DI LUCA PAKAROV
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Più che altro sembra ci sia stato un maremoto. Sono rimasti cocci, bottiglie rotte e microfoni spenti. L’ultimo è stato il presidente Napolitano ma l’impressione generale è che ministri e capi di stato siano un lontano ricordo. Le celebrità solidarizzano già con altre sciagure. Sparite associazioni e bande musicali. A L’Aquila vengono solo sottosottosottosegretari, soprintendenti delle Belle Arti, portaborse, gente senza scorta, comparse cioè di un sistema che ha già suonato il de profundis.
D’altronde, parliamoci chiaro, cosa vogliono ancora gli aquilani ? Vivono dentro le tendopoli? Hanno fatto le vacanze al mare? Stanno nei container come i poveracci dell’Irpinia? Hanno tutti una lavatrice e un televisore al plasma? Sono stati risarciti? Hanno intascato i fondi per le aziende? Il lavoro è ripartito? E allora?Allora, se qualcuno seriamente si è posto tali domande, se anche per un secondo avete fatto certe considerazioni, allora significa che il Potere va come un treno e che avete in pappa il cervello. Perché non c’è da scomodare Adorno per sapere che non è il giudizio informato a creare l’opinione ma l’autorità dominante. Le notizie invecchiano rapidamente e l’autorità vuole che il caso L’Aquila sia chiuso. Le telecamere sono spente e il padrone del mondo ci dice con il silenzio dei giornali, della televisione e, nella peggiore delle ipotesi, con gli invitati a Forum taroccati, che a L’Aquila tutto è stato fatto, che ora tocca agli aquilani rimboccarsi le maniche. Mica, da mezzi meridionali quali sono, vorranno assistenza per tutta la vita? E no cari aquilani.
Questo è il messaggio confuso ma disarmante a cui è sottoposto subdolamente l’italiano da un po’ di tempo a questa parte. Basta chiedere in giro. Ormai siamo occupati con disgrazie più generose di immagini, amori tragici e inquinamento-stermina-tutti. Un brusio indistinto come sottofondo e la memoria selettiva hanno sedimentato nella penisola un’immagine di L’Aquila che corrisponde più o meno a quello delle baite in Trentino, casette in legno, prati verdissimi, uccelletti canterini, rose fiorite e ruscelli benefici. D’altronde se qualcuno ha speso 300mila euro di copertura mediatica per ogni sua comparsata a L’Aquila, se con il sisma di L’Aquila si sono recuperati consensi, impossibile sarebbe ammettere un qualsiasi fallimento. Ma in una città bombardata, finita la guerra, ti aspetti di vedere gente arrampicata sulle impalcature, gru, sacchi di cemento e impastatrici che girano pure la notte. Non ti aspetti che sia madre natura ad occuparsene, che sia lei con misericordiosa iniziativa ed efficientissima spontaneità a ricoprire di verde, di muschi e pianticelle, i resti a terra di quella che, a dar retta alla geografia ufficiale, ancora è un capoluogo di regione.,,
Quando arrivo per prima cosa vado in cerca di un ufficio informazioni. Lo trovo in corrispondenza del cimitero in un container nel quale mi accoglie una donna sulla cinquantina. Mi mostra una cartina, mi indica le due strade visitabili poi mi sorride. Faccio per andarmene ma lei mi ferma, appena imbarazzata mi dice, semmai ne avessi la curiosità, arrivato alla fine del corso, di girare a destra, in via XX settembre, lì troverò la casa dello studente e quella dell’avvocato che ha perso tutta la famiglia. La guardo allibita e lei si giustifica abbassando gli occhi, che sono in tanti a chiederlo. Quando ci si abitua all’eccezionalità, a schivare le macerie per mesi e camminare fra case pericolanti, la tentazione è proprio questa, la totale distruzione può diventare una macabra attrazione turistica. Questo è il mio primo pensiero, solo in seguito scoprirò il significato di questa indicazione, quando mi ritroverò a camminare per la città che, tecnicamente, non è più una città. E’ un luogo surreale, perché nei luoghi surreali c’è sempre un silenzio surreale e fantasmi e costruzioni strambe, cassetti aperti, cani randagi, armadi, orologi liquidi che vengono giù da un imprecisato punto del cielo. C’è odore di segatura e di cemento. In un vicolo un operaio utilizza un martello e fischietta un motivetto che fa rabbrividire. Dietro tanta follia non ci sono Dalì o Buñuel, no, ci sono i nomi che tutti conosciamo e di cui nessuno parla più, di chi, consapevolmente, in un modo o in un altro eppure sempre avidamente, ha tratto vantaggio da questa situazione: il signor Assassino e la signora Carogna, mister Porcio e madame Iena, il piccolo Bastardo e il grande Corrotto. A questo punto mi torna in mente il mondo reale, due anni orsono qui è successa una cosa, un fatto che tutti ricordiamo ma che lentamente, a causa forse del dissacratorio modus vivendi di uno società agonizzante, una società pronta ad ingoiare ogni evento senza masticarlo, dove ogni vicenda umana è destinata a diventare spazzatura finita l’emozione del momento, dopo un martirio comunicativo degno di Orwell, sta diventando un fatto come un altro, una normale situazione straordinaria. Cause, responsabilità, interventi non contano più nulla, ormai l’insensato è robusto, ben piazzato, radicato nella quotidianità. La gente è fuori e il centro è morto, le speranze al macero, ecco tutto.
Un po’ di pudore mi consiglia di non far domande, di abbassare la testa, di lasciare questa persone con il proprio dolore e la propria disillusione, di scappare via, di fingere che tutto questo non possa essere vero. Finché non leggo un cartello ad una transenna che dice: “l’unico aiuto che potete dare è riportare con onestà quello che vedete e fare in modo che tutti conoscano la dignità e la forza che ci fanno andare avanti”. Capisco allora che il consiglio della signora all’ufficio informazioni era solo un gesto d’amore per la sua città.
Ho contato tre bar aperti nel centro, gli altri sono sistemati tutti come bancarelle sul viale della Croce Rossa. In uno trovo Alfredo che subito mi chiede di dove sono. Gli spiego che da dove vengo io il terremoto lo conosciamo e questo sembra un punto comune che ci mette a nostro agio. Mi ripete sia lui che gli altri che incontrerò in avanti, che il timore maggiore è che vengano abbandonati, dimenticati. Per questo hanno tutti una gran voglia di parlare, di sfogarsi, di far conoscere le proprie storie, perché il terremoto è un evento totalizzante, una faccenda che ha squassato ogni cellula degli aquilani ed ora, dopo essere stati al centro del mondo, dopo le pagliacciate internazionalizzate, dopo che gli sciacalli si sono saziati, dopo che mangiafuoco ha sbaraccato il teatrino, questo tragico silenzio li terrorizza.
Quando faccio sapere che sono qui per capire cosa è successo, diventano un fiume in piena, come il barista di Paganica che mi serve il caffè nel container piazzato lungo la strada per Onna e che lui, con i suoi risparmi, ha dovuto comprare. Parla a denti stretti poi mi conduce nella via dietro, dove c’è il vecchio bar. Ci sono crepe che c’entrano una mano. Sai quanto ho avuto dallo stato? Ottocento euro per tre mesi. Questo è il trattamento per i commercianti. Tiro a campare ma da dicembre non so cosa succederà visto che dovremo tornare a pagare le tasse al 100%. La presa per il culo massima è che gli aquilani dovranno risarcire anche le tasse degli ultimi sei mesi, visto che lo slittamento fino a dicembre era stata considerata solo una proroga.
Ad Onna si rimane basiti. Lo spettacolo è raccapricciante e insopportabile. Il paese è un mucchietto di residui trapassati, pietre che almeno fino a qualche tempo fa sembravano denunciare quel 6 aprile ma che ormai sono oltre la linea muta della storia. Onna, malgrado tutto, è un paese fortunato, il governo tedesco si è impegnato nella sua ricostruzione in ricordo della strage di 17 innocenti che i nazisti trucidarono durante la ritirata. Pare che in questo affare anche la Thyssen abbia sborsato parecchio, il che, sinceramente, fa un po’ ridere quando poi la stessa chiede di essere risarcita da chi crepa dentro le sue fonderie. Come a dire che il bene non è mai scevro dal male. Ma il nostro è un pianeta delle contraddizioni, allungano una mano dopo che ti hanno massacrato o se devono lavarsi la coscienza.
Nando invece, insegnante di musica ora trasferitosi a Cagnano, mi racconta che quel senso di solidarietà che si respirava dopo il sisma sta svanendo, ora stanno emergendo piccoli e pericolosi campanilismi alimentati anche dalle 57 amministrazioni comunali che sono entrate in quello che viene chiamato “cratere”, cioè fra quelle a cui in teoria verranno concessi fondi straordinari e condizioni privilegiate per la ricostruzione. Ovvero l’unica vera possibilità che le piccole urbanizzazioni, i borghi, hanno per evitare lo spopolamento. Ognuno così rivendica qualcosa. Quel sindaco è stato più bravo, l’altro meno. Lì costruiranno, là no. E’ comprensibile che tutti, terminata l’emergenza, cerchino di tirare l’acqua al proprio mulino, l’individualismo fa parte dell’umano, ma rattrista comunque. Mi parla anche della Fintecna, società controllata dal Ministero dell’Economia, che ha il compito di rilasciare i finanziamenti per la ricostruzione, fino a 150mila euro. Questa ed altre società sono pronte a comprare ad un prezzo irrisorio le case che prima costavano 5mila euro a metro quadro, come per esempio quelle di via Vittorio Emanule. Paradossalmente per gli aquilani, se qualcuno che non vive a L’Aquila si sta adoperando per fregarsi le case migliori, significa che su in alto si è deciso che prima o poi la città ripartirà.
A L’Aquila, città senza cittadini, c’è il traffico di Roma e non ci sono indicazioni, la gente gira a vuoto in cerca di un ufficio così io che devo prendere verso Teramo mi accorgo che passo come un idiota sulla stessa via per cinque volte. Fermo un tizio che, dalla livrea, è appena uscito da un cantiere. Rinor, giovane macedone, mi dice che deve andare nella mia stessa direzione e in cambio di un passaggio si propone per accompagnarmi. Lui viveva in affitto. Ora si ritrova con una casa piena di lussi, addirittura dentro il bagno delle C.A.S.E. ci ha trovato lo spazzolone. Cosa potevo voler di più? Certo si trova fuori mano e per comprare un pacco di pasta devo fare 10 km di macchina ma si sente baciato dalla fortuna. Ci ripensa un attimo, mi dice, Se anche avessero rubato un po’… che male c’è? Res Ipsa Loquitur.
Il mio punto di vista non assomiglia al suo ma io qui non ci vivo e questa, attualmente, è una bella fortuna. Comunque riesce ad indicarmi la strada che cercavo. Ma al di là di ogni giudizio sulle considerazioni dei singoli mi pare che il trend sia chiaro: chi non aveva nulla ci ha guadagnato una casa e in qualche modo ha trovato la spinta per ricominciare, chi aveva poco, come il barista, ha perso tutto, chi aveva molto si ritrova con poco. Oltre a questi ci sono gli esperti della filiera ricostruttiva, architetti, ingegneri, geometri, burocrati a cui il lavoro ora non manca di certo. E potete starne sicuri, in un paese marcio di corruzione, gli abruzzesi non fanno eccezione.
Ma le iniziative populiste continuano, per lo meno a ridosso delle elezioni. Sono stati stanziati fondi per le aziende che verranno erogati solo nel 2015 quando, verosimilmente, ci sarà un altro governo. Ha ripreso vita la pensata fantastica del ministro Romani: L’Aquila zona franca. Niente IVA. Tutta Italia verosimilmente arriverà qua per comprare sigarette e benzina. I nuovi centri commerciali, dove ora gli aquilani vanno a sbattere la testa come animali in gabbia drogati, gioiscono. Verosimilmente tutti i commercianti un passo fuori dalla provincia di L’Aquila andranno in rovina ma insomma, c’est la vie!
Ma quello che più fa impazzire è che, in un paese normale, dopo tanto vomito, dopo tutte le offese ricevute e i malaffari e le puttane e la tracotanza eccetera eccetera, ci si potrebbe aspettare per lo meno di avere un sistema di forche ben funzionante o, come minimo, che alle prossime elezioni i partiti da votare si chiamino la Gironda, Montagna e Padule, quelli proprio della Rivoluzione Francese. Com’è possibile che il potere si rafforzi grazie ad una disgrazia che ha gestito solo come un profitto, come una merce? Ma forse la domanda è un’altra, seriamente, cosa stiamo diventando? Cosa devono farci ancora? Siamo più informati, abbiamo accesso a tutte le notizie immaginabili, eppure siamo superficiali, stupidi e ignoranti. A pensare che il povero Leopardi avvisava di un simile pericolo già parecchio tempo addietro.
Detto questo, non rimane che fare un ultimo sforzo. Immaginate, se potete, che ogni mattina che uscite di casa (un modulo abitativo a 10 chilometri dal centro di cui già sappiamo ogni particolare) per andare al lavoro di essere costretti a passare davanti la casa dove siete nati. La casa di proprietà che magari avete ereditato dai vostri genitori. Le finestre sono rotte, la cucina e il frigorifero in cui avevate attaccato l’adesivo della vostra squadra sono in bella vista per uno squarcio nel muro, nel terrazzo ci sono ancora i pantaloni che il 5 di aprile 2009 avevate messo ad asciugare. In quello stesso edificio che ora cercate di non guardare il vostro vicino è stato ritrovato in cantina direttamente dal quarto piano, nella stessa via non abita più nessuno ma ci sono ancora le auto fracassate di alcuni conoscenti. Secondo voi, c’è il rischio che vi abbrutiate? Ci può essere qualche motivo per un rancore incondizionato? Per sputare veleno e fare qualche sciocchezza?
Chi a L’Aquila è di passaggio finisce per provare un profondo rispetto verso gli aquilani; si vorrebbe poter condividere con loro le pene o almeno le fatiche. Mi prometto allora che conserverò gelosamente le vecchine che al passaggio del Cristo in piazza Duomo piangevano, porterò con me lo sguardo del barista di Paganica e le macerie di Onna. Mi dico, da buono studente, che per me questi rimarranno per sempre ricordi su cui riflettere. Perché da una visita a L’Aquila, pure se sono passati due anni, se ne esce con le ossa rotte. Ma proprio mentre lo penso ho anche l’inquietante percezione degli agguati che mi aspettano appena imboccherò l’autostrada. So, temo, che prima o poi l’idiozia in ogni sua forma spettacolare, che sia una partita di Champions o l’ultima legge abominevole, annichilirà questa mio amaro frastorno facendomi tornare a quella vita (sub)reale senza sofferenze reali, questa vita leggera che si concretizza solo in desideri passeggeri fatti di prodotti per il corpo e automobili parlanti. Ci saranno altri terremoti e altri brutali assassini su cui dibattere qualche ora. Ci sarà sempre una notizia più importante di quella vecchia. Di nuovo plastici e approfondimenti. Sempre piacevolmente intrattenuti, informati e narcotizzati.
Luca Pakarov, scrittore e giornalista free-lance, “settantasettino memore di scritture su varie riviste anarchiche spagnole”, ha scritto l’antologia di racconti ‘Terminal’ (Edizioni Clandestine, 2007) e ha pubblicato diversi articoli su Rolling Stone magazine (di cui qualcuno ripreso qui su Comedonchisciotte).
Riguardo all’articolo pubblicato qui sopra dichiara:
L’ho scritto veramente più per gli aquilani che per me. Non so, sentivo che dovevo loro qualcosa…
Fonte: www.comedonchisciotte.org
10.05.2011