DI NICOLAS RIOU
da Libération del 31 Ottobre 2005
Gli oggetti e i prodotti, scelti sempre più per il beneficio psichico che apportano, compensano i deficit d’identità.
Che ci piaccia o no, la società del consumo sta cambiando. Il desiderio di consumare è ancora forte, ma oggi la fonte del desiderio è diversa da quella che caratterizzava le decadi passate.
Gli anni ’60 rappresentavano la prima epoca della società del consumo, in cui i prodotti corrispondevano a bisogni reali. La gente li acquistava perché il loro utilizzo apportava valore, in base alla funzione che essi adempivano – che spesso migliorava il loro stile di vita. Pensiamo al frigorifero (il 10% della popolazione ne possedeva uno nel 1958, il 75% nel 1969), la lavatrice ( il 10% nel 1958, il 66% nel 1974), la televisione, la macchina, i tovaglioli di carta, la lavastoviglie e molti altri. Grazie all’acquisto di numerosi beni materiali, il consumo cambiò il loro modo di vivere e venne associato alla nozione di progresso. Nel 1963, Edgar Morin scrisse su Le Monde un articolo relativo all’inizio di una nuova civiltà, “del benessere, comfort, consumo e razionalizzazione”.
Gli anni ’80 rappresentavano l’apice della seconda epoca del consumo, la stessa in cui il valore dell’immagine prese il posto del valore dell’uso. Durante l’epoca delle dinamiche individualiste, gli oggetti non rispondevano solo ad un bisogno collettivo, ma venivano personalizzati. Lo scopo principale era di differenziare i consumatori. Il consumo si organizzava in base ad una logica simbolica. Simboli del successo o dell’appartenenza ad un gruppo sociale. Una macchina, un capo di marca, una casa ben arredata agivano soprattutto come strumenti di identificazione sociale. Essi non rispondevano solo ad un bisogno reale, ma venivano scelti per ragioni superflue, per il mondo immaginario che essi incarnavano, spesso costruito tramite la pubblicità.
Troppo spesso, analisti e critici si fermavano qui. Tuttavia, siamo entrati in una nuova fase della società del consumo. Gli oggetti non rispondono più a bisogni reali: in genere, non abbiamo bisogno di una nuova macchina o di una lavastoviglie. Una nuova spinta è stata data alla logica dell’arbitrarietà del prezzo e del simbolismo sociale, una spinta all’ordine psicologico. Noi continuiamo a scegliere prodotti e marche per ottenere un beneficio psichico. E questo vantaggio è spesso inconsapevole. Come possiamo fare una scelta razionale in un ipermercato quando ci sono 22 mila prodotti tra cui scegliere?
La logica del desiderio si articola sempre intorno alla nozione di una mancanza. Ma questo vuoto è diventato psicologico. Gli oggetti e le marche soddisfano i bisogni emotivi. Grazie al famoso slogan “Perché io merito”, L’Oreal gioca sul narcisismo e aiuta le donne a sentirsi più belle. Esso stimola la fiducia in se stesse e le aiuta a sentirsi più desiderabili; tutto ciò convoglia al contempo l’idea di controllo, potere di sé e della propria immagine. Il successo attuale delle marche di lusso è basato su un meccanismo simile, il meccanismo di lusso “per se stesso”, piuttosto che come uno status symbol.
Al moltiplicarsi di oggetti e messaggi, il consumo si guarda bene dal non piacere più. Identificando il modello di “consumo compensativo”, i ricercatori anglosassoni enfatizzano il modo in cui gli oggetti quotidiani compensano il deficit. Essi diventano parte di noi stessi, o della persona che sogniamo di essere. La scelta paradossale di un fuoristrada quando si guida in un ambiente urbano punta soprattutto ad esprimere una personalità, ad identificare sé stessi con lo stile di vita che uno sogna. In una società impiegatizia, la gente si sente più libera indossando i Levi’s, più virile su una Harley Davidson! Una donna si sente una madre migliore quando usa capi di marca. Chiunque controlla il proprio corpo e la propria immagine usando un nuovo shampoo con un forte componente tecnologico. Allo stesso modo, una donna si sente più femminile indossando Chanel. I capi di marca sviluppano un valore emozionale in più.
In una società che sta invecchiando, che non ha punti di riferimento comuni o una missione collettiva, il consumo diventa una terapia reale. Gli argomenti relativi alle marche di cibo più salutari, alle marche di auto più sicure, tranquillizzano una società ansiosa che non ha fiducia in sé. Gli oggetti ci consolano, ci danno una conferma, o riempiono il vuoto che ci caratterizza. D’ora in avanti, il nostro approccio alla società del consumo deve essere diverso: il valore emotivo trionfa sulla funzionalità delle cose.
Nicolas Riou
Fonte: www.truthout.org
Link: http://www.truthout.org/docs_2005/110105H.shtml
Tradotto da LORY&STEFY per www.comedonchisciotte.org
originale francese:
http://www.liberation.fr/page.php?Article=334895
31.11.05