DELITTO SU COMMISSIONE

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DI GIANLUCA FREDA
Blogghete!

Non so se ai prossimi appuntamenti elettorali avrei votato per l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Non credo. La tentazione mi era venuta, ma sono arrivato a un punto in cui, perché io mi disturbi a estrarre ancora una volta dal portafogli la tessera elettorale, occorrerebbe un incentivo più efficace di quello rappresentato da un politico un po’ meno disonesto degli altri. Di Pietro non è quel qualcosa di più. Per cominciare dai lati positivi, ho sempre ritenuto l’ex pm un personaggio dotato di un’etica personale solida, che prescinde dai giochetti e dagli intrallazzi partitici che contraddistinguono il resto del mondo in cui vive.

Di Pietro ama dire ciò che pensa, ma soprattutto pensare ciò che dice (il “come” lo dice, su cui molti riversano la loro ironia, è per me cosa di nessuna importanza). Possiede un blog, sul quale rende conto, con una certa onestà, di ciò che accade nel suo partito e in Parlamento. Non si tira indietro quando si tratta di assumere posizioni scomode e non certo redditizie sul piano politico, come nel caso della sua battaglia contro l’indulto. Tutto questo lo rende una mosca bianca nel quadro politico nazionale. Ma non rende una mosca bianca il suo partito, nel quale voltagabbana e intrallazzieri rappresentano una percentuale di tutto rispetto. Pensiamo a Valerio Carrara, eletto in Senato nel 2001 con la Lista Di Pietro presentandosi come “giustizialista”, che appena entrato a Palazzo Madama cambiò casacca, iscrivendosi al gruppo misto e votando la fiducia al governo Berlusconi; per poi diventare artefice dell’emendamento al ddl Cirami (la cosiddetta “legge salva-Previti”) che riuscì ad avere ragione dell’ostruzionismo dell’Ulivo. Pensiamo a Sergio De Gregorio, che fu eletto l’anno scorso come presidente della Commissione Difesa coi voti del centrodestra, impallinando la candidata ufficiale dell’Unione, Lidia Menapace, e fregandosene alla grande delle indicazioni contrarie del suo stesso partito. Pensiamo a Federica Rossi Gasparrini, che votò a favore della legge sull’indulto, dimostrando di essere entrata in IdV al solo scopo di godersi uno scranno parlamentare.

Che me ne faccio di un pesce dalla testa pulita, se tutto il resto della carcassa è marcia fino alla coda? Mica posso mangiare la testa.

A ciò si aggiunga che quella testa, solitamente coerente con ciò che pensa, pensa a volte cose così sciocche e ripugnanti da spingere anche l’elettore più forte di stomaco a tenere pronti nel portabagagli l’ombrellone, la sdraio e il secchiello per la sabbia in occasione delle prossime tornate elettorali. Quand’anche venissero a gennaio.
Ieri Di Pietro, in stretta collaborazione con la CdL e con l’Udeur mastelliano, ha contribuito a far naufragare in Commissione Affari Costituzionali la proposta di legge per istituire una commissione di inchiesta sulla bestialità poliziesca che si scatenò sei anni or sono al G8 di Genova. Ora, cercate di capirmi: non è che io attendessi questa commissione d’inchiesta col fiato sospeso e col cuore ricolmo di speranza. So benissimo che sarebbe stata la solita farsa. Mi rendo conto perfettamente che il suo scopo sarebbe stato più quello di gettare fumo negli occhi che quello di fare vera luce sulle responsabilità militari e istituzionali della repressione di stampo cileno messa in atto da polizia e carabinieri in quel lontano luglio del 2001. Non mi illudo certo che da quella commissione potesse scaturire l’indicazione precisa dei nomi e cognomi degli animali che torturarono, picchiarono e uccisero a Piazza Alimonda, alla Diaz, a Bolzaneto e più in generale in ogni strada di Genova. Parte di quei nomi li conosciamo già e le nostre commissioni d’inchiesta, quelle aperte sui vari forum e blog di internet, ci hanno già detto e mostrato tutto ciò che c’era da dire e mostrare. Sono commissioni molto più efficienti di qualsiasi sceneggiata che un governo in stato confusionale possa mettere in piedi. Ci hanno già rivelato mille volte la verità, pur essendo – almeno per il momento – prive di quel potere che consentirebbe di passare dall’accertamento delle responsabilità all’auspicato castigo degli assassini. L’aborto preventivo del solito comitato teatrale, con cui il potere periodicamente processa se stesso al solo scopo di autoassolversi, è tutto sommato una buona notizia. Ci risparmia almeno la beffa di veder scendere, sull’abominio consumato a Genova, la derisione impunita dei suoi stessi perpetratori.

Però a volte è il pensiero quello che conta. E il pensiero di Antonio Di Pietro sull’argomento è condensato in questa incredibile dichiarazione:

“Volevano indagare solo sulla polizia, una giustizia a metà. Noi vogliamo una commissione che indaghi sia sui manifestanti che sugli abusi delle forze dell’ordine”. Su questa perla del pensiero dipietrista, commenta giustamente Giorgio Mattiuzzo su Luogocomune:

“Purtroppo l’onorevole finge di ignorare anche la più evidente delle ovvietà. Che le commissioni di inchiesta non si fanno per indagare gli atti vandalici di quattro deficienti con il cappuccio sulla testa. Per quello c’è la polizia. O meglio, ci sarebbe la polizia, se non fosse troppo impegnata ad avvolgere spranghe di ferro con il nastro adesivo, come un ufficiale ha affermato testimoniando al processo di Genova; se non fosse stata troppo impegnata a produrre prove false contro i manifestanti e poi a perderle in occasione del processo; se non fosse troppo impegnata a sparare sulla folla come ai tempi di Bava Beccaris”.

Ho ben poco da aggiungere al commento di Mattiuzzo, se non che dei quattro deficienti col cappuccio, almeno un paio erano infiltrati delle forze di polizia e/o dei servizi segreti, come si vede dal filmato qui sopra. Non è un caso che, come dice lo stesso filmato, nessun “black bloc” sia stato fermato dagli eroici tutori dell’ordine, intenti a malmenare vecchietti e ragazzine. E aggiungo anche che l’assunto in base al quale non si può indagare e condannare un branco di criminali se prima non si sputtanano, per par condicio, anche le loro vittime, inizia a darmi davvero il voltastomaco, soprattutto quando è teorizzato da un ex pubblico ministero come Antonio Di Pietro.

Scrive Di Pietro sul suo blog, in un impeto (non rarissimo, questo gli va riconosciuto) di onestà intellettuale:

“[…] è accertato, purtroppo e sotto certi aspetti ancora più grave, il fatto che le forze dell’ordine, per scoprire i colpevoli, non hanno fatto un’indagine di polizia giudiziaria nell’immediatezza, ma hanno rinchiuso alcune persone in una caserma e le hanno malmenate, provocando lesioni, comportandosi peggio degli altri. Questa è una brutta pagina che merita un approfondimento innanzitutto in sede giudiziaria, e i giudici se ne stanno occupando: anche i poliziotti che sono accusati di aver commesso quei reati sono stati rinviati a giudizio. Oggi, in Parlamento, cosa si voleva fare? Una commissione d’inchiesta limitatamente ai comportamenti della Polizia. Che Commissione d’inchiesta è questa?”.

Rispondo: è – o almeno dovrebbe essere, se di essa avessimo il minimo motivo di fidarci – una commissione con la quale dimostrare al paese che la barbarie poliziesca perpetrata contro i cittadini non è solo perseguita (si fa per dire) dalla magistratura, ma anche aborrita dal potere politico. E’ – o dovrebbe essere – uno strumento che permetta alla politica di riconquistare la fiducia e il rispetto delle persone, chiarendo in modo inequivocabile che se il braccio armato dello Stato commette violenze inaccettabili contro coloro che dovrebbe tutelare, saranno tutti i poteri dello Stato, all’unisono, ad adoperarsi per ricercare e punire i responsabili. Cose che suonano fantascientifiche, più che utopistiche, in un sistema in cui i poliziotti rinviati a giudizio non faranno mai un solo giorno della molta galera che meriterebbero; e in cui personaggi come Francesco Gratteri, all’epoca capo dello Sco, che contribuì a inscenare la buffonata delle molotov utilizzata per giustificare l’assalto alla Diaz, anziché condannati e sbattuti fuori a calci dalle istituzioni, vengono promossi alla testa della sezione antiterrorismo.

Di Pietro è convinto che sia sufficiente espellere dal Parlamento condannati e pregiudicati per far rinascere miracolosamente quella fiducia nelle istituzioni che un secolo di corruzione, malaffare e violenza di Stato ha cancellato. Farà bene a ricredersi. Al punto a cui siamo arrivati, nulla di meno eclatante di un processo e di una condanna esemplare contro quei membri delle istituzioni – compresa la forza pubblica – che si siano resi colpevoli di crimini contro il popolo potrà mai spingere me e la massa in espansione dei disgustati da questa “democrazia” a prendere ancora in mano una matita copiativa.

Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
Link: http://blogghete.blog.dada.net/archivi/2007-10
31.10.07

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