centrale in quel luogo.
Abbiamo preso, come paragone, la centrale di Porto Tolle (anch’essa ha avuto i suoi guai giudiziari) e lo scenario ci sembra assai diverso: almeno, a Porto Tolle (3) non sorgono abitazioni proprio sotto la centrale, come a Vado Ligure, anche se il triste fenomeno delle morti anomale si è manifestato anche in quei luoghi.
“È dello scorso luglio, infine, un’indagine giornalistica, basata su atti processuali e mai smentita da Enel, che dimostra come l’azienda manovri i propri lavoratori organizzandoli in comitati che essa stessa mobilita contro Greenpeace. Attendiamo che i sindacati prendano posizione nel merito.” (4)
La nuova “bomba” ambientale sarà dunque, dopo Taranto, Vado Ligure: non serve mantenere sigillati i veri dati all’interno della Procura, perché prima o dopo le associazioni ed i comitati faranno breccia.
Torno, sconsolato, verso la locanda a prendere l’amico Johann, meditando sul “Paese dove fioriscono i limoni”, oggi diventato – negli stessi luoghi dove fioriva la coltivazione del chinotto – il camposanto dei morti per tumore.
Anche qui ci saranno i nostri Vendola: prepariamoci.
Johann ha un’aria strana: è il tramonto, aggiunge, e devo tornare.
Non gli chiedo cosa sia stata, per lui, quella giornata – di “permesso” o di punizione – ma mi sembra quasi felice di tornare.
“Devo salire alla mia grotta, per tornare.” Mi guarda in silenzio “ovviamente, si tratta di una grotta metaforica, puramente evocativa…le grotte sono l’immagine dei viandanti del tempo…”
“Permettetemi una domanda, Johann: dove trascorrete il vostro tempo?”
Ridacchia, divertito “Tempo che non capireste, amico mio: in ogni modo, in un luogo dove l’onniscienza è assai vicina e la conoscenza intuitiva…ho accettato di buon grado le piccole bugie con le quali avete cercato d’ammantarmi il vostro tempo di una bellezza che non c’è, e che non ha rimediato alle tante ingiustizie del nostro tempo. Gli aerogeneratori monumenti al vento…la centrale un crematorio…anche il vino, ad essere sinceri, faceva pietà. Sì, avete fatto qualche passo in avanti sulla civiltà del Diritto: ai miei tempi, sapete, s’uccideva senza tante storie…”
“Che fare, dunque, scrivere del nostro tempo oppure tacere, giacché non potremmo mai celebrare la bellezza senza imbatterci in qualche letamaio…”
“Lo so, cercate la bellezza in quei paradisi di plastica dove vi portano gli aeroplani per una settimana” – le parole “plastica” ed “aeroplano”, dette la lui, mi fanno barcollare – “poi tornate e percepite la differenza e cadete in depressione. E’ logico: l’essere umano ha bisogno di bellezza attorno sempre, ovunque, altrimenti la sua vita diventa un inferno. E le donne? E’ vero che gli eserciti, nel mio tempo, le violavano ma era la guerra: se non c’era guerra erano rispettate, anche quelle delle classi più umili. E poi: che modo di darsi è, oggigiorno, per una sera in una squallida toilette di una discoteca? Almeno, i contadini del mio tempo, lo facevano sotto un albero o in un fienile!”
“Allora chiudiamo il libro, giacché solo facezie possiamo raccontare, solo brutture…”
“No” su questo pare categorico “gli autori latini della decadenza dovevano dunque tacere e obliare le brutture del loro tempo? E Spinoza pure, visto che denunciò le inutili vanità del suo tempo? Karl, non c’è pace e non c’è altro destino per chi dipinge, per chi suona e per chi scrive: bisogna, con dolore, esprimere la bruttura del proprio tempo come autentica, vera espressione d’arte, al costo che quell’arte ferisca l’animo ed intristisca lo spirito…ora devo proprio andare. Dominus vobiscum, Karl.”
“Et cum spiritu tuo” risposi meccanicamente, solo perché le parole mi scaturirono da sole dalla bocca.
S’incamminò per la stradina da dove eravamo scesi: ero certo che, se lo avessi seguito dopo qualche minuto, alla prima curva sarebbe scomparso. Non lo feci.
Tornai alla locanda e, questa volta, presi un cognac forte, uno strappabudella di quelli forti, che ti svegliano o t’addormentano, poi uscii. La grande centrale sbuffava fumo costantemente, come un simbolo del nostro tempo, il leviatano che c’accompagna.
Sta a noi tornare alla bellezza…già…ma come?
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2013/11/dominus-vobiscum.html
22.11.2013
(1) Vedi: http://www.vadoligure.tirrenopower.com/vl03-vl04-carbone/
(2) Vedi: http://www.uominiliberi.eu/giugno10/m1.pdf
(3) Vedi: http://www.panoramio.com/photo/12516857?tag=VDS-2008-07-20-Comina
(4) Vedi: http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/comunicati/A-Porto-Tolle-le-morti-causate-dalla-centrale-Enel-sono-sottostimate/