DI DMITRIY SEDOC
Strategic Culture
Il passaggio della guerra civile libica
verso una nuova fase sposta considerevolmente la bilancia delle forze
in campo. Alcuni dei sostenitori di Gheddafi continuano a opporre una
strenua resistenza a Bani Walid, Sirte e a Sabha, almeno al punto di
riuscire a tenere gli attaccanti fuori dei capisaldi. Pochi giorni fa
hanno persino lanciato un attacco contro una raffineria situata nella
città di Ras Lanuf, affacciata sul Mediterraneo. In altre parti della
Libia la resistenza pro-Gheddafi sembra perdere forza, anche perché
i suoi seguaci si stanno ritirando attraverso le porose frontiere del
Niger.
Secondo numerosi report, ci sono convogli di persone armate
che penetrano in Niger continuamente. Si sa che anche alcuni degli ex
alti ufficiali – tra cui anche il figlio di Gheddafi – sono usciti
dal paese. Il governo del Niger sta manifestando preoccupazione per
l’ingresso dei soldati dell’esercito sconfitto. Dovrebbe essere
tenuto in considerazione il fatto che il Niger occupa, in modo cronico,
la terzultima posizione dei paesi più sottosviluppati in base alla
classifica delle Nazioni Unite. Il capo dell’amministrazione presidenziale
del Niger, Massoudou Hassoumi, ha avvertito che sta finendo il tempo
per evitare un disastro e ha chiesto serie iniziative per fermare la
migrazione priva di controlli e per raggiungere un accordo col nuovo
regime libico sulla questione, ma fino ad ora la situazione non ha mostrato
segni di miglioramento.
Hassoumi ha dichiarato che l’amministrazione
del Niger farà in modo di disarmare i migranti se non consegneranno
le armi in modo volontario. Il Niger, comunque, manca evidentemente
di risorse per confrontarsi con la massa infuriata che dovrebbe comprendere
decine di migliaia di ex soldati di Gheddafi, che solo recentemente
sono fuggiti dalle zone di combattimento.
Alcuni dei generali di Gheddafi hanno
già trovato alloggio negli alberghi del Niger. Il Niger ospiterà
i libici in base a una legge umanitaria fino a che non riceverà
un mandato internazionale per il loro arresto, ma il governo ha detto
che eviterà i contatti con i rifugiati più importanti perché, in
base all’approccio ufficiale descritto dal ministro della Giustizia
nigeriano Maru Amadou, considererà le loro azioni tentativi privati
di porsi in salvo, e che pertanto non sono affari di loro competenza.
La posizione adottata dall’amministrazione
nigeriana è facilmente spiegabile. Il Niger è totalmente dipendente
dagli aiuti occidentali e, in ogni caso, lotta per coltivare una sembianza
di democrazia. Eletto quest’anno, il presidente nigeriano Mahamadou
Issoufouis, per formazione geologo, è stato caldamente ricevuto alla
Casa Bianca con altri tre dirigenti africani, ed è stato lodato per
i progressi del Niger verso la democrazia. Per lui i lealisti di Gheddafi
non sono i benvenuti, e da qui vengono le lamentele dirette al nuovo
regime libico per non aver adempiuto ai propri obblighi e per non aver
imposto un controllo adeguato alle frontiere. Hassoumi ha protestato
in passato per l’andirivieni nel suo paese della fazione nord-africana
di Al Qaeda di stanza nel deserto del Niger settentrionale, e adesso
i rifugiati armati dalla Libia stanno diventando un’altra gatta da
pelare. La minaccia creata dall’ingresso di libici armati potrebbe
essere distruttiva per la fragile economia del Niger e il suo governo
sarà costretto a chiedere assistenza internazionale sul campo, visto
che, al momento, si sta assumendo la responsabilità della sicurezza
del mondo intero.
Il futuro prossimo della Libia dipende
in larga parte da come evolveranno le cose in Niger. Se i sostenitori
armati di Gheddafi riusciranno a unirsi e a stabilire un presidio da
cui lanciare offensive nel proprio paese natale, provocheranno una crisi
prolungata. Il nuovo regime libico ha molte ragioni per essere preoccupato
che la caccia a Gheddafi, la cui base di supporto non è limitata a
una parte della popolazione libica, è stata finora un insuccesso. Il
leader libico cacciato potrebbe riuscire a ottenere fondi e altri
tipi di sostegno dalle forze influenti del mondo arabo e africano che
percepiscono il conflitto in Libia come un’aggressione occidentale.
Ad esempio, la Guinea Bissau, una minuscola repubblica a ovest del Niger,
sembra essere diventata una nuova base della resistenza pro-Gheddafi
per aver ospitato con prontezza il leader estromesso e per avergli
garantito un soggiorno sicuro.
Nel frattempo, il Consiglio Nazionale
di Transizione sta cercando di prendere il controllo della nazione.
Il suo capo, Mustafa Abdul-Jalil, ha fatto appello alla riconciliazione
nazionale in un raduno tenuto il 12 settembre, sollecitando i libici
a scegliere la democrazia e la popolazione dei restanti bastioni ancora
in mano a Gheddafi a ribellarsi. Abdul-Jalil ha riconosciuto il contributo
dato dalla NATO al trionfo dei ribelli e ha celebrato i ragazzi e le
ragazze della Libia per il loro ruolo di sacrificio nella rivoluzione,
promettendo che presto in Libia le donne verranno nominate nei ministeri
e nelle ambasciate. Ha anche informato che il settore petrolifero del
paese sta tornando in attività e che fra poco i suoi dipendenti riceveranno
la paga di due mesi in ritardo.
In qualche modo queste affermazioni
ottimistiche sembrano non convincenti. L’economia libica è sull’orlo
del collasso, la popolazione soffre di carenze di pane e di acqua, gli
ospedali sono sempre meno in grado di fornire un servizio sanitario
decente, e il crimine nelle strade è in ascesa. Lo stato sociale, una
volta impressionante, giace nella rovina, e ciò spiana la strada al
malcontento popolare. La repressione illegittima e gli atti generalizzati
di vendetta contro gli oppositori della rivoluzione stanno erodendo
il prestigio del nuovo regime libico. E per quanto riguarda un possibile
consenso di tutta la nazione per il futuro, sta chiaramente fallendo.
Gli osservatori non mancano di notare
le rivalità all’interno del CNT, dove numerosi gruppi di ribelli
che sono ancora armati, ma di cui non ha più bisogno, stanno
diventando una grossa fonte di rischio potenziale per il proprio paese.
Per loro l’alternativa sarebbe quella di posare le armi, di ritornare
alle proprie abitazioni o accettare un riversamento nelle forze armate
regolari sotto il controllo del Consiglio. La verità è che nella maggioranza
dei casi tendono a respingere tutte queste possibilità. Il report
di Amnesty International pubblicato il 13 settembre evidenzia la bufera
di problemi interni che sono presenti in Libia. Secondo il documento,
gli oppositori di Gheddafi si sono macchiati di tutti quegli atti
– l’uccisione di civili, le atrocità e le torture – che di solito
vengono considerati crimini di guerra. Il report indica che sono
stati giustiziati sospetti mercenari e decine di sostenitori del regime
di Gheddafi, talvolta con linciaggi quando i ribelli hanno preso possesso
delle regioni orientali della Libia. L’inevitabile conclusione che
si ricava dal report è che il conflitto in Libia ha creato le
condizioni per anni di ostilità tra le tribù e che le possibilità
per un rapido accordo sono scarse. Infatti, fino ad oggi anche la vittoria
di quelle forze che hanno estromesso Gheddafi non è assolutamente irreversibile
e la Libia sembra destinata a un’epoca di caos: dovendo affrontare
il deterioramento delle condizioni economiche, una larga parte della
popolazione libica, che tende a essere politicamente inattiva quando
il livello di vita è accettabile, potrebbe schierarsi nella partita
che si gioca nella nazione.
Fonte: In and Around Libya
15.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE