DI CARLO BERTANI
Mio padre, raccontava spesso una storiella: “la notte, quando la notte è più fonda, rimangono in giro soltanto due specie d’individui: i ladri e quelli che scopano le mogli altrui”. Altri tempi e diversa morale, ma la sostanza non muta.
Nella calda notte romana – appuntamento alle 22 della sera di un 19 luglio, tempo oramai di vacanze – i vertici dei poteri forti si sono dati convegno a Palazzo Chigi. Come carbonari.
C’erano tutti quelli che dovevano decidere: i banchieri ed i loro sodali, apparatcik di governo. Come per un banchetto che si rispetti, erano stati condotti anche agnelli, tacchini e maiali per la cena. Silenti, i tre segretari sindacali sono andati al macello – puramente virtuale, per le loro persone, che troveranno sempre nuove, comode poltrone che li aspettano – mentre per i lavoratori s’aggiungeva un’altra pagina nera, alle tante che oramai scrivono da anni.
Già da giorni gli araldi annunciavano l’evento, tanto sordido e maleodorante da dover essere consumato alle tre di notte. L’ora dei ladri, appunto.
I banchieri sono andati all’assalto della diligenza: e ti pareva, famelici come sono, se si lasciavano scappare anche questo boccone!
Tutti insieme, appassionatamente, nei giorni appena trascorsi avevano messo in atto una delle operazioni di disinformazione meglio congegnate degli ultimi anni.
Si va dal Governatore della Banca d’Italia – Draghi – che tuonava: “non provate a non alzare l’età pensionabile!” Si continuava con Almunia – Commissario Europeo – che afferma “L’Italia ha già fatto tanto, ma può fare di più. Ovviamente, per le pensioni.” Poi arrivò la Corte dei Conti : “l’innalzamento dell’età pensionabile non è eludibile!” e si finì con il banchiere-parlamentare – Dini – che, bello bello, se ne uscì affermando che “lui non voterà l’abolizione dello scalone”. Forse non sa leggere, oppure non ricorda quello che ha firmato nel programma dell’Unione: sarà l’Alzheimer?
Un bel coro di cornacchie, niente da dire, al quale s’univa Emma Bonino, sempre in prima fila quando si tratta di togliere qualcosa ai lavoratori. Oh: mancasse una volta! Ma ha letto, la signora, cos’ha firmato? Da chi prende ordini, da via Nazionale?
Dovevano fare tanto chiasso perché erano stati clamorosamente smentiti, proprio nei loro allarmismi, dall’INPS stessa.
Soltanto pochi giorni or sono – il 12 luglio 2007, notizia ovviamente relegata a margine – il presidente dell’INPS, Giampaolo Sassi, comunicava i conti dell’istituto previdenziale: nei primi cinque mesi del 2007, l’INPS ha incassato 3,8 miliardi di euro in più, mentre ne ha spesi soltanto 2,2 in più rispetto allo scorso anno, con un saldo attivo di 1,6 miliardi di euro. Insomma, l’INPS – lontana dall’essere quel pozzo senza fondo che assorbe le risorse della nazione – fa cassa.
Sassi spiega anche il perché dell’ottima performance: con la Finanziaria 2007, le aliquote contributive dei lavoratori dipendenti sono passate dal 32,7 per cento al 33 per cento, e quelle dei lavoratori parasubordinati dal 18 per cento al 23 per cento.
Insomma, è bastato mettere un po’ mano sulle aliquote – che non sono un prelievo spaventoso: lo sono, forse, per chi è abituato a non pagar niente – ed il problema “pensioni” si sgonfia da solo.
Sassi precisa che i conti sono in ordine perché – altra ricorrente abitudine della politica italiana – non vuole finire con il classico cerino acceso in mano: oh – fa sapere Sassi – noi siamo a posto, non pensate d’inventarvi chissà quali storie…che l’INPS è un’idrovora di risorse, che siamo col sedere a terra o roba del genere…siamo, addirittura, in attivo!
Il mondo politico fa finta di non aver sentito e, a fronte di queste inconfutabili cifre, scatena la bagarre mediatica: dobbiamo salvare le pensioni dei giovani!
Insomma, se non riescono a dimostrare che le pensioni sono una “voragine economica”, provano a mettere le generazioni le une contro le altre. Che brutta gente.
Qui, ci sono un paio di considerazioni da fare.
La prima, riguarda l’immonda gestione del mercato del lavoro promossa dalle legge 30 (o legge Biagi): se i famosi “CO.CO.CO” non versano niente (loro e le aziende con le quali stipulano i ridicoli “contratti” e “progetti”), come potranno ricevere una pensione? In pratica, è quasi lavoro nero legalizzato! Come si può inventare una forma di lavoro dove non è previsto l’accantonamento pensionistico? Non facciamo ridere: i pochi euro che versano, significheranno pochi euro di pensione.
D’altro canto, come si potevano fornire alle imprese dei nuovi schiavi – praticamente, senza diritti – per aumentare i profitti di lor signori? Come mai, se la borghesia imprenditoriale è così “sfiancata” dalle tasse, da anni le vendite dei SUV e delle auto da 50.000 e più euro non fanno che aumentare? Sono proprio così poveri?
La seconda questione riguarda la famosa previsione, catastrofica, degli anni a venire: la “gobba” pensionistica…l’evolversi della situazione…l’invecchiamento della popolazione…di qui al 2050, al 2070…
Se ci fosse qualcuno in grado di raccontarmi con precisione quale sarà lo scenario economico fra mezzo secolo, quanti saranno gli occupati e i pensionati, a quanto ammonterà il PIL e tutte le scemenze che si sono inventate, gli affiderei i pochi soldi che ancora ho in banca, sicuro come l’oro. Se sanno cosa accadrà fra mezzo secolo…sapranno anche come investirli!
La realtà è, invece, che fanno previsioni a 12 o 24 mesi e non “beccano” nemmeno quelle! Prevedono un tasso di sviluppo del 2,5%, poi lo correggono al 2,3 per scendere all’1,9 a fine anno. In un solo anno! E vogliono raccontarci che sono in grado di sapere, oggi, cosa capiterà nel 2050?!? Si rivolgano a Nostradamus.
Come si può prevedere la composizione sociale dell’Italia fra mezzo secolo? Come possiamo, oggi, sapere quali saranno i flussi migratori? Fra mezzo secolo, avremo al lavoro la seconda e la terza generazione degli immigrati: quanti saranno? Che cosa faranno? Quali saranno le esigenze del lavoro e della produzione fra 50 anni? Sarebbe mai stato possibile, per il primo automobilista che percorse l’Autostrada del Sole, ipotizzare che sarebbero praticamente spariti gli esattori ai caselli? E la stessa auto sulla quale viaggiava, poteva mai credere che sarebbe stata costruita, in gran parte, da dei robot?
Siamo seri.
Non sapendo dove attaccarsi per togliere sempre qualcosa a chi lavora, s’inventano la storia delle pensioni dei futuri giovani: come se, a loro, importasse qualcosa dei giovani del 2050! Non gliene importa niente di quelli di oggi (salvo quando devono andare a votare), e dovremmo credere che combinano tutto questo can can per quelli del prossimo secolo?
La realtà è un’altra, ossia che lo stato sociale italiano viene pagato quasi completamente dai contributi dell’INPS: la cassa pensionistica, non rappresenta gli accantonamenti degli italiani per la futura pensione, ma una massa di denaro alla quale attingere per rimediare alle pessime gestioni industriali.
Qualche esempio?
Il TFR, quando l’azienda fallisce, viene quasi sempre – dopo accordi sindacali – versato ai lavoratori dall’INPS. Qui non si tratta di bollare quei lavoratori come “sanguisughe” degli enti previdenziali – come qualche “furbacchione” tenta di fare – perché, se sono stati fregati dai loro datori di lavoro, non devono rimanere con il sedere a terra. Vediamo come si regge la truffa.
Il TFR nacque dalla Costituzione stessa, nel 1947, quando si previde uno strumento mediante il quale i lavoratori potevano partecipare agli utili dell’impresa: ecco l’articolo:
Art. 46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Il dettato costituzionale prese forma nella capitalizzazione di una quota del salario da parte dell’azienda: io ti consegno un tanto il mese, tu lo gestisci e lo fai fruttare, e quando finirò di lavorare mi renderai i frutti.
Meditiamo con attenzione il concetto espresso dai Costituenti: nel libero mercato, il lavoratore partecipa agli utili dell’azienda affidando una parte del suo salario, che gli verrà resa al termine dell’attività lavorativa. In pratica, diventa quasi una partecipazione azionaria all’impresa.
Tutte le leggi che prevedono la trasformazione di quei denari in qualcos’altro – fondi pensione e quant’altro – cozzano violentemente con quel principio costituzionale. Non sono anti-costituzionali – sia chiaro, perché la Costituzione non specifica i termini della partecipazione – ma, semplicemente, la eludono.
Per molti anni, il sistema del TFR ha funzionato, sia per le aziende e sia per i lavoratori: purtroppo, con la deindustrializzazione in atto, è stato fin troppo facile, per i soli “furbi” – “falliti” con tanto di dobloni in Svizzera – fare “marameo” ai lavoratori per il TFR. Sono fallito e mi sono giocato anche i tuoi soldi: che vuoi da me?
Le pene per chi fallisce violando la legge (false fatturazioni, bilanci “evanescenti”, ecc), tanto, sappiamo che non sono mai state erogate: basta un buon avvocato (magari pagato con i soldi dei TFR!).
A quel punto, per avere quei soldi ai quali hanno diritto dopo una vita di lavoro, ai lavoratori non rimane che la protesta: vorrei vedere chi non protesterebbe dopo essere stato scippato di 50.000 euro!
La soluzione? Andare ad indagare i termini dei “fallimenti”?
No, troppo scomodo coinvolgere lor signori: paga l’INPS, cioè noi tutti.
Lo stesso meccanismo, viene utilizzato per la cassa integrazione: l’azienda aveva un piano industriale da schifo? Non voleva in nessun modo discuterlo, e alla fine è andata a carte quarantotto? Le banche hanno smesso di fornire credito, perché le aree dell’azienda erano appetite da qualche boss immobiliare?
Pazienza: si paga una miseria ai lavoratori e si chiude un occhio. Chi lo paga? L’INPS. E lo crediamo bene che, dopo tanti salassi, non ci siano più i soldi per le pensioni!
Il convitato di pietra di tutto l’andazzo ha un nome, che nessuno – nell’attuale “maratona” sulle pensioni – si è guardato dal nominare: si chiama “Separazione della previdenza dall’assistenza”. Tutti i politici nostrani sanno benissimo che quello è il nodo del problema – a volte lo hanno ammesso – ma, quando si devono riformare le pensioni, improvvisamente lo scordano. Poca memoria, eh…
Chiunque può comprendere bene il fenomeno, se lo paragona al proprio bilancio familiare.
Se, per ipotesi, accantono ogni mese 100 euro per destinarli ad una futura pensione, e non li tocco mai, dopo tot anni troverò tot soldi per la mia pensione. Se, invece, quando si rompe l’auto oppure un termosifone vado a prelevare quei soldi per pagare il meccanico e l’idraulico, ne troverò di meno. Qual è la soluzione adottata dai politici italiani? Quella di prevedere due distinti fondi per le diverse esigenze?
No, pagano tutto con la stessa cassa e poi, semplicemente, concludono: invece di versare 100 euro ne verserai 110, oppure andrai in pensione un anno dopo.
Ora, qui non si discute sul singolo anno in più od in meno per accedere alla pensione, ma l’evidenza dei fatti dimostra che dal 1995 siamo sempre preda dell’ennesima “riforma”, che si deve fare o che si farà, che si sta pensando oppure accantonando. Perché?
Poiché, tornando al nostro esempio, se si presentano spese impreviste – c’è da rifare il tetto, ad esempio – si pagano con quei soldi e, dopo, bisogna accantonare di più oppure rimandare l’età della pensione.
Continuando in questo modo, la cosa non avrà mai fine!
Ci saranno sempre nuove spese impreviste – poiché in Italia non esiste una gestione del welfare – e, di conseguenza, sempre nuove “riforme” delle pensioni. Fino a quando ci manderanno in pensione a 70 anni!
Hanno studiato, come ricordavamo, la “previdenza complementare”, ossia il modo di mettere le mani sul TFR – nato come partecipazione dei lavoratori ai proventi dell’impresa, e quindi una forma di re-distribuzione dei profitti – ma ancora non basta.
Altro capitolo: i lavoratori immigrati. Quelli che lavorano in regola, pagano (loro e le imprese) i contributi previdenziali: siamo certi che, quando verrà l’ora d’andare in pensione, la riceveranno?
Ci sono molti “se” e “ma” riguardo agli immigrati: quelli che, poniamo il caso, torneranno nei loro paesi d’origine, potranno ricostruire un solo percorso previdenziale?
Esempi del genere non mancano, anche per i lavoratori italiani. Perché, una cassa come l’ENASARCO, non è cumulabile con gli altri periodi di lavoro? Se hai fatto l’agente di commercio per qualche anno – e non hai versato i contributi volontari INPS – non puoi riscattare quel periodo di lavoro e, i contributi versati a suo tempo dalle aziende, chi se li prende? La cassa ENASARCO che, in cambio, non ti dà niente, perché “manca la legge” per collegarli. Quando si dovrebbe riconoscere un diritto, guarda a caso, manca la legge.
Le legge più bieca alla quale devono però sottostare gli italiani è quella del lavoro nero: chi non ha mai lavorato in nero alzi la mano, e sono certo che non sarebbero tante. Come potranno mai, gli italiani, raggiungere i fatidici 37 anni di contributi, quando sono stati obbligati – sì, obbligati da un potere politico connivente – a lavorare per anni in nero?
Insomma, vogliamo adottare regole tedesche in uno stato che, in Europa, non ha paragoni per l’evanescenza del suo dettato legislativo, per la connivenza fra Stato e potere finanziario, palese od occulto.
Insomma, tutto l’andazzo mostra un solo progetto: quello di ricavare più soldi che possono dagli accantonamenti pensionistici, per non dover riconoscere che l’Italia ha uno stato sociale da terzo mondo, e continuare a finanziarlo con quei soldi. Rigore tedesco e mercato marocchino (con tante scuse ai marocchini).
Quando si parla di pensioni, l’Europa viene additata come esempio: là si va in pensione a 65 anni!
Il che, è vero solo in parte.
Non so quanti sono a conoscenza che, in Francia – per citare un solo esempio – gli autotrasportatori vanno in pensione dopo 25 anni di lavoro. Sì, avete letto bene: 25 anni. Tu guida il camion per 25 anni e per noi hai dato abbastanza: e lo crediamo bene!
Da noi, invece, si pensa d’affidare quei bestioni da 44 tonnellate nelle mani dei sessantenni, perché anche la formulazione delle mansioni usuranti è ambigua (sette degli ultimi dieci anni trascorsi nel settore, ecc): poi, quando – per un malore o per stanchezza – ammazzano loro stessi ed una colonna d’automobilisti, è stata una “fatalità”. Facciamo tante belle Messe ed applaudiamo all’uscita delle bare.
Non è, però, l’età della pensione la sola cosa importante, ma come si ha vissuto prima, quanto lavoravi: visto che l’Europa è citata come esempio, perché non ci danno i 1.000 euro il mese dell’assegno di disoccupazione tedesco? Perché non ci danno le loro case popolari? Perché non ci fanno lavorare, mediamente, il 20% in meno (come monte ore annuo) come in Francia ed in Germania? Sanno, lor signori, che in Francia un lavoratore può farsi visitare da un medico, privatamente, e ricevere un rimborso dallo Stato che supera l’80% della parcella?
E’ vero che, anche là, i banchieri vorrebbero togliere quei diritti ma, per ora, nessuno c’è riuscito. In Italia, invece, con i sedicenti partiti comunisti al governo, avviene il miracolo.
A questo punto, rimane un’ultima bugia da sconfessare: non ci sono le risorse.
Anche qui, citiamo qualche dato. Ogni anno che passa – da molti anni – la produttività aumenta a fronte della diminuzione della manodopera.
Un trend abbastanza consolidato è la diminuzione dell’1% l’anno del personale delle grandi aziende, a fronte di un simile incremento di produttività.
Ciò significa che, se oggi produco 100 beni con 100 occupati, il prossimo anno produrrò 101 con 99: fra vent’anni, produrrò 120 con 80 lavoratori.
Ora, su quegli 80 lavoratori, peserà per intero il gravame dell’accantonamento pensionistico (e dello stato sociale!): è ovvio che quei poveracci dovranno sgobbare come matti fino al giorno prima del loro funerale!
Ricordiamo, ai signori che hanno sempre l’Europa sulla bocca quando si tratta di togliere qualcosa, che, nell’Europa che “conta” (dove vorrebbe stare l’Italia), non c’è paese che non separi la previdenza dall’assistenza.
Come se non bastasse ancora, dalle stesse casse dell’INPS vengono prelevate le liquidazioni milionarie (in euro) del boiardi di stato, quelli che riducono l’Alitalia ad un rottame e poi pretendono mucchi di quattrini per aver combinato lo sconquasso.
Alcune “leve” di lavoratori si troveranno, fra qualche anno, nella perfida “corsa” fra l’età della pensione che aumenta ogni anno, così non avranno i requisiti fino a chissà quando: nemmeno una parola, invece, sulle loro pensioni, che scattano dopo 35 mesi. Mesi, non anni.
Per salvare il loro mondo dorato di privilegiati, non hanno esitato ad affondare la lama nelle vite degli italiani, sempre più poveri e sempre più sconfortati.
Il ministro Damiano rassicura: “anche con la correzione dei coefficienti, i giovani non avranno pensioni inferiori al 60% dell’ultimo stipendio”. Sa, Damiano, quanto guadagnano gli italiani? Diciamo fra i 1000 ed i 1500 euro il mese? Avremo così pensioni “sicure e solide”: dopo una vita di lavoro, potremo attendere di crepare con un bel reddito, dai 600 ai 900 euro il mese. Poco di più delle minime. E poi: se ne parlerà nel 2020…se la sbrigheranno degli altri…
Lui può parlare in quel modo perché non lo sa, o se lo sa l’ha dimenticato: lui, guadagna “soltanto” 20.000 euro il mese.
Gli ultimi sconfitti di questa sordida vicenda sono il caporal maggiore Giordano ed il sergente Diliberto – che non vengono nemmeno invitati agli incontri! – così dopo potranno affermare d’essere “delusi”. E noi di loro.
Schifati al punto di dover dare ragione a Maroni, quando afferma che “la nuova riforma è ancor più punitiva della sua”, ed ha ragione. La nuova riforma concede qualche vantaggio nel breve periodo – fino al 2010 – ma dopo il 2010 diventa una vera mannaia: chi “rincorse” la prima riforma Dini, anno dopo anno, senza riuscire mai a centrare una “finestra”, ancora lo ricorda.
Come uscirne?
Ora si sono inventati la nuova “bufala” della riforma dei “costi della politica”, che dovrebbe ridurre i parlamentari a 400. Qualcuno ci crede? Oppure eliminare consiglieri comunali? L’ANCI, al riguardo, ha già chiesto un “incontro urgente”. Eh, mica sono fessi: delle nostre pensioni non gliene frega un picchio, ma delle loro poltrone sì!
L’unica soluzione è privarli totalmente del consenso, destra e sinistra, non dare più loro voti e non ascoltare più i loro bugiardi sproloqui televisivi.
Finché non ci sarà una classe politica che partirà da altri presupposti – ossia dalla ricchezza effettivamente prodotta da noi, dalle persone che lavorano, e non vuota carta conteggiata dai banchieri – non ci saranno soluzioni. I giovani, se possono, almeno una soluzione l’hanno: andarsene da questo rottame di paese, che non dà loro niente e che ora lo toglie anche ai loro padri.
Potranno tornare nel Bel Paese per le vacanze, a patto che l’albergo prenotato esista poi per davvero. Ah, fate anche attenzione che non vi freghino l’autoradio.
Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
21.07.07