DENTRO LA GUERRA DEL PENTAGONO CONTRO LA RUSSIA

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DI MARK PERRY

politico.eu

Per gli abitanti dei villaggi che scattavano fotografie ai bordi delle strade nella Repubblica Ceca lo scorso Settembre l’apparizione di una colonna di ‘’Stryker’’, veicoli corazzati da guerra Statunitensi, sarà sembrata più una parata che non una operazione militare su vasta scala. Il movimento di oltre 500 soldati del secondo reggimento cavalleria da Vilsack in Baviera a una base militare Ungherese era inteso per rafforzare i legami tra gli USA e le forze militari Ceche, Slovacche ed Ungheresi e mandare un segnale alla Russia di Putin.

Soprannominato “il passaggio del dragone” il tour ha tracciato una rotta non rettilinea di 846 km inclusiva di sganci di rifornimenti aerei e simulazioni di conquista di ponti intese a mostrare agli alleati est Europei degli Americani che l’esercito USA è in grado di rispondere rapidamente a qualunque minaccia. “Stiamo dimostrando libertà di manovra operativa in tutta l’Europa dell’est”, ha dichiarato il colonnello John V.Mayor III ad un reporter del sito web dell’esercito, “e questo sta sortendo l’effetto di consolidare l’allenza, rassicurare gli alleati, e di agire da deterrente per la Russia”.

Ma non sono tutti quanti convinti: “Questa parata degli Stryker non frega proprio nessuno a Mosca”, ha detto il colonnello in pensione dell’esercito Americano Douglas McGregor: “I Russi non sanno fare molte cose bene ma di sicuro hanno sovvertito, destabilizzato, invaso e conquistato i loro vicini dai tempi di Pietro il grande. E tutto ciò che sappiamo mostrargli in risposta è una piccola colonna di unità corazzate leggere?”.

Vladimir Putin ha ottenuto molto più che le semplici prime pagine dei giornali con le sue mosse aggressive in Ucraina o Siria, insieme a dimostrazioni di forza sui mari e nei cieli. Il leader Russo ha anche dato avvio ad un ampio dibattito interno al Pentagono quanto a quale potrebbe essere la giusta reazione al nuovo, non troppo amichevole, profilo del Cremlino, nonchè sul futuro dell’esercito USA in generale. Questo dibattito si è ormai esteso al Parlamento: questa settimana il Comitato per le forze armate del Senato affronterà ufficialmente la questione.

Ironicamente, questa guerra di idee a Washington ha messo contro due capaci ufficiali USA che hanno combattuto affianco in una delle più famose battaglie dell’epoca contemporanea.

Da un lato McGregor, controverso sostenitore della riforma delle forze armate, senza peli sulla lingua, che descrive gli armamenti in dotazione come “obsoleti”, i suoi superiori come “interessati solo a sè stessi” e la politica di spesa come “sprecona”. Considerato da molti suoi colleghi come uno degli ufficiali più innovativi della sua generazione, che è un laureato a West Point con un dottorato in relazioni internazionali (di lui un suo collega di studi dice: “può avere modi veramente bruschi, ma è decisamente brillante”), ha guidato il secondo squadrone di cavalleria “Cougar” nella più grande battaglia della operazione Desert Storm nel Febbraio 1991. In 23 minuti le forze di McGregor distrussero una intera brigata corazzata Iraqena (composta di circa 70 veicoli corazzati) a fronte di una sola perdita tra i soldati USA. Parlando a una conferenza di militari un anno fa, il Generale Jack Welsh descrisse la battaglia del 73 est (chiamata con il nome di una coordinata nelle mappe) come una “incredibile, schiacciante vittoria”.

Dopo la battaglia, però, McGregor si rese subito conto che se la sua unità avesse combattuto contro un nemico meglio armato e addestrato, come i Russi, l’esito sarebbe stato diverso. Quindi, quattro anni dopo pubblica un libro intitolato “Spezzare la falange” raccomandando che le sue unità “dovrebbero ristrutturarsi in gruppi armati modulari, ad alta mobilità, autosufficienti e composti”. Il consiglio ricevette l’approvazione dell’allora capo delle forze armate Dennis Reimer, che ordinò una copia del libro di McGregor fosse regalata a ciascun generale.

Ma McGregor sta ancora combattendo la sua battaglia. Nei primi di Settembre ha diffuso una presentazione di Powerpoint che dimostra come immaginando uno scontro diretto tra una divisione corazzata USA ed un ipotetico equivalente Russo la divisione USA finirebbe sconfitta. “Sconfitta non è esatto”, mi ha detto McGregor una settimana fa, “la parola giusta è piuttosto annichilita”. La presentazione di 21 slides presenta quattro scenari di battaglia, tutti ipotizzanti uno scontro contro i Russi nei paesi baltici, ovvero in quello che un pianificatore bellico del comando militare unificato chiama: “lo scenario di guerra più probabile che ci si presenta, Medio Oriente a parte”.

In due degli scenari, nei quali gli USA dispiegano le formazioni base correnti, definite i gruppi di combattimento di brigata (BCT) gli USA risultano sconfitti. Nei restanti due scenari, dove McGregor dispiega quelli che definisce “gruppi di ricognizione e attacco”, gli USA prevalgono. E questo è il punto centrale dell’argomento di McGregor: l’esercito USA di oggi è composto da BCT anzichè gruppi di ricognizione (RSG), ovvero l’innovazione di McGregor. La RSG di McGregor si oppone alla “struttura di comando verticistica dell’esercito” che punta sempre a mettere insieme unità con la massima intensità di potere di fuoco: “ogni volta che dispieghiamo una divisione questo significa un comando con almeno mille tra soldati e ufficiali” spiega McGregor, “è un grosso spreco; questa gente sarebbe morta nel giro di 72 ore”. La RSG di McGregor, ciò che lui definisce “un progetto di forze alternative” si sbarazza del comando centralizzato che a sua volta risponde a un comando congiunto, che potrebbe essere esercito o altre forze armate. Una RSG, sostiene McGregor non richiede le lunghe catene logistiche di rifornimenti richieste dalle brigate di combattimento, può sostenersi con ciò che trasporta fino a 10 giorni-2 settimane senza bisogno di rifornimenti.

Le vedute di McGregor sono in contrasto con quelle del Luogotenente Generale H.R. McMaster, un ufficiale con la reputazione di uno dei migliori pensatori dell’esercito. McMaster ha combattuto sotto McGregor a 73 est dove comandava la truppa Eagle nello squadrone Cougar di McGregor. McMaster però ha avuto più successo nell’esercito dello stesso McGregor, è un autore rinomato (Il derelitto dovere, un classico di Storia militare) e ha ricevuto meriti per aver seminato il “risveglio Anbar” nel corso della guerra d’Iraq. Nonostante ciò McMaster è stato per due volte scavalcato da altri per la nomina a posti di alto comando finchè David Petraeus, ritrovandosi a capo della commissione sulle promozioni, insistette che il suo successo meritava riconoscimento. McMaster oggi è Luogotenente Generale e comanda il centro di integrazione delle capacità operative dell’esercito (ARCINC), un istituto di spicco il cui mandato è “progettare l’esercito del futuro”. David Barno, un Luogotenente Generale in ritiro che comandò le truppe USA in Afghanistan descrive McMaster come un ufficiale che ha “ripetutamente combattuto il sistema e nonostante questo è sopravvissuto ed ha raggiunto i massimi gradi”.

Per molti McMaster è un personaggio controverso quanto McGregor e riceve giudizi che spaziano dalla condanna alla venerazione: “H.R. è un eccellente ufficiale ed un grande amico” un ufficiale esperto dice, “Ma non raggiungi le 3 stelle da outsider, come non ti assegnano a dirigere ARCINC se critichi il sistema”. Il Brigadiere Generale in pensione Kimmitt non crede invece a chi sostiene che abbia scambiato i suoi ideali per una promozione (“clichè senza senso”, definisce tali critiche) e descrive McMaster come un “gigante in una terra di nani. E’ l’unico vero intellettuale che spicca nella cultura corporativistica dell’esercito. E’ più intelligente di praticamente chiunque altro là dentro”.

In effetti, il dibattito tra McGregor e McMaster è uno scontro intorno alla questione se la struttura attuale dell’esercito sia capace o meno di affrontare quello che gli strateghi dell’esercito definiscono un “avversario commensurabile”, come la Russia. E per quanto possa sembrare agli esterni un dibattito su minuzie tecniche la disputa si concentra fondamentalmente sulla questione se gli USA saranno o meno in grado di prevalere in un futuro conflitto. Anche dentro il Pentagono ci sono parecchi dubbi nel merito. Un recente articolo della scrittrice di argomenti bellici Julia Ioffe ha riferito dei “demoralizzanti” risultati di un “duro esercizio” del Pentagono, una simluazione di uno scontro tra una squadra rossa (Russia) e una squadra blu (NATO). Il principale degli esercizi simulava una invasione Russa dei paesi Baltici, lo stesso scenario proposto da McGregor. “Dopo otto ore provando gli sviluppi di vari scenari” sostiene Ioffe, uno degli ufficiali che giocavano con la squadra blu sostenne che la NATO “sarebbe destinata a perdere”.

L’esercito sta prendendo la sfida di McGregor sul serio, in parte perchè il colonnello in pensione ha suscitato interesse nelle sue idee di riforma da parte di uno dei più importanti personaggi nella comunità della Difesa, ossia il capo dello Staff di servizio delle forze armate presso il Senato John McCain. McCain sostenne pubblicamente di essere stato impressionato dopo che McGregor e l’ammiraglio Mark Fitzgerald gli spiegarono il nuovo progetto di strutturazione delle forze armate lo scorso 17 Gennaio, e ordinò che McGregor dovesse presentare un briefing del suo piano ad altri Senatori. Dopo, in Settembre, dopo che le simulazioni di McGregor furono completate, svolse conferenze per i membri dello staff per le forze armate al Senato, sempre sostenendo che rimpiazzare la struttura BCT con la RSG renderebbe le formazioni militari più letali ed eliminerebbe gli sprechi di budget dati dal sistema attuale, con potenziali risparmi nell’ordine di decine di miliardi di dollari.

“McGregor fa tremare tutti nell’esercito”, ci dice uno stretega esperto dell’esercito: “ciò che propone non è niente di meno che smantellare l’intera grande macchina verde, conducendo le forze armate ad abbracciare un futuro con un esercito più leggero e agile al posto dell’ingombrante pachiderma che richiede tempi lunghi per essere preparato e dispiegato sul campo. Sono sicuro che in molti nell’esercito e nell’aviazione saranno furiosi. Altro che riforma: qui McGregor è entrato nella gabbia dello zoo per prendere a sberle il gorilla”.

Infatti una delle maggiori difficoltà nella carriera militare di McGregor è di aver preso a schiaffi un pò troppi gorilla sulla sua strada. E’ molto noto per la sua abilità di alienarsi i favori di altri ufficiali, non solo perchè ha sostenuto che non fanno altro che assentire ai loro diretti superiori invece di pensare attivamente a come si vincono le guerre.

Nel Gennaio del 2001 il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld insistette affinchè il comandante del comando generale USA in Iraq Tommy Franks e il suoi intero team di strateghi si incontrasse con McGregor che sostenne che l’esercito dovesse ridurre di scala la dimensione delle divisioni impiegate, arrivando a Baghdad per mezzo di un rapido blitz utilizzando solo 50.000 truppe. Franks e gli altri ufficiali esperti rifiutarono il suo consiglio e si risentirono del suo intervento (un ufficiale lasciò la sala in disgusto mentre McGregor parlava) e dopo la fine della guerra gli fu affianco mentre era assegnato a tutta una serie di lavori di contorno senza molto significato pratico. Dopo esser stato ignorato per una promozione, McGregor si ritirò nel 2004. Nonostante ciò mantiene la sua influenza nei circoli dell’esercito dove le sue idee si discutono e hanno un certo, non rumoroso stuolo di sostenitori. “Doug McGregor è un rompicoglioni” nota il Brigadiere Generale in pensione Mark Kimmitt, “ma non per questo sbaglia. La gente seria non può che prenderlo sul serio”.

Nella sua campagna di riforma McGregor ha reclutato un buon numero di alti ufficiali in pensione alla causa di ciò che si conosce come il “Modello di trasformazione McGregor”. McGregor e sostenitori al Parlamento in sedute molto partecipate nel Novembre 2013 e l’anno successivo. Nei verbali del suo testo paragonava l’esercito ad una canoa da nove vogatori, dove “quattro sterzano, tre dirigono il ritmo e soltanto due remano per davvero”.

Chi ha ragione nel gran dibattito? McGregor pare riluttante a fornire informazioni dettagliate sui modi in cui progetta le sue simulazioni belliche, ma ha acconsentito a parlarmi di come fu creato il suo sistema di simulazione chiave, confermando che ci lavorò un team di ufficiali provenienti da ogni servizio che passarono mesi a progettare la simulazione e a riaggiustare i dati. “La progettazione dell’RSG è durata 8 anni”, mi ha confidato un ufficiale di alto grado in pensione, “ma la simulazione in sè, che è basata su modelli matematici complessi che usa l’esercito è iniziata a Giugno e ha richiesto 7 settimane. Fare quadrare i dati è stato un lavoraccio. Dovevamo realizzare qualcosa di empirico, dimostrabile e convincente”.

Alcuni scettici suggeriscono che il dibattito McGregor-McMaster riguardi meno la strutturazione dell’esercito quanto piuttosto il suo budget, il quale è stato di recente ridotto e sul quale lo scontro è particolarmente acceso. “I Russi hanno fatto progressi militari, ma a mio parere il loro esercito esagera le sue capacità. Alla fine non riescono nemmeno a far presentare tutti i militari che chiamano in servizio” sostiene David Mujandar, analista della Difesa ed esperto delle capacità belliche Russe al Centro per l’interesse nazionale (Center for national Interest). “Il punto è che ingigantire la minaccia Russa è un ottimo argomento per ingigantire il budget militare. Non si tratta di combattere i Russi ma piuttosto il Congresso, il punto è sfuggire ai tagli automatici di bilancio”.

Il colonnello in pensione David Johnson, consulente fisso dell’esercito della Rand corporation contesta quanto detto e sostiene che il dibattito sulle capacità dell’esercito riguarda le armi prima che ogni altra cosa: “potremmo o non potremmo combattere contro i Russi” ma “con ogni certezza ci troveremo a combattere contro le armi Russe”. Il giorno che ho discusso con lui a proposito del dibattito McGregor-McMaster, a metà Settembre, Johnson era appena tornato da un briefing per McMaster e il suo team sull’argomento, concludendo che gli USA hanno “vari punti problematici nelle loro capacità” che “mettono le nostre forze armate e le strategie future ad alto rischio”. Per Johnson “combattere contro le loro armi” non significa solo affrontare formazioni avversarie ma anche difese aeree sofisticate, missili balistici e le forze speciali, tutte cose in cui i Russi sono molto bravi. “E’ un nuovo campo di battaglia” conclude, “in cui tutto ciò che vola sotto i 25.000 piedi non può sopravvivere”.

Per McMaster la questione non è semplicemente se gli USA (ed il loro esercito) possano combattere e vincere (lui ritiene di si), ma piuttosto se una volta vinto siano in grado di amministrare la vittoria; nelle parole di Colin Powell: “possedere i cocci dopo esser andati a rompere il vaso”. McGregor sostiene che i suoi RSG sono unità autosufficienti, in grado di combattere e vincere per una o due settimane senza rifornimenti. McMaster rifiuta di crederci pensando che non bastano forze di intervento rapide, non basta dispiegare, combattere e vincere, ma che sia cruciale la gestione dell’ambiente post-conflitto ed essere sempre pronti “per ogni contingenza”. Questo a sua volta, chiama per un maggior numero di truppe. La risposta di McGregor? Se ci concentrassimo su combattere e vincere anzichè sul formare altre nazioni non servirebbero 630.000 soldati.

Questo è esattamente il problema persistente degli USA in Afghanistan ed Iraq, dove le forze erano sempre insufficienti per garantire tutte le operazioni. Più semplicemente l’esercito USA ha dimostrato di poter sconfiggere il molto più numeroso esercito di Saddam Hussein con soltanto 148.000 soldati Americani sul campo, ma la gestione dello Stato dopo la sconfitta di Saddam ha messo alla prova le risorse degli Americani. Non c’erano mai uomini abbastanza per i dispiegamenti richiesti e questo è risultato nell’accontentarsi di un controllo parziale del territorio.

Un esercito non sostenibile trascura il reclutamento, perde in prontezza, mette a repentaglio la fedeltà degli ufficiali e incoraggia la diserzione. In altri termini, sostiene McMaster, un esercito di 420.000 (il numero che i tagli all’esercito consentirebbero) è sufficiente per combattere e vincere una guerra, ma, come nel caso di Afghanistan ed Iraq, non sufficiente a mantenere la pace.

“La gente pensa che l’esercito sia solo una forza di combattimento, ma in Afghanistan ed Iraq abbiamo visto che una volta conquistati gli spazi occorre anche gestirli” sostiene McMaster “vorrei essere chiaro: occorre operare nei limiti del budget, l’esercito ha sempre operato con ciò che il Congresso ritiene opportuno, ma la popolazione Americana deve comprendere che ci viene chiesto di dare forma agli esiti politici, e per questo occorrono risorse. Non basta mettere insieme unità di combattimento efficaci, queste unità hanno bisogno di supplementi e hanno bisogno dell’addestramento giusto per garantire la governabilità. La Corea è un buon esempio da questo punto di vista. So che parliamo di 60 anni fa ma resta pur sempre un buon modello. Abbiamo protetto la Corea del Sud e abbiamo dovuto rimanerci per fornire la stabilità di cui i Coreani avevano bisogno per costruire la loro società. Ha funzionato, abbiamo fatto le cose per bene, adesso sono uno dei più grandi successi economici mondiali. E per ottenere questo risultato non è bastato cacciare indietro i Nord Coreani”.

McGregor risponde dicendo che la vittoria finale non è questione di dimensioni dell’esercito in campo: “il problema dell’esercito USA è più ampio del problema dei numeri” sostiene, “non è organizzato, equipaggiato e addestrato per grandi battaglie convenzionali e integrate contro un nemico numericamente, e almeno in certi aspetti, qualitativamente superiore sul terreno di scelta dell’avversario. Nella simulazione è la Russia. Ma potrebbe benissimo essere la Cina. Anche aumentando la dimensione dell’esercito di 600.000 elementi nella forma attuale fallirebbe comunque. Questo è il problema è l’esercito ne è consapevole”.

McMaster non è d’accordo: “abbiamo costruito un esercito che sa combattere e sa vincere” sostiene, “Ed è gia dimostrato. Possiamo migliorare? Certo che possiamo migliorare. E lavoriamo senza sosta per migliorare ogni giorno. Ma il nostro esercito ha sempre avuto successo nel proteggere il nostro paese, deterrendo le aggressioni. Ma per avere una deterrenza efficace serve avere sempre pronta l’opzione di usare la forza bruta. E l’esercito è questo, la nostra forza bruta, ed è una ottima forza bruta”.

R.Jordan Prescott, un analista militare che ha seguito il dibattito sull’esercito negli ultimi 10 anni ammette che i cambiamenti che McGregor e sostenitore sarebbero difficili da introdurre. Ma sottolinea che due fattori potrebbero cambiare l’equazione: “l’amministrazione dell’esercito sta affrontando serie limitazioni al budget e la situazione non cambierà”, sostiene, “il che significa che l’esercito dovrà fare di più con meno mezzi. Ma perchè non fare entrambe le cose? Perchè non spendere meno e nonostante questo rafforzarsi? La cosa importante è che ormai l’intera Washington è coinvolta in questo dibattito. Ci sono almeno 12 tra commissioni e gruppi di studio che si stanno concentrando su questo”.

Il che vale a dire che questo dibattito bollente sul futuro dell’esercito non sarà lasciato scegliere ai Generali. Speriamo che non sia lasciato scegliere nemmeno a Vladimir Putin.

Mark Perry

Fonte: www.politico.eu

Link: http://www.politico.eu/article/inside-the-pentagons-fight-over-russia-us-eastern-europe/

4.11.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

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