DIARIO DI UNA SCRUTATRICE

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DI FRANCESCA MANNOCCHI
ilmanifesto.it

Vivo e voto nel XX Municipio di Roma, uno storico fortino di destra, più finiano che berlusconiano e piegato al berlusconismo dal vento dominante. Un municipio dove Previti, candidato nel 2000 prese una percentuale bulgara (quasi il 70%). Un municipio popolare, che negli anni è diventato povero.
Sono aumentati gli immigrati, per lo più dell’est, per lo più manovali, che alla giunta circoscrizionale piace nascondere, fomentando contemporaneamente, la paura di quei nuovi poveri che per ammazzare il tempo, altro non possono se non guardare la tv. Nelle loro case popolari. E poi l’altra faccia del municipio, le zone residenziali e abusive nel Parco di Veio, che ospita oltre alle tante, troppe ville dei commercianti di Roma Nord, la villa che fu di Livia, moglie di Augusto. Ormai abbandonata.
Il municipio di via Gradoli, anche. Dei trans.
Il municipio, insomma, del caso Marrazzo.

Non avrei voluto fare la rappresentante di lista questa volta. Avrei voluto osservare i dati, capirli. Poi la notizia dello spiegamento di forze dei ‘gladiatori della libertà’ mi ha spinto a chiedere un seggio di cui occuparmi ad un partito di coalizione.
Mi è stato assegnato un seggio nella zona di via Gradoli.
Prima di attraversare la campagna per raggiungere quel limbo di Cassia che ha smesso di evocare Moro, per evocare le morti misteriose di Cafasso e Brenda, sono andata a votare nel mio seggio di appartenenza (accanto al ‘bar dei rumeni’- così lo chiamano gli abitanti del quartiere) dove gli ex dc, ora berlusconiani la fanno da padroni.

Alla consegna del documento di identità il mio nominativo risultava aver già votato.
I cinque giovanissimi che, per effetto di una legge che forse non conoscono, in quella sede sono pubblici ufficiali mi dicono: “Sarà stato un errore, può votare comunque!”. E dunque voto. Chiamo il messo comunale e denuncio la vicenda, riportandola nel verbale. Mentre mi sposto verso via Gradoli penso che avranno sbagliato riga, confondendomi con una parente, penso che gli scrutatori siano stati distratti, penso che gli scrutatori non dovrebbero essere distratti, perché anche un banale broglio può passare per distrazione e solo a Roma ci sono 2600 seggi, che 2600 distrazioni sono potenzialmente 2600 voti persi, o guadagnati.
Alle tre di ieri pomeriggio è iniziato lo scrutinio. Nel seggio oltre a me, un rappresentante di lista dell’Udc, uno del Pd. Una presidente ostile e cinque scrutatori appena ventenni.

Solo una contestazione, la mia. Mi trovo di fronte una scheda con due liste sbarrate, la lista ‘Polverini’, l’Udeur. Accanto alla prima era scritto a matita il nome della candidata presidente, il che costituisce già un’irregolarità perché Renata Polverini non è inserita nella sua lista ( “è un rafforzativo del voto” dice la presidente, prendo tempo). Ma era sbarrata anche la lista dell’Udeur, con accanto il nome di un candidato non presente nella lista elettorale.
Ricapitolando: due liste sbarrate invece di una, con due nomi non presenti nelle reciproche liste.
Una scheda nulla per il buon senso, ma nulla anche in osservanza del fonogramma ministeriale spedito il 27 marzo per evitare che i nomi dei candidati esclusi del Pdl potessero essere conteggiati come preferenze: “nella pubblicazione n°7 per le elezioni regionali è rappresentato testualmente che la giurisprudenza di prevalente del consiglio di stato è comunque ferma nel ritenere che è nullo il voto che contenga l’espressione di preferenza per un nominativo che non corrisponde a quello di nessuno dei candidati costituendo siffatta erronea indicazione un palese segno di riconoscimento del voto”. Schede analoghe nei due seggi accanto al nostro, sono state annullate senza troppe discussioni.

Leggiamo il fonogramma una , dieci, venti volte. Per la presidente è valida, per me no. Le chiedo di chiamare il Ministero dell’interno. Ma si rifiuta. Chiedo al poliziotto presente nella scuola di entrare ed essere testimone. Il poliziotto chiede alla presidente se debba allontanarmi dal seggio. È in suo potere farlo. Spiego al poliziotto che quella aveva tutta l’aria di essere una intimidazione abbastanza manifesta. Quando lo vedo in estrema difficoltà, chiamo io, in viva voce, il Ministero dell’interno. Spiegato il caso mi dicono che l’ultima parola è della Prefettura. Così chiamo l’ufficio elettorale della Prefettura che ammette l’inammissibilità del voto. La presidente si ostina. Ripetendo che nel seggio, l’ultima parola spetta a lei.

Questa storia finisce così, con un voto convalidato e contestato da un lungo verbale. Ma questa storia, per me, rappresentante di lista di una lista che neppure mi rappresenta, finisce negli occhi dei cinque giovani ventenni scrutatori che non hanno espresso un’opinione su quella scheda, che erano indispettiti con me, perché mi ha detto una di loro: “stasera c’è la finale di Amici, pensavo di tornare a casa presto”, questa storia finisce negli occhi del rappresentante di lista dell’Udc che dopo essere stato zitto per due giorni e per tutto lo scrutinio mi dice “ sai che c’è? Udc? Pdl? io vado con chi mi dà di più, almeno non lavoro per due giorni e guadagno pure”.

Negli occhi di tutti loro ho visto l’ignavia. E io, che trent’anni ancora non ce l’ho, mi sono preoccupata.
Questa storia finisce in una sconfitta. Non solo elettorale. La sconfitta, fuori da ogni demagogia, è non aver insegnato a quelli che ci sono e a quelli che stanno sostituendo quelli che si sono stati, che il voto è espressione prima che di una opinione, di una responsabilità. Ma gli elettori-scrutatori- telespettatori esprimono solo lo spirito del tempo.

Francesca Mannocchi
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2010/mese/03/articolo/2542/
30.03.2010

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