Davide e Golia: miti a confronto

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Di Laura, ComeDonChisciotte.org

All’arrivo prima di entrare, devo lasciare la borsa, giacca e telefono. Mi spoglio dei miei oggetti, sento il pericolo in formato invisibile, una pressione che ritorna ogni volta che devo recarmi in un luogo, un museo, e uno stadio. Fino ad ora potevi essere un soggetto pericoloso con la voglia di uccidere il tuo idolo, sfregiare un quadro, o decidere di far parte di una banda di criminali per rapinare una banca.

Lo chiamavano pericolo terrorismo, con una boccetta di profumo, e un trincetto sull’aereo, potevi sterminare un’intera flotta. Oggi il pericolo è il nostro respiro, le nostre mani nude, l’angoscia di una malattia ignota, e la possibilità di essere visibili solo in piccoli schermi, tracce di codici sull’etere che non calpestano la terra.

L’angoscia eppure sembra l’unica sicurezza rimasta, brandello dell’io, dell’uomo che trovo per strada e con il volto abbassato e coperto mi sfiora con sospetto. Mi ritiro dalla realtà ed entro nel ricordo di una biblioteca, un bellissimo palazzo che dopo il lavoro di ogni giorno, mi ristora. Il silenzio delle pagine scritte, la conoscenza. Chiusa in tanti scaffali. Tanto c’è da imparare, che ogni pezzetto del palazzo mi sembra illuminante. Eppure prenoto un libro a caso, faccio la mia richiesta e come un tempo, aspetto. Prendo una cioccolata calda e vedo sul display del grande salone, il mio numero di prenotazione: si tratta di un manuale illustrato di un pittore.

Inizio un percorso di corridoi e scale e mi trovo di fronte a Davide con la testa di Golia, un olio su tela del 1610, conservato dentro la Galleria Borghese a Roma insignito da una platea di persone che aspettano il suo turno, e in fila entrano per ammirarlo.

Prima di entrare ho passeggiato nei giardini di Villa Borghese, tra eleganti strutture, ampi prati con fontane e piccoli chalet inseriti in fitti boschi di alloro, pini, lecci e platani. Un giro tra natura, arte monumentale e decorativa in un’atmosfera rilassante, conservata in un tempo immobile. Ho respirato l’aria della natura dentro la città. Un labirinto di bellezza, che procura serenità, senso di armonia ammaliante.

Davide e Golia, è il dipinto che con innumerevoli interpretazioni, incorniciato da vaghe polemiche sul pittore Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, rappresenta per gli intellettuali di corte il genio e la sregolatezza. Lui che fa della sua vita specchio della sua arte, capovolge la tecnica e il soggetto pittorico diventa il popolo. Distrugge la visione contemplativa del Tiziano, di Raffaello, ritrae il vivere comune sostituendo i soggetti dell’iconografia cristiana e della nobiltà, con i più poveri, dipinge il sogno, la rivoluzione del popolo contro le oligarchie dominanti. Protagonisti sono i volti, le mani, la luce che illumina il povero travestito con abiti nobili, che diventa àpice della svolta.

Corre e sfida il suo tempo, un piccolo uomo diventa il mito. Miti che si smarriscono nella fantasia della gente del nostro tempo, costretta alla vita mediocre e ripetitiva, che aspetta l’attimo di eternità.
Come i miti del nostro tempo, il Maradona che incornicia la fine di un ventennio beffardo, come un piccolo Davide, è colpevole di indurre il suo popolo alla vittoria, cioè all’attimo di ebrezza che colma il senso di vuoto degli schemi dell’ordinario. Condottiero solitario svela la semplicità del genio. Sfida Golia, sfugge alla morte della rassegnazione del destino, e guida la svolta delle sue origini, prima misere poi gloriose. Reo di guadagni stellari, di una vita mai scelta.

L’attimo della vittoria è la luce che chiarisce i dettagli e oscura il resto. Oscura il teatro, sfugge alla fotografia, quell’attimo di luce nel buio, lo scatto che ritrae se stesso nella testa di Golia e nelle gesta di Davide. L’uomo forte è abbattuto dall’ingenuità di un ragazzino, dalla spontaneità contro l’angoscia. Il doppio, la divisione tra l’essere e l’apparire dello specchio, tra il pittore e il soggetto. Non ha date il capolavoro, senza tempo come lo spirito dell’uomo supera i limiti della società che si ripete in regole contrarie alla natura umana, espone se stesso alle critiche, esprime la sua unicità.

Mi soffermo e osservo la tecnica, la perfezione dell’esecuzione, di fronte all’angoscia, all’estasi della vittoria, a quell’attimo cercato, scoperto e perfezionato.

La fila scorre e osserva, mentre nello stadio la gioia esplode, seguita dai cori dei tifosi. Cosa potrebbe essere l’arte se tolta dalla sua istituzionalità? Forse un mito del pallone potrebbe svelarci l’essenza della gioia, di quell’attimo svelato nel comporre un’azione, che sfugge dalla comprensione ma che completa l’umano.

Il mito esce dalla vita ordinaria, che deve necessariamente essere rimesso nei confini della retorica, nell’obitorio dell’arte, il museo. Costretto alla lettura e all’interpretazione giornalistica.

A questo punto, devo riconsegnare il manuale illustrato, e rifletto sull’immaginazione e la sua arbitrarietà. Disordinata e scomposta come il sogno è solito svelare, posso ricomporla e tramutarla in una visione, in un senso di armonia che sfugge.

Quell’attimo glorioso, dell’uomo che si ripete nel mito, nell’anno avvenire, dopo un ventennio di illusioni, costruite da personaggi grotteschi, che si burlano di un popolo assonnato. Assopito aspetta il goal che gli risollevi il morale, e guarda con zelo la testardaggine e il coraggio di un bambino contro un gigante.
Riprendo la mia giacca dal guardaroba, esco e trovo una piazza vuota, mi volto indietro e il museo è chiuso agli umani, ormai da mesi.

Mi siedo in una panchina, pensando ai miti chiusi in un libro, in un museo, blindati dalla storia, che ha di bello l’arbitrarietà della vita raccontata e ricomposta per proseguire nella direzione ordinata e incomprensibile di ciò che resta di Davide contro Golia.

Di Laura, ComeDonChisciotte.org

Foto pubblica: Davide con la testa di Golia, Caravaggio (1610)
Foto pubblica: Davide con la testa di Golia, Caravaggio (1610)

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