DENTRO E FUORI LE GROTTE E RITORNO

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DI HS
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Noi eravamo gli uomini delle grotte forti solo della nostra pelle irsuta e della nostra natura semplice e mansueta. In quelle fosche ed anguste caverne vivevamo al massimo della semplicità e della frugalità : nostro unico nutrimento e respiro quelle curiose ombre che il giorno ci proiettava quotidianamente. Non chiedevamo e non potevamo chiedere altro…

Cari uomini civilizzati e profumati, non prendeteci troppo per stupidi ed ignoranti perché noi eravamo estremamente consapevoli che le macchie che si stagliavano sulla nostra piccola vita non erano altro che illusioni, pura realtà fittizia. Eravamo come posseduti da quel sacro terrore che incollava le nostre gambe e le nostre mani là sotto, obnubilando parte delle nostre coscienze, finchè…

Finchè la sete non ebbe il sopravvento e alcuni fra noi – i più giovani e i folli – pensarono seriamente di poter risalire le grotte ed esplorare quel mondo che tanto ci atterriva. I più anziani si chiedevano ossessivamente se per caso quel sole che era così generoso a donarci le sue ombre non si sarebbe vendicato della nostra sfrontatezza incenerendoci o seccando la nostra pelle.
Per quanto si possa fare spreco di parole e sentenze anche la lingua più dotata è destinata a infrangersi al contatto di un muro e gli eventi corrono sfrecciando come i vagoni di un treno inarrestabile, veloce e inesorabile come il destino.
Quel treno avrebbe sostato alla nostra stazione molto presto cangiando i colori della nostra piccola vita nelle forme più impreviste…

Non ricordo il nome di quel giovane ancora di primo pelo che in assoluta innocenza ed ingenuità balzò fuori dall’antro per sondare il mondo confinante, ma rammento la sua meraviglia e la concitazione della parole con cui descriveva la terra che gli si era parata innanzi agli occhi.
Una landa infinita, un deserto sconfinato carezzato dai raggi del sole… Il calore spaccava le pietre tanto era intenso… Fra sabbia e superfici ghiaiose e roventi qualcosa affiorava: vestigia consumate di un tempo passato, detriti di civiltà ormai perdute nella memoria…

Il racconto del nostro giovane fratello non cessò di sorprenderci. Egli soggiunse che quel luogo così oscuro e desolato era in realtà abitato da due strane creature che probabilmente vi erano giunte da altri mondi assai lontani, a distanze di milioni di stelle. La più curiosa ed anche inquietante delle due creature si faceva chiamare Omino di Burro perché il corpo intero era proprio condensato e rappreso nel burro. Questa strana creaturina dall’apparenza fragile e tenera – il giovane disse che amava farsi toccare ed accarezzare e che, da quel contatto, ricavava un piacere intenso – aveva qualcosa di ambiguo nella sua indole, ma non sapeva precisare di cose si trattasse… Sotto gli occhi neri e vuoti le labbra si muovevano per disegnare una specie di mezzaluna a guisa di eterno sorriso. A guardarlo bene – si sarebbe pensato – pareva fosse affetto da un’orribile paresi la cui estrema sgradevolezza veniva a sua volta accentuata dagli enormi denti canini ed incisivi di cui l’ometto faceva gran mostra. Era il segreto sorriso di uno squalo…
Il compare di questo strano essere non era meno bizzarro, ma, a suo modo, più buffo: il suo nome era Papalla perché ogni arto, ogni singolo muscolo del suo corpo aveva una forma sferica. L’incredibile conformazione fisica di quell’essere non gli permetteva di procedere normalmente poggiando a terra i piedi. Rimbalzava e peraltro con gran fatica dato che il suolo era per gran parte coperto di sabbia. Qualche strana magia gli consentiva ogni tanto di volare per poi ricadere goffamente e con grande ansimare.

Il fratello ci avvertì che Omino di Burro e Papalla volevano parlamentare, che avevano desiderio di fare la nostra conoscenza per una collaborazione proficua per tutti. Nonostante la diffidenza decidemmo collettivamente ed unanimemente di colloquiare con i due esseri per sondare la possibilità di un’utile amicizia. Era trascorso troppo tempo ormai da quando ci eravamo rintanati nelle grotte accasciati e raccolti nella nostra tranquilla paura. Dovevamo prendere coraggio e abbrancare finalmente per le mani il nostro destino.

Con altri cinque fratelli per precauzione armati di sassi e bastoni, mi recai sul luogo dell’appuntamento ai piedi di una gigantesca nuda ammantata di sabbia e mossa dal vento. Ivi constatai come le parole del nostro giovane fratello non fossero affatto esagerate: la descrizione ben si attagliava alle due creature. Fu l’Omino di Burro a prendere la parola per esporre i suoi grandiosi progetti anche se non sarebbe corretto affermare che comunicasse emettendo suoni dalla sua bocca.
Definendosi come “superba creatura del fare”, pur essendo dotato di eloquio e favella l’Omino di Burro comunicava gesticolando riuscendo sempre a farsi comprendere chiaramente. Espresse così il suo grande sogno di fondare una gigantesca metropoli che avremmo battezzato Fantasyland, il posto in cui la Felicità sarebbe stata di casa… Ma noi uomini delle grotte siamo sempre stati gente semplice ed ignorante: nessuno fra noi aveva mai udito quella parola ! Che sarà mai la felicità ? Si mangia ? Si beve ? E’ una bella donna forse ? A quel punto fu il Papalla che si incaricò di spiegarci cosa mai fosse la felicità esibendo la sua grande sapienza “nullificante” e nullizzata”. Nonostante l’attenzione prestata non capivamo un singolo accento del Papalla che, a differenza dell’Omino di Burro, comunicava parlando e, tuttavia, quel che percepivano le nostre orecchie era solo una serie di suoni e rumori inarticolati, ora curiosi, ora stridenti, ora semplicemente inconsulti ed all’apparenza offensivi. Fu la voglia di avventura che prevalse su tutto il resto: pur non comprendendo lo strano linguaggio del Papalla simulammo convinta adesione e lasciammo che l’Omino di Burro esponesse più concretamente quel che intendeva realizzare con il nostro aiuto…

Non tardò a mostrare di essere una fonte di mille ed insospettabili risorse… Instancabile per iniziativa ed un entusiasmo un po’ infantile, l’Omino di Burro si addentrò nelle nostre grotte ove scoprì, grazie alle nostre indicazioni, una quantità spropositata ed incredibile di metalli, minerali e altri preziosi con i quali avremmo potuto costruire la favolosa metropoli. Con gran decisione la creatura dichiarò di essere l’unica e sola proprietaria di quelle immense ricchezze che fino a quel momento erano appartenute a noi… Non so spiegare perché non battemmo ciglio consegnando all’Omino di Burro praticamente tutti i nostri averi… Sembrava esercitare una sorta di misteriosa magia ipnotizzandoci tutti, in massa, costringendoci a rispettare ogni sua volontà ed ogni suo ordine. Non lesinammo mezzi per Fantasyland adoperando perfino i nostri stessi escrementi. Sostanzialmente erigemmo la favolosa metropoli sulla nostra merda che era peraltro pure un’insospettata fonte di energia. Le narici di chiunque non avrebbero potuto ignorare l’inconfondibile olezzo che avrebbe avvolto la nostra nuova terra promessa e mantenuta…

E il Papalla ? Essere di incredibile e vasta scienza, conoscenza e sapienza, si fece carico dell’organizzazione dei lavori per l’edificazione di Fantasyland anche se nessuno fra noi capiva il senso del suo singolare eloquio, ma la verità pure e semplice era che, in realtà, l’Omino di Burro, oltre a mettere tutte le sue innumerevoli risorse materiali, si stava imponendo come deus ex machina, direttore, progettista e sovrintendente di tutta l’attività edilizia.
Il Papalla era stato confinato ad un ruolo di misera comparsa come per inculcare nelle nostre povere e piccole teste di uomini delle grotte l’idea della grandezza e della magnanimità dell’Omino di Burro. Come in preda ad una folle agitazione il Papalla rimbalzava goffamente e ridicolmente qua e là emettendo i suoi sibili e i suoi rumori astrusi, ma in seguito sarebbe tornato utile…

In capo a qualche anno cessammo di essere gli uomini delle grotte: il lavoro febbrile e minuzioso di una miriade di disperati e dissennati aveva consentito la realizzazione di un progetto quasi impossibile solo da concepire e con la nascita di Fantasyland il nostro destino sarebbe mutato radicalmente.

Fantasyland: una gigantesca e monumentale oasi di tormento e frastuono nel mezzo del deserto.
Migliaia su migliaia di palazzi simili ad altrettanti torri di Babele eretti sul capo di uomini che avevano versato lacrime, sangue e sudore con compiaciuta soddisfazione del nostro nuovo padrone, il quale si autonominò Sindaco, Governatore, Benefattore e Gran Commendatore facendosi affiancare dal fido Papalla come addetto culturale. Qualche tempo dopo, per dare prova di grande saggezza democratica, l’Omino di Burro indisse delle elezioni per legittimare la sua autorità cittadina presso il suo popolo. Fu lo stesso Papalla a proporsi come candidato alternativo e, proprio per tale motivo, la consultazione non ebbe storia…

Fantasyland, l’elefantiaco dito attaccato al buco del culo del Cielo quasi per una segreta vocazione all’irrisione cosmica…

Fantasyland, la città dove la Felicità avrebbe ottenuto finalmente cittadinanza…

Inizialmente, quando ancora Fantasyland muoveva i suoi primi passi verso il suo appagante e progressivo futuro, fu necessario dividere a metà il tempo dei suoi cittadini concedendo equamente e ore della giornata al lavoro e al tempo libero. C’era un gran bisogno di allargare gli orizzonti cittadini ed era necessario che tutte le risorse umane disponibili fossero utilizzate per concretizzare l’ambizioso obiettivo.
Presto la vita quotidiana degli abitanti venne scandita dai ritmi del Mercato con tutte le sue regole e le sue ferree leggi… L’Omino di Burro si impose come promotore di questo Nuovo Mondo del Mercato creando la cartamoneta, lo strumento a disposizione dei suoi sudditi per poter acquistare ciò di cui abbisognavano e, successivamente, un cumulo incontenibile di beni superflui ed inutili.
A tal fine il Sindaco saccheggiò tutta la carta del pianeta per convertirla in denaro attraverso un’altra sua geniale creazione, le banche di cui, naturalmente, egli deteneva l’esclusiva proprietà.
Attraverso le banche l’Omino di Burro consolidò ulteriormente il suo potere, mentre la città si allargava, si espandeva, procedeva… Il benessere aumentava e camminava spedito con lo stesso irrefrenabile passo dell’evoluzione scientifica e tecnologica…

Quanto più cresceva il benessere tanto più si alzavano i salari con cui veniva pagato il nostro lavoro, i quali, se per una buona parte venivano spesi per il soddisfacimento di tutti i nostri bisogni materiali, per l’altro transitavano nelle banche sotto l’apparente forma di risparmi, ma che, in realtà, finivano nelle voraci tasche dell’Omino di Burro sempre più ricco e potente. Nel frattempo si estendeva la porzione di tempo da dedicare al tempo libero determinando il fiorente sviluppo dell’industria del tempo libero, dello svago, dell’intrattenimento e dello spettacolo.
Imponenti megaschermi vennero disseminati per tutte le principali vie e piazze di Fantasyland per offrire agli abitanti nuovi effimeri sogni… Gli spettacoli televisivi, musicali, cinematografici e sportivi si fecero sempre più invasivi e pervasivi e l’intera città assunse l’aspetto di un gigantesco e bambinesco parco giochi.
Le nostre abitazioni non vennero risparmiate dalla nostra voracità e vennero riempite di tutti gli oggetti più inutili ed assurdi fin quasi ad annullare qualsiasi spazio autenticamente vitale nelle nostre stanze. Gli spazi vennero realmente aggrediti togliendoci quasi l’ossigeno, ma noi perdemmo ogni senso del reale.
Eravamo come tanti tossici maledettamente replicabili, ognuno dei quali immerso in una cinquantina di trip diversi. Tutto era fottutamente libero e permesso fino all’eccesso ed era lo stesso Omino di Burro ad atteggiarsi a profeta di una sorta di religione dell’edonismo, del piacere liberamente ed amabilmente consumato. Tuttavia il male non risiedeva nel piacere in sé, ma nella mancanza di limiti. Non avevamo più alcun senso morale: il sesso veniva praticato ovunque e con chiunque capitasse nel completo abbandono ai comportamenti più discutibili… Il gioco divenne per molti un’ossessione, mentre il consumo di sostanze che alteravano i contorni delle nostre personalità già fragili aumentava di giorno in giorno.
Intanto l’espansione del tempo libero accrebbe così tanto da annullare il tempo dedicato al lavoro e per sopperire a questo inconveniente l’Omino di Burro decise di farci “replicare” creando gli Automi, androidi destinati a fare il nostro lavoro. L’implicazione di questa trovata furono paradossali: per reggere il peso della sempre più ricca industria del tempo libero venimmo pagati per il lavoro che ormai solo gli Automi erano in grado di fare.
In conseguenza di ciò si consolidò in modo quasi imprevisto una bizzarra struttura sociale con la divisione netta fra noi e i nostri “replicanti”…

Le grotte erano ormai sono un ricordo… Avevamo perso quel pelo che ci distingueva dagli altri esseri del pianeta indossando abiti eleganti ed impeccabili, cuciti con i tessuti più pregiati…
Ci divertivamo come pazzi… Bevevamo, mangiavamo, fottevamo senza ritegno, ma qualcuno cominciò incautamente a domandarsi se quella fosse la Felicità.
Una breccia si era allargata sull’intonaco cittadino e rischiava di diventare una crepa. Disconoscere che quella offerta dall’Omino di Burro non fosse Felicità equivaleva all’aperta ribellione. Il nostro Sindaco era realmente convinto che la sua spicciola filosofia di vita fondata sul Mercato e sul Piacere garantisse la concretizzazione della Felicità. Probabilmente l’ignoto mondo che lo aveva partorito aveva conferito alla sua conformazione fisica e mentale tracce indelebili, impronte irremovibili…
Ma questo è un altro mondo ! Il nostro…

Se fra la massa si faceva via via e progressivamente strada l’idea che le convinzioni del Sindaco fossero sostanzialmente erronee, una tragica e patetica follia, ma pochi ebbero il coraggio di estrinsecare tale opinione e quei pochi scomparvero nel nulla, senza lasciare la benché minima traccia di sé. Si diffuse una sinistra e, per certi versi, grottesca leggenda metropolitana: i “ribelli” sarebbero finiti direttamente nelle fauci dell’Omino di Burro che si sarebbe nutrito rabbiosamente delle loro carni.
Non eravamo molto lontani dalla verità…
Quella creatura viscida, abnorme, untuosa e melliflua si era fatta feroce come una fiera ed aveva assunto quasi le vaghe fattezze di un lupo.
Scosso dall’ira più funesta e presaga delle peggiori conseguenze, l’Omino di Burro incaricò il suo addetto culturale, l’inseparabile Papalla, di far iniettare nei nostri corpi il siero del Nulla.
Unito all’effetto spiazzante dell’eloquio del Papalla il siero provocava smarrimento, perdita di identità, l’annientamento totale di ogni senso del tempo e dello spazio… Per le strade della metropoli si moltiplicarono le orde di miserabili che vagavano senza meta, persi completamente nel loro stato di vuoto mentale.
Pareva che con l’intervento del Papalla Fantasyland – così come l’Omino di Burro l’aveva concepita – potesse continuare a mostrare tutta la sua crudele e sprezzante protervia, ma l’imprevisto era in agguato dietro l’angolo…

Tutto cominciò con la crisi della carta: per stampare la cartamoneta era stata saccheggiata fino all’esaurimento e con la mancanza della carta le banche entrarono in crisi e dovettero dichiarare fallimento. Senza carta sparì il denaro dalla circolazione e con la scomparsa del denaro il Mercato crollò…

Intanto gli Automi svilupparono una spiccata coscienza di classe e la consapevolezza di essere stati sfruttati per l’altrui divertimento e sollazzo. Non potendo più pretendere dei salari equi e altre garanzie mutarono in terribili macchine assassine sterminando metà della popolazione.
L’altra metà fu costretta a difendersi generando un conflitto destinato a provocare altri lutti e distruzioni. Eppure il peggio doveva ancora arrivare…

Fantasyland aveva conosciuto uno sviluppo demografico di tali e bibliche proporzioni da calpestare la maggior pare del globo. Sotto quel peso la terra tremò e la metropoli cominciò a sprofondare…
I palazzi si accartocciarono e rovinarono l’un sull’altro, la folla si abbandonò al panico e ai gesti più inconsulti per salvare la pelle, gigantesche crepe solcarono l’asfalto e il cemento…

Al disastro si aggiunse il disastro… Il suolo sprigionò quei gas venefici trattenuti da tempo immemore, una palla grigia di vapore circondò i malcapitati…

Completamente stordito e disorientato l’Omino di Burro si liquefece in una poltiglia mentre il suo compare, il fido Papalla, scoppiò come un palloncino lasciando nel cielo una scia di Nulla…

L’azione dei vapori e dei gas produsse terribili mutazioni sugli abitanti di Fantasyland…
I corpi si coprirono di pustole purulente e di stomachevoli escrescenze… I volti si deformarono e le fauci si allargarono…

La nuova progenie della catastrofe si divorò con feroce determinazione…

Pochi scamparono alla fine di Fantasyland e ora sono qui, in questa grotta con uno sparuto gruppo di compagni, ad attendere la fine dei tempi bui e l’inizio di una nuova era…

Per vincere l’angoscia scrivo, scrivo e ancora scrivo perché conosciate questa storia, ignoti lettori…

Venivamo dalle grotte e alle grotte siamo tornati, in questo buio così pallido e feroce da non concedere respiro…

Non abbiamo più ombre che plachino la nostra fame e la nostra sete…

Non abbiamo più illusioni…

Ciononostante non ho ancora spento l’interruttore sul nostro futuro, perché sono ancora fiducioso…

Sono un inguaribile, fottuto ottimista, un miserabile e romantico sognatore…

Verrà il giorno in cui l’aria tornerà ad essere respirabile e riempire fresca e pura i nostri polmoni…

Vestito di questa pelle da lungo tempo ormai non più irsuta aspetto quel giorno…

Il giorno in cui cammineremo fuori dalle grotte e voleremo liberi come gli uccelli senza sottostare all’umiliazione che le catene dell’ennesimo Omino di Burro ci potrebbero infliggere…

Io aspetto…

Anche senza Felicità, soddisfatto e appagato da questo inquieto e rischioso cammino…

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
4.09.2009

PS : un piccolo ringraziamento per questo modesto racconto alla grandezza di Platone, alle intuizioni di Collodi ed a scrittori di fantascienza come Dick a cui si vuole rendere omaggio.
Per quel che riguarda l’Omino di Burro – parto della fiabesca fantasia collodiana – non si è voluto qui additare a un personaggio particolare – vergogna a chi lo pensa ! – ma farne un archetipo, il simbolo del potere e della ricchezza senza freni e senza limiti della postmodernità.
E il Papalla ? La figura è desunta da un simpatico carosello della fine degli anni Sessanta con l’accompagnamento della memorabile “Vengo anch’io no tu no” di Iannacci e Fo. Nel contesto della narrazione anche Papalla assurge a figura archetipica come l’intellettuale, l’uomo di cultura che dispensa parole e discorsi senza senso abdicando a quella che dovrebbe essere la sua funzione. Anzi…

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