DIETRO IL BRACCIO DI FERRO SCELLI-BERTOLASO

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DI RITA PENNAROLA

Basta con gli aiuti economici.
Smettete di inviare sms e lasciateci lavorare in pace. Dopo l’ondata di generosità post maremoto dimostrata dagli italiani (25 milioni di euro raccolti con i messaggini telefonici) e le successive polemiche con tanto di botta e risposta sul loro utilizzo fra il commissario straordinario Cri Maurizio Scelli e il capo dipartimento protezione civile Guido Bertolaso, il 4 gennaio arriva lo stop. Ad annunciarlo è il ministro della Salute Girolamo Sirchia, lo stesso che il 14 aprile 2003 aveva catapultato Scelli sulla poltrona più alta della potente Croce Rossa Italiana.

Ma chi sono i grandi protagonisti chiamati a gestire la potente macchina degli aiuti e la relativa “marea” di provvidenze? Scopriamoli uno ad uno. Incominciando proprio dall’avvocato Scelli e dalle eroiche note biografiche che su di lui traccia Sirchia al momento dell’investitura, nel 2003.

da Lourdes alle Maldive

«All’avv. Maurizio Scelli, personalità di rilievo nell’ambito del volontariato, ed in particolare dell’Unitalsi, dove aveva ricoperto la carica di Segretario Generale – si legge nella nota del ministero – vengono affidati, in ottemperanza alla legge 6 luglio 2002 n. 137 i compiti di ricostituzione degli organi statutari e, d’intesa con i Ministeri vigilanti (Sanità e Difesa), la riorganizzazione della struttura centrale e territoriale della Croce Rossa Italiana. Già Vice Commissario dell’Ente dal 28 ottobre scorso, l’Avv. Scelli ha comunque svolto tale funzione a seguito dell’impossibilità da parte dell’Ambasciatore De Mistura a ricoprire l’incarico di Commissario Straordinario per irrinunciabili impegni di carattere internazionale che lo vedevano coinvolto». Un forfait, quello di Steffan De Mistura, che a qualcuno suona strano. Uomo dell’Onu, vicino a Kofi Annan, fino al 2002 De Mistura aveva retto la Cri con fermo profilo istituzionale. Ai primi segnali del conflitto iracheno lo sostituisce Scelli, benedetto da Gianni Letta e soprattutto da monsignor Camillo Ruini, potente leader della Conferenza Episcopale Italiana. Gli stessi che gli avevano spalancato le porte di una candidatura alle Politiche nel 2001 tra le fila di Forza Italia dopo che un brutto episodio lo aveva lasciato a terra.

Per capirlo, facciamo ancora un passo indietro. Molto indietro. E andiamo ad ascoltare come lo stesso avvocato Maurizio Scelli da Sulmona tramanda ai posteri le origini della sua vocazione umanitaria. «A 17 anni – spiega nel settembre 2000 da segretario generale dell’Unitalsi, la sigla che organizza i treni bianchi della speranza – ebbi un incidente mentre giocavo a pallone, che a quel tempo era la mia vita e il mio sogno. Rimasi in ospedale per mesi, dovetti lasciare la squadra e il progetto di una vita come calciatore professionista in serie A. Mi erano rimaste comunque la salute, la possibilità di una vita normale, e la fede.

Poi, nel ’92, per mia madre la mia laurea in Legge fu un secondo miracolo, e volle che l’accompagnassi a Lourdes. Per me fu un’esperienza indimenticabile. E nel ’93, cominciai ad organizzare per l’Unitalsi viaggi a Lourdes e in Terra santa per disabili e paraplegici».

Con oltre 300 mila soci sparsi in 250 diocesi, l’Unitalsi detiene praticamente il monopolio di questi viaggi della speranza. Con puntate anche a Eurodisney grazie all’originale fantasia di Scelli che, non senza polemiche, durante il periodo della sua permanenza al vertice vi condusse una folta delegazione di disabili. A settembre 2000 la “doccia fredda”, è proprio il caso di dirlo. Un mare di fango sconquassa il camping di Soverato, in Calabria, prescelto dall’Unitalsi per il soggiorno estivo di numerosi giovani con handicap.

Le vittime sono 12, fra cui tre volontari della stessa organizzazione guidata da Scelli. Le accuse al vaglio della magistratura sono di incompetenza e di imprudenza da parte degli operatori per la scelta di un campeggio che non doveva stare vicino a un fiume. Il segretario Scelli ribatte che i permessi del camping erano in regola, che era collaudato.

La bufera che lo colpisce nel pieno dell’escalation (quello stesso anno era stato nominato anche consultore del Pontificio Consiglio per la pastorale della sanità e coordinatore del Comitato organizzatore del Giubileo degli ammalati) prelude in realtà a nuovi trionfi. Altro che Unitalsi. E’ infatti a quel punto che Gianni Letta lo candida alla Camera. Primavera 2001. «La sua campagna elettorale a Monteverde, 200.000 abitanti – scrive Liberazione – è stata organizzata con scenografie berlusconiane: cortei di Smart tutti i giorni con “vota Scelli” a profusione e una linea di pullman gratuita per trasportare gli abitanti da un capo all’altro del quartiere. Due mega-concerti gratuiti a San Giovanni di Dio. Girava voce che i suoi sostenitori avessero raccolto più di cinquecento milioni di lire.
L’avversario era il diessino Walter Tocci, ma Scelli, prendendo a modello le strategie berlusconiane, ha evitato sempre il contradditorio pubblico. Non gli è andata bene, ma si è consolato con la nomina a commissario della Croce Rossa».
Arriviamo così ai giorni nostri, con un Maurizio Scelli grande testimonial del “generoso impegno profuso dal governo Berlusconi in Iraq”, coronato dalle esaltanti gesta connesse alla liberazione degli ostaggi. Sempre più stretti, naturalmente, i rapporti con Sua Emittenza. A cominciare dal discusso progetto di “privatizzazione” della Croce Rossa che risale appena a qualche mese fa.

Marcia trionfale con retromarcia: lo scorso 15 ottobre il consiglio dei ministri è costretto a “congelare” il decreto che prevede l’affiancamento di una società per azioni alla normale struttura della Cri. Solo un rinvio, anche perchè il ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi annuncia subito dopo «che il decreto sarà presto esaminato». Appena qualche giorno prima nel corso di un convegno Scelli aveva dichiarato: «stiamo pensando di trasformarci in società a partecipazione pubblica per togliere tutti i vincoli burocratici che rallentano la nostra attività». Le ultime battute arrivano nelle scorse settimane, a fine 2004 e alla vigilia del maremoto che il 26 dicembre ha sconvolto il sud est asiatico. La notizia rimbalza su tutte le agenzie: il supercommissario Cri mette a disposizione migliaia di volontari dell’ente per la campagna elettorale di Forza Italia. Lo scoop porta la firma del quotidiano Libero e del suo patron Vittorio Feltri. «La notizia – smentisce a botta calda il portavoce del premier Paolo Bonaiuti – non è fondata. Berlusconi mai ha chiesto di utilizzare i volontari Cri, né Scelli gli ha mai fatto un’offerta di questo genere».
L’avvocato di Sulmona fa di più. E chiarisce che fino alla scadenza del suo incarico alla Cri (marzo 2005) non accetterà alcuna proposta di candidatura. Nemmeno quella alle Regionali abruzzesi che la Casa delle Libertà, a quanto pare, gli aveva già offerto.
«Scelli si dimetta – tuona il parlamentare dell’Ulivo Beppe Fioroni – e Berlusconi venga a rispondere in aula». E meno male che a Scelli le consolazioni non mancano. La più esaltante arriva da Roberta Angelilli, eurodeputata di An, che ha ufficialmente proposto la candidatura di Scelli al premio Nobel per la Pace «per il ruolo che la Cri ha avuto nella liberazione di Simona Pari e Simona Torretta». Poco prima, sempre a dicembre 2004, il governatore Roberto Formigoni lo aveva insignito del Premio Lombardia per la Pace. Ironia della sorte, premiato alla memoria nella stessa occasione era stato il giornalista Enzo Baldoni. Proprio nelle ore in cui si faceva più accesa la polemica tra la famiglia del reporter scomparso in Iraq e il supercommissario Scelli, che non avrebbe «fatto abbastanza» per la sua liberazione.

Scontro Protezione
«La Croce Rossa coordinerà gli aiuti umanitari, ma quelli della cooperazione, non certo i nostri. O ce li fanno usare questi aiuti (i 25 milioni di euro raccolti attraverso gli sms, ndr) in termini di trasparenza, o rimetterò il mandato». Non ha usato mezzi termini, nei giorni scorsi, il capodipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso rispondendo alle polemiche sorte con Scelli per la gestione degli aiuti. Laureato in medicina a Roma – si legge nel suo curriculum – segue il Master of Science presso la Liverpool School of Tropical Medicine. Nel ‘93 è a New York come vicedirettore esecutivo dell’Unicef, nel ‘98 viene nominato vicecommissario vicario per il Giubileo del 2000. L’anno dopo diventa direttore generale dell’Ufficio nazionale per il Servizio Civile e nel settembre dello stesso anno capo del dipartimento della Protezione Civile. L’anno santo del 2000, insomma, vede in qualche modo intrecciarsi per la prima volta i destini di Bertolaso e di Scelli, che torneranno ad incontrarsi prima in Iraq, poi nelle terre dello tsunami.

Lungo la loro strada, un altro elemento in comune: proprio per la militanza tra le fila di enti ed associazioni umanitarie, entrambi hanno intrattenuto più volte rapporti con le Misericordie, sigle cattoliche di volontariato sociale particolarmente radicate in Toscana. Dalla sezione Protezione Civile della Misericordia di Prato proveniva, ad esempio, Maurizio Agliana, uno dei body guard privati arruolati in Iraq, rapito e poi liberato nei primi mesi dello scorso anno. Torniamo a Bertolaso. Nel 2003 è in prima fila per il piano di emergenza Sars varato dal ministro Sirchia, che lo nomina «commissario delegato all’adozione di tutte le necessarie iniziative volte a realizzare una compiuta azione di previsione e prevenzione, in relazione alle possibili situazioni di rischio per la pubblica e privata incolumità derivanti dalla diffusione di agenti virali trasmissibili». Sposato, due figlie, nel corso di un’agiografica intervista rilasciata al bollettino periodico dell’Enpam (monolitica sigla di categoria dei medici) risponde indirettamente a quanti da tempo contestano la scelta di un camice bianco per la guida di un settore come la Protezione Civile, che conta ben 500 dipendenti diretti, oltre ad un esteso indotto: «da giovane il mio idolo era Albert Schwaitzer. Chi ha studiato da medico ha necessariamente una predisposizione, potremo definirla una deformazione professionale, ad essere sempre a disposizione del prossimo. Fra l’altro non sono l’unico medico al dipartimento della Protezione civile, ricordo il dottor Agostino Miozzo, direttore degli interventi all’estero, che ha lavorato anche in Eritrea, nello Zimbawe ed ultimamente in Marocco, e la dottoressa Marta Di Gennaro, che si occupa di tutte le emergenze tra cui la Sars ed eventuali attacchi terroristici».

Sono i due più stretti collaboratori di Bertolaso al dipartimento. Il primo, Miozzo, volato in Indonesia all’indomani del disastro, ha una storia che viene da lontano. Il suo nome rimbalza nel corso di due audizioni del 2004 tenute dalla commissione parlamentare incaricata d’indagare sull’assassinio di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, presieduta da Carlo Taormina. Il 29 aprile viene ascoltato Enrico Fregonara, all’epoca dei fatti (tra ‘93 e ‘94) capoprogetto di Africa 70, una ong operante in Somalia. Taormina vuol conoscere dettagli sui fondi della cooperazione. «Africa 70 – chiede – aveva in animo di stipulare un accordo con il ministero degli Esteri per questa cooperazione?». «Da quel che mi ricordo – risponde Fregonara – il progetto d’emergenza era già stato finanziato dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, per cui i fondi erano stati allocati». Taormina: «Chi c’era alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo?». E Fregonara: «Il tecnico era il dottor Miozzo, di questo sono sicuro». L’11 maggio è la volta di Giorgio Cancelliere, geologo, docente alla Bicocca e consulente della Farnesina a Nairobi. «Sono arrivato ad Africa 70 nel 1985, nel senso che lavorato per le Nazioni Unite in Somalia dal 1983 ed ho conosciuto Africa 70, che aveva un progetto di una cava di gesso per autocostruzione di ospedali a Beletuen, un paesino al centro della Somalia, e mi chiesero di seguire questo progetto, cosa che ho fatto fino alla caduta di Siad Barre ed abbandonammo tutto». «Ha conosciuto Yusef Beri-Beri (ambiguo personaggio al centro della ricostruzione, considerato trait d’union fra il governo italiano e quello locale, ndr)? (…) Chi ve lo presentò», incalza Taormina. «Il ministero della Affari Esteri». «Che significa il ministero degli Affari Esteri? Tutto il palazzo?». «No – spiega Cancellieri – i nostri interlocutori erano principalmente i seguenti: quello politico era l’ufficio territoriale, ed era il ministro o il consigliere Milesi Ferretti. Poi all’ufficio tecnico era il dottor Miozzo, dell’emergenza».

Concludiamo con Marta Di Gennaro, altro personaggio chiave nel team di Bertolaso. Attuale responsabile sanitario della missione inviata nel sud est asiatico dal dipartimento, rappresentava già un elemento di spicco nella nomenklatura del dicastero targato Sirchia. A ottobre 2002 Di Gennaro, per anni responsabile degli interventi strutturali all’Istituto Superiore di Sanità, va alla Direzione generale dei rapporti internazionali e delle politiche comunitarie. E’ la stessa tornata di nomine in cui Antonella Cinque, l’avvenente manager sanitaria particolarmente apprezzata dal ministro (che per un breve periodo la spedisce anche al Pascale di Napoli ad affiancare il fedelissimo Raffaele Perrore Donnorso) viene incoronata alla Direzione generale degli studi, della documentazione sanitaria e della comunicazione ai cittadini.
Iperattiva, Di Gennaro fa parte anche della Commissione Salute Donna, istituita sempre presso il ministero della Salute.

LASCIATE CHE I COOPERANTI…

Il sogno ostinato. Lettere dall’Africa. Si intitola così il libro autobiografico della pedagogista Silvia Montecchi, a lungo impegnata nel volontariato in Burundi. Impietoso, il saggio tratteggia per la prima volta i contorni del business aiuti umanitari. «C’è una marea di occidentali (cooperanti e volontari) – scrive – che scorazza tra un locale e l’altro, tra un festino e l’altro. Gente che in Italia sarebbe disoccupata, qui fa una vita da nababbo». Al responsabile locale della cooperazione italiana, racconta ancora la volontaria, veniva attribuito un compenso pari a circa 18 milioni di lire al mese. E Roberto Rocca Rey, in un approfondito articolo sul mondo delle ong, riporta quanto dichiarato da «una fonte interna del Dipartimento generale cooperazione e sviluppo del ministero degli Esteri, che preferisce restare anonima: “All’estero, un esperto dell’Unità tecnica centrale guadagna circa tremila euro, più un’indennità di sede di cinque-seimila dollari, esentasse”». Su questo punto Rocca Rey intervista Agostino Miozzo (vedi articolo principale), vale a dire l’attuale alter ego di Guido Bertolaso al dipartimento Protezione Civile. «Agostino Miozzo – si legge nella documentata inchiesta di Rocca Rey, pubblicata da Repubblica – per dieci anni coordinatore dell’intervento italiano nelle grandi emergenze internazionali, ora alla Protezione civile, racconta: “Certo, devi avere un concetto etico della tua carriera ed evitare ipocrisie. Chi guadagna 15-20 mila dollari al mese non può definirsi volontario. Però è giusto che la competenza sia pagata, perché in vent’anni la situazione dei Paesi in via di sviluppo è cambiata e noi ora dobbiamo dare quello: competenza.

Oggi in quei Paesi ci sono giovani che hanno studiato. Il medico generico occidentale non serve più, quasi mai. E un ingegnere della Microsoft che molli tutto e parta, va pagato, e bene”». La conferma arriva dall’anonimo del ministero degli Esteri, che spiega a Rocca Rey: «Se sei il responsabile di un progetto o se dirigi la cooperazione italiana in un Paese, hai un’indennità che è anche legata alla pericolosità del posto. Parte dai 6.000 dollari al mese e può arrivare a 9.000».

Rita Pennarola
Fonte:www.lavocedellacampania.it
Gennaio 2005

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