DIETRO L’EUFORIA MEDIATICA, GLI UOMINI

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DI FRANK GAUDICHAD
monde-diplomatique.fr

In Cile, il riscatto dei 33 minatori sotterrati nella miniera di San José è cominciato mercoledì 13 di ottobre, grazie ad un pozzo di evacuazione perforato apposta.

Si sono mossi giornalisti da tutto il mondo. Dall’annuncio dell’incidente il presidente cileno, Sebastián Piñera, non si è risparmiato nessuno sforzo per dimostrare che supervisiona personalmente i lavorati dell’evacuazione : il suo indice di popolarità, d’altro canto, è aumentato 10 punti dal lancio di una operazione considerata da lui “senza paragoni nella storia dell’umanità”. Però una volta che sarà passato il tempo della festa -perfettamente logica- il Cile si farà domande sulle condizioni che hanno provocato l’incidente ?

22 d’agosto 2010, 14:30. Copiapò, deserto di Atacama, nel nord del Cile. Alcune parole scarabocchiate con una vernice rossa salgono per un condotto perforato nella miniera di San José, in una delle regioni più aride del mondo: “Stiamo bene nel rifugio, tutti e 33”.


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Trentadue minatori cileni e uno boliviano si trovavano intrappolati a quasi 700 metri sotto la superficie della terra, sotterrati vivi nel ventre di una miniera di rame e oro. Dallo sprofondamento di vari muri di contenimento, sotto migliaia di tonnellate di roccia e fango, sono sopravvissuti bene o male in uno dei rifugi ancora accessibili. Bevono l’acqua che scorre, razionano i loro scarsi alimenti e soffrono per un calore asfissiante. Però il loro piccolo appunto lo dimostra: stanno bene di salute.

Questa scoperta è stata acclamata da un visibilio collettivo: tutto un popolo sta insieme ai “suoi” minatori in uno slancio di solidarietà che corre lungo la cordigliera delle Ande e arriva ad inondare le provincie del sud del paese: “Si, gli eroi stano bene”, intitola il giornale a grande diffusione Las Ultimas noticias in un’edizione speciale del 23 agosto 2010. L’accampamento di San José dove si installano le famiglie dei minatori viene ribattezzata con il nome di “accampamento della speranza”. Comincia il lavoro del riscatto.

Il 13 di ottobre, mentre i primi minatori riprendevano la libertà, almeno 1700 giornalisti da tutto il mondo li aspettavano circondati di bandiere cilene. Per prepararsi al “gran giorno”, i minatori hanno dovuto seguire anche lezioni di “intrattenimento mediatico” – in fondo alla miniera- per prepararsi ad una valanga di interviste
e collegamenti televisivi (senza contare la proposta di adattamento della loro storia per un film, in diverse lingue).

Per due mesi il ministro delle miniere, ex dirigente della filiale cilena della Exxon Mobil, Laurence Golborone, è stato l’animatore principale. Senza togliersi in nessun momento la sua disivisa con i colori del paese e delle festività legate al bicentenario dell’indipendenza (1810-2010), abbraccia i familiari delle vittime e commentava dettagliatamente i progressi dell’operazione di salvataggio. Però il giorno “D” è proprio il presidente che si mette sotto i fuochi.

All’alba, verso le cinque e dieci, il primo minatore esce dal pozzo di evacuazione. Abbraccia suo figlio, sua moglie e poi il presidente. Quattro minuti dopo, quest’ultimo fa la sua prima dichiarazione e ringrazia Dio “senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile” e afferma che “oggi possiamo sentirci più orgogliosi che mai di essere cileni”.

Per il governo, il dramma presenta alcuni vantaggi. Piñera, il presidente-imprenditore multimilionario eletto il 17 di novembre del 2010, conosce difficili inizi (1). La sua gestione disastrosa delle conseguenze del terremoto dell’ultimo febbraio suscitano numerosi scontenti mentre le mobilitazioni e gli scioperi della fame dei mapuches, nel sud, gli procurano molti grattacapi (2). Il martirio dei “33” rappresenta, più, un’opportunità da sogno per organizzare per due mesi e in diretta un formidabile spettacolo televisivo. Mentre i “33” vengono proclamati “eroi del bicentenario dell’indipendenza”, si è fatto tutto il possibile per convertire lo slancio solidale in un consenso politico: “tutti uniti” dietro il presidente Sebastian Piñera, in qualche modo. Certamente, secondo il giornalista Paul Walder, l’incidente di San José costituisce soprattutto un’allegoria del Cile contemporaneo: un paese dove la classe operaia si trova “sepolta” da un sistema che la opprime (3).

In realtà i 33 minatori supermediatizzati, paradossalmente, rimangono senza voce. Né loro né i propri familiari,né il movimento sindacale- storicamente potente in questo settore però debilitato dalla dittatura e dalle sue riforme neoliberiste- hanno avuto l’opportunità di esprimere la loro analisi delle cause dell’incidente.
All’esterno, quelli che sono riusciti a scappare dalla frana e provano a ricordare che i loro salari non erano stati pagati da diverse settimane: “Per il tuo show, Piñera, 300 siamo fuori!” (4) si scontrano con l’indifferenza generale.

Il Cile è un portabandiera del capitalismo minerario latinoamericano. L’estrazione rappresenta l’ 85% delle esportazioni e il 15% del prodotto interno lordo (PIL). Il paese esporta carbone, oro e soprattutto rame del quale è il principale produttore mondiale ( con il 40% del mercato), specialmente grazie alla più grande miniera a cielo aperto del pianeta (Chuquicamata). Il Cile dispone anche di riserve equivalenti a 200 anni di sfruttamento.

Nell’epoca della grande nazionalizzazione del 1917, il presidente Salvador allende, stimò che lo sfruttamento del rame costituiva il “salario del Cile”. Il governo dell’Unità Popolare espropriò allora le grandi imprese americane e trasferì la sua proprietà alla Corporazione Nazionale del Rame (CODELCO) (5).

Dal colpo di stato del 1973, la dittatura e poi la democrazia neoliberista hanno invertito la logica offrendo la concessione di numerosi giacimenti a imprese private nazionali e internazionali. Senza dimenticarsi di ridurre le tasse a uno dei livelli più bassi del mondo (6) e le condizioni di sicurezza ai minimi termini – a volte sono inesistenti- . E poco importa, in ogni caso: nella regione di Antofagasta, 277 giacimenti su 300 si sfruttano senza attenersi alle norme. In un simile contesto, l’estrazione mineraria si converte in un’attività molto lucrativa.

Senza dubbio, secondo “Le Monde”, tutto sarebbe stato fatto per promuovere i minatori al rango di autentica “aristocrazia mineraria”. I loro salari sono fino a tre volte superiori al salario minimo (262 euro mensili). Ancora meglio aggiunge il giornale della sera: “il dramma dei “33” di San José e l’operazione in corso per riscattarli non deve farci dimenticare la cosa essenziale: la maggior parte dei minatori cileni lavora con eccellenti condizioni di sicurezza” (7). Nonostante i trentun morti annuali di media ( su centomila lavoratori), le condizioni distano molto da essere ideali.

“San José è un incubo. È pericoloso, lo so, tutti lo sanno”, spiega uno dei minatori salvati. “c’è solo una regola: produttività” (8). Con 345 lavoratori, si tratta di una miniera di grandezza media. L’ impresa mineraria San Esteban – che sfrutta il sottosuolo del paese da più di 200 anni- appartiene a Alejandro Bohn ( 60% del capitale) e a Marcelo Kemeny (40%), il figlio del fondatore della compagnia. Delle due miniere che possiede, una ha dovuto chiudere, esaurita. Però San José deve continuare a finanziare lo stile di vita dei dirigenti dell’impresa- specialmente le feste che organizzano nei locali di moda della capitale, molto famosi sembra-

A San José, l’ ascesa del prezzo del metallo nel mercato mondiale si traduce in una intensificazione del lavoro, il ricorso quasi sistematico a ore di straordinario ( fino a 12 ore giornaliere) e … ai tagli nell’ambito della sicurezza: quando nel momento dell’incidente, il 4 di agosto, i 33 minatori si precipitarono al camino di sicurezza per salire, scoprirono che non c’era alcuna scala…

Sorpresa? No: dal 1999 gli incidenti si moltiplicano. Nel 2004, dopo la morte di un operaio, i sindacati presentarono una denuncia che al principio fu rifiutata dal tribunale d’appello. Finalmente , nel 2005, la miniera si chiuse per decisione della Direzione del Lavoro. Nonostante ciò si tornò ad aprire nel 2009 senza che il complesso delle estrazioni mettesse in atto le norme di sicurezza. In luglio del 2010 un nuovo incidente: lo schiacciamento delle gambe di un minatore. Nonostante tutto, tre settimane dopo il Servizio Nazionale di Geologia e Miniere (Sernageomin) autorizzò a mantenere la produzione. Alcuni sindacalisti parlano di corruzione. 26 famiglie di minatori decisero a presentare una denuncia contro i proprietari e lo stato.

Léstor Jorquera, presidente della Confederación Minera del Cile ( sindacato che raggruppa 18.000 lavoratori), si lamenta del fatto che il Cile non sia firmatario del convegno 176 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) che copre la sicurezza e la salute nelle miniere. Denuncia soprattutto l’esistenza di una legislazione lavorativa regressiva, eredità della dittatura. Il diritto di sciopero, per esempio, è limitato.

Nonostante alcuni programmi di prevenzione dei rischi, La Sovrintendenza di Sicurezza Sociale ( Ministero del Lavoro) riconosce che 443 persone sono morte per incidenti sul lavoro nel 2009 ( 282 nel primo semestre del 2010) e si sono registrati 191.685 incidenti non mortali lo scorso anno ( in una popolazione attiva di meno di 7 milioni di persone) (9).

Il 28 agosto 2010 il presidente Piñera ha annunciato la creazione di una “sovrintendenza delle miniere” ( i sindacati non sono rappresentati), inviata al direttore della Sernageomin, e ha promesso l’aumento dei controlli e del numero di ispettori. C’è da dire che questi ultimi sono attualmente 16 – per controllare più di 4.000 miniere ripartite per tutto il paese… (10) Un cambio? Speriamo sia così (però è molto poco probabile), o ci saranno altri incidenti con risultati probabilmente meno felici.

Franck Gaudichaud (Le Monde diplomatique), professore di Civilizzazione Ispanoamericna nell’università di Grenoble 3. Ha diretto l’opera El volcán latino-americano. Balance de una década de luchas: 1999-2009″, Agencia latinoamericana de información, 2010: libro electrónico Copyleft en: http://alainet.org/active/40895〈=es)

Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=114864
15.10.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANTONIETTA BANDELLONI

Note:

(1) Si veda « Un entrepreneur multimillionnaire à la tête du Chili », Le Monde diplomatique, 19 de febrero de 2010, www.monde-diplomatique.fr/carnet/2010-01-19-Chili , (in spagnolo: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=99094), y « Tremblement de terre politique et retour des Chicago boys », Recherches internationales luglio 2010 (in spagnolo: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=106567)

(2) Alain Devalpo, “Mapuches, les Chiliens dont on ne parle pas », Le Monde diplomatique, 19 de febrero de 2010, www.monde-diplomatique.fr/carnet/2010-09-15-Mapuches .

(3) Paul walder, “La sepultada clase obrera”, Punto Final, Nº 717, septiembre de 2010.

(4) José Luis Córdova , http://www.diarioreddigital.cl/index.php?option=com_content&view=article&id=1494:el-rescate-es-solo-parte-del-fin-del-drama-en-la-mina-san-jose-ipara-tu-show-pinera-300-estamos-afuera&catid=42:laboral&Itemid=59 , 8 de octubre de 2010.

(5) www.monde-diplomatique.fr/carnet/2010-09-04-Allende

(6) Nel giugno del 2010, il ministro delle Miniere Laurence Golborne, ha riconosciuto che la fiscalità delle miniere del Cile è la terza più debole al mondo, Radio Cooperativa, 1 di giugno 2010, http://www.cooperativa.cl/ministro-reconocio-que-tributacion-minera-en-chile-es-la-tercera-mas-baja-del-mundo/prontus_nots/2010-06-01/195419.html.

(7) www.lemonde.fr/economie/article/2010/09/21/au-chili-les-mineurs-forment-une-aristocratie-ouvriere-enviee_1413985_3234.html

(8) Reportage di Jean-Paul Mari: « La malédiction de San José », Le Nouvel observateur, N°2395, octubre de 2010.

(9) Soprintendenza della sicurezza nazionale: www.suseso.cl .

(10) Andrés Figueroa Cornejo, “Treinta y tres mineros, uno tras otro”, Agencia latinoamericana de información, http://alainet.org , 10 de septiembre de 2010.

VEDI ANCHE: JOHN PILGER – IN CILE NON SI SALVANO I FANTASMI

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