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FONTE: TEMPESTA PERFETTA (BLOG)
Grazie ai benefici acquisiti
con l’introduzione dell’euro, che annullando la normale fluttuazione dei tassi di cambio ha cancellato di colpo l’unico strumento di difesa delle
economie deboli nei confronti di quella forte, la Germania ha di fatto
stravolto gli equilibri politici-economici
fino ad allora esistenti in Europa, diventando l’unico paese egemone in mezzo ad una serie di paesi cuscinetto o colonie. E ben consci di questo ruolo, i
tedeschi non hanno più alcun imbarazzo e pudore a comportarsi come un paese di conquistatori
ed invasori: in attesa di mettere le mani sugli ultimi pezzi pregiati aziendali
e patrimoniali dell’Italia, la Germania si porta via le nostre migliori competenze tecniche disponibili,
formate grazie ai sacrifici delle famiglie italiane e agli investimenti nel nostro
sistema scolastico statale o privato. Noi
seminiamo e i tedeschi raccolgono i frutti. E c’è una ragione precisa che
spinge i tedeschi alla ricerca disperata di nuova manodopera qualificata:
mentre nell’eurozona continua ad aumentare il numero di persone in età da lavoro, in Germania invece diminuisce
progressivamente. Come si può vedere nel grafico sotto, la forza lavoro della Germania fra i 15 e i 64 anni si è ridotta del
2% negli ultimi undici anni, al contrario della media dell’intera zona euro,
dove è aumentata del 7%.

Questo potrebbe anche essere
uno dei motivi che spiega i livelli record di bassa disoccupazione della
Germania, rispetto alla crescita che si registra nell’eurozona, dove gli ultimi
dati confermano la salita del tasso di
disoccupazione fino al 12%. Da notare poi che i tedeschi non cercano
manodopera generica, perché questa può essere reperita a buon mercato tra le
folte schiere degli immigrati che arrivano dall’Est Europa, dalla Turchia o
dall’Africa, ma persone molto istruite e specializzate, che in qualunque paese
rappresentano il serbatoio principale da cui partire per costruire la futura classe imprenditoriale
e dirigente: un paese senza quadri e
competenze è un paese senza futuro. E questo la Germania pare saperlo bene, mentre l’Italia crede ancora che costringere i nostri migliori cervelli alla fuga e tenersi la feccia sia una mossa furba che ci concede onere e lustro in tutto il mondo.
Ripetiamo che mandare i nostri ragazzi in Germania a farsi le ossa e l’esperienza
potrebbe essere un grande vantaggio per noi in un’ottica di lungo periodo
(sperando che un giorno l’Italia riesca ad uscire dai pantani e una parte di
questi ragazzi possa rientrare in patria con un notevole bagaglio di conoscenze
e know how), ma in una fase di crisi
come questa risulta solo l’ultimo affronto che i tedeschi hanno fatto al
presunto spirito di cooperazione e
collaborazione che “dovrebbe”
animare questa strampalata unione monetaria. Invece di aiutare la ripresa delle
aziende italiane, la Germania non solo ostacola tutti i piani di politica economica espansiva che
potrebbero favorire la crescita, ma preferisce addirittura dare il colpo di
grazia agli storici concorrenti privandoli della linfa vitale che assicura l’operosità,
il rinnovamento, la creatività e il ricambio generazionale delle nostre aziende.
Quelli che ancora credono al
sogno europeo, alla chimera degli Stati Uniti d’Europa che fino ad oggi è servita a
confondere e depistare gli allocchi di turno, dovrebbero dare un’occhiata alla lunga lista di svendite di pezzi importanti della nostra industria nazionale che si è ampliata senza sosta in questi
ultimi anni, per capire meglio la portata
della catastrofe economica in cui ci siamo volontariamente impelagati. Nel nome
del liberismo selvaggio e dell’apertura incondizionata ai “mercati”, di indirizzi cioè di politica economica più che mai discutibili e
anacronistici che in misura così sconsiderata e scriteriata hanno contagiato
soltanto i paesi dell’eurozona, mentre il resto del mondo si è guardato bene da
seguire alla lettera i dettami di questa scellerata
dottrina accademica-teologica (i cui dogmi, come abbiamo visto, sono basati
perlopiù da manipolazioni e strumentalizzazioni dei dati reali) e ha adottato misure più o meno protezionistiche
per difendere il proprio tessuto economico nazionale. Curiosa poi la
circostanza che mentre i francesi hanno fatto incetta di tutto ciò che si
poteva razzolare in Italia, dalla grande distribuzione all’energia, i tedeschi
si sono limitati ad acquisire marchi di
prestigio (come per esempio Ducati)
dall’elevato grado di innovazione tecnologica, dalla diffusa riconoscibilità a
livello internazionale e dalla spiccata tendenza a penetrare nei mercati
esteri. Strategia questa che conferma ciò che abbiamo prima detto: la Germania
si propone di diventare l’unico polo industriale sviluppato d’Europa, dedicato
principalmente alle esportazioni, lasciando ai paesi della periferia il compito
di produrre a buon prezzo la componentistica e i beni a basso o nullo contenuto
tecnologico (le viti e i bulloni, per intenderci).
Ma c’è un altro aspetto
inquietante di tutta la vicenda: la svendita
a prezzi di realizzo del patrimonio demaniale dello stato. Mentre in Italia
i progetti del ministro Grilli di svendere e privatizzare circa 15-20 miliardi
di beni pubblici all’anno (comprese le partecipazioni in aziende come Eni,
Enel, Finmeccanica), procedono piuttosto a rilento, in Grecia i programmi vanno avanti rapidamente, a causa delle scadenze
di rimborso delle rate dei piani di salvataggio garantiti dalla trojka FMI,
BCE, UE. In tutto sono in vendita in questo momento circa 70.000 lotti, che
comprendono distese di coste incontaminate, porti turistici, bagni termali,
stazioni sciistiche e intere isole. Persino le quote del monopolio statale sul
gioco d’azzardo sono in vendita al migliore offerente. L’isola di Rodi che per un terzo è ancora di
proprietà dello stato è già per gran parte all’asta e a questa frenetica vendita
ad incanto partecipano un po’ tutti, dall’emiro del Quatar, agli immancabili oligarchi
russi fino ai soliti tedeschi e francesi. Si tratta in pratica di un’espropriazione forzosa di un pezzo di
storia dell’antica e millenaria civiltà greca, che aveva insegnato alle
generazioni successive cosa siano la democrazia, l’etica, i pilastri su cui si regge un buon governo. Parole al vento, stuprate dall’ingordigia del
denaro e dal meccanismo infernale del debito senza fine, che si perpetua nel
tempo senza alcuna soluzione di continuità.
Ma se Rodi è in procinto di
essere colonizzata senza armi dagli invasori stranieri, Corfù è già di fatto un resort
della famiglia di banchieri
internazionali dei Rothschild, che ambisce a mettere le mani anche sullo
storico palazzo reale dell’isola. A proposito di palazzi, la Grecia ha anche
messo in vendita il colossale palazzo del Ministero della Cultura ad Atene, il
quartier generale della polizia, gli edifici che ospitano i ministeri della
salute, dell’istruzione, della giustizia e persino l’ambasciata greca in
Holland Park a Londra, alla modica cifra di 22 milioni di sterline. Una pessima
idea quella di coprire un debito a breve e medio termine con la vendita di beni
immobiliari, su cui successivamente si dovrà pagare un flusso costante di affitti ai privati. Lo stato si priva a prezzi
di svendita di un asset di proprietà,
che a parte la manutenzione periodica non comporta alcun costo, aprendo le
casse a delle spese immediate che molto probabilmente causeranno la nascita di
nuovo debito a breve e medio termine, che con il passare del tempo e l’alienazione
di tutti i beni immobiliari e strumentali, sarà sempre più difficile da
rimborsare. Una pazzia contabile e fiscale bella e buona, che però rappresenta
uno dei principi fondanti di questa
sciagurata e disgraziata eurozona: le privatizzazioni sono infatti un
prerequisito essenziale per ricevere i fondi di salvataggio, senza i quali la
Grecia dovrebbe immediatamente dichiarare default
e uscire dalla zona euro. Un ricatto in pieno stile mafioso, tipico delle
peggiori e più spietate organizzazioni criminali.
Tuttavia, la propaganda mediatica e il terrorismo
psicologico che agisce a pieno regime in Grecia impedisce ai cittadini di
capire che proprio l’uscita dall’euro potrebbe essere l’unica via d’uscita da
questa tragedia nazionale, che ha trasformato un intero paese una volta
democratico in un emporio a cielo aperto. E nonostante tutti sappiano che le privatizzazioni non riusciranno a risolvere
i problemi strutturali della Grecia, si continua ad andare avanti verso il
calvario, con i profittatori e gli speculatori di tutto il mondo pronti a fare
affari sulle spalle di un popolo ormai stremato ed impotente. L’esempio della privatizzazione dell’acqua è lampante: dopo che il governo greco ha privatizzato la
rete idrica, la qualità del servizio è scesa notevolmente ed è aumentato il
prezzo di erogazione. E proprio sull’onda di questo fallimento annunciato, i
sindacati e i lavoratori stanno attuando una strenua ed eroica resistenza per
evitare che venga privatizzata la società ferroviaria pubblica Hellenic
e la principale compagnia statale di produzione e distribuzione di energia
elettrica, la Public Power Corporation. Probabilmente però le loro proteste rimarranno
inascoltate, perché il governo di Samaras si muove ormai sul filo del rasoio e degli
equilibrismi linguistici, puntando su uno stato
permanente di emergenza e di paura.