DATEMI IL SUSHI, DATEMI LA MORTE

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DI MARK MOMFORD
SF Gate

Un pesce semplicemente divino e gli stock ittici in via di sparizione. Potete mettere d’accordo le due cose?

È in tempi come questi che vorrei essere un repubblicano senza cuore.

È in tempi come questi che vorrei veramente fregarmene e vivere in una felice e brutale ignoranza del vero impatto della razza umana sulla salute del pianeta, non avere niente di simile a una coscienza, e convincermi che il mondo, tutte le sue risorse naturali e tutte le sue simpatiche piccole creaturine sono qui solo per il mio piacere, per il mio sfrenato sfruttamento, per alimentare i miei voraci appetiti, e al diavolo la protezione dell’ambiente e il consumo limitato e rispettoso, e, ehi cameriera! un altro bicchierino… anzi, al diavolo, un doppio, perché sono americano, sono autorizzato.

Ma non sono fatto così. E probabilmente nemmeno voi. E, cavolo, nemmeno la maggior parte dei repubblicani: solo quelli che siedono al Congresso. E forse quelli dell’Utah o del Montana. Ma non preoccupiamocene per ora.

Questa volta parliamo di sushi, un raffinato piatto che stavo assaporando in compagnia di un amico in un ristorantino vicino alla Missione quando, a un tratto, mi sono reso che era la terza volta in una settimana che stavo gustando questo favoloso piatto: non proprio un record, ne sono consapevole, in una San Francisco pazza per questa pietanza (abbastanza diffusa anche nel resto degli USA, dove i banchi di sushi stanno diventando popolarissimi), ma comunque un modo non certo economico di vivere, specialmente visto il salario di un (non) modesto editorialista. Ma ehi, si campa una sola volta, no? D’accordo?

Ed ecco il problema: il sushi è diventato una di quelle cose come Cate Blanchett, o un concerto dei Led Zeppelin, o un esaltante sesso anale: non c’è nient’altro di simile, nessuna esperienza culturale allo stesso livello. Ben preparato (come di solito a San Francisco), il sushi resta una delizia senza pari, al punto che è praticamente impossibile adorarlo e non lasciarsi scappare a un certo punto con chiunque voglia ascoltarvi “Gente, questa roba è così divinamente buona che se me lo potessi permettere mangerei sushi ogni santo giorno”. Non sarebbe meraviglioso?”

Di certo, ovvio, non per il pesce. E non per il fastidioso problema del massiccio e terrificante collasso, a proposito del quale un rapporto dopo l’altro, e nuove scoperte scientifiche dopo precedenti fosche previsioni internazionali, affermano, con crescente allarme, che stiamo devastando i nostri oceani molto più gravemente di quanto avessimo mai potuto immaginare, e che in passato, in effetti, i ricercatori non avevano misurato i danni con sufficiente accuratezza, e che quando esaminiamo con attenzione le serie storiche, ebbene, salta agli occhi che il volume globale di vita marina commestibile sta scendendo più velocemente dell’anima di Dick Cheney nell’infuocata fornace dell’inferno. Cosa che, come ben sapete, va maledettamente veloce.

Un recente articolo del New Yorker (un profilo di Paul Watson , ambientalista radicale e assalitore di baleniere), afferma che secondo la FAO quasi il 70% delle maggiori riserve ittiche del mondo sono già “sfruttate a fondo” o addirittura “sovrasfruttate”. Un preoccupante rapporto pubblicato alcuni anni orsono su Nature calcolava che abbiamo distrutto un sorprendente 90% di quella che una volta era una sovrabbondante riserva di pesci quali tonni, marlin e pesci spada, e stiamo continuando a depredarla.

Sarebbe bene non essere tanto catastrofici. Al diavolo, potrebbe trattarsi, che so, solo del 50%. O i pesci potrebbe star raccontandoci un sacco di frottole. Ma comunque mettiate le cose, molti scienziati affermano che, al ritmo a cui adesso stiamo divorando le nostre riserve oceaniche, quando i vostri mocciosi arriveranno ai 40 anni i mari saranno già privi di qualsiasi specie commestibile, dal tonno ai calamari e alle lumache di mare, la calotta glaciale si sarà sciolta, il sole sarà diventato nero, e Dio dirà “Avete visto?”.

Era tutto facile. Solo qualche anno fa, vi sarebbe bastato dare un’occhiata alla lista , notare le poche specie libere i cui stock si stavano riducendo e che erano più in pericolo, e modificare di conseguenza la vostra dieta, semplicemente evitando di comprarle al supermercato e scartando quel delizioso branzino o pesce spada sul menu del ristorante, esprimendo il vostro voto, e lasciando che le vostre idee si facessero largo tra le oscure forze del mercato, consci di aver fatto così la vostra parte.

Ora non più. La realtà è che non esistono quasi più specie libere che non siano a rischio, brutalmente sovrasfruttate, o minacciate di sparizione , o che non lo saranno tra poco. E nella lista ci sono anche molti molluschi. E la situazione degli allevamenti ittici è solo di poco migliore, in termini di salute e d’impatto ambientale negativo. Per non parlare poi del mercurio, PCB, gli ormoni e gli altri veleni.

Dunque, la solita domanda: come reagire? Cosa fare di fronte a questa grave e minacciosa situazione?

Recentemente Slate ha pubblicato un affascinante articolo, una discussione tra due autori, Sasha Issenberg e Trevor Corson , che hanno recentemente pubblicato due libri sul sushi partendo da punti di vista differenti (il primo storico/economico, il secondo culinario) che però si completano a vicenda e che concordano più o meno su un punto: mentre il sushi si presta a studi interessanti come fenomeno culinario e come esempio di commercio globale in azione, noi siamo, al tasso attuale di uso alimentare, sull’orlo del collasso. Col sushi, in particolare, sembra essere il caso di troppo, troppo rapidamente, troppo facile, troppo economico.

Ed ecco un’interessante conclusione della loro discussione: tra poco la follia americana (e mondiale) per il sushi potrebbe spegnersi, come un veloce e ghiotto blip sullo schermo radar delle tendenze culinarie, dato che la crescente domanda supera di molto la disponibilità mondiale e le poche misure internazionali per proteggere gli oceani fanno ben poco per fermare la pesca eccessiva. Cosicché tra poco non resterà più sushi ma solo qualche alga e il riso appiccicoso (che, per inciso, è proprio quello che oggi significa “sushi”: riso. In realtà sushi non indica il pesce crudo. Ancora una volta, siamo in America. Tutte cose che non significano praticamente niente).

Il fatto è che il sushi non dovrebbe essere così economico e così onnipresente. Come la carne bovina, dovremmo mangiarne molto meno, onore al merito quando lo faremo, trattarlo come la preziosa prelibatezza che è (un punto sottolineato dagli autori, che dicono di cibarsi di sushi crudo solo raramente e in occasioni ben scelte, e perciò di gustarne veramente il sapore). Ma ancora una volta c’è un problema: il mercato libero non ama la moderazione. Non lo rispettiamo, onoriamo e limitiamo. Ce lo mangiamo.

E allora? Dove mettete il vostro limite? Fino a che punto lascerete andare voi stessi e le vostre voglie? Non è più semplice negare tutto, pretendere di essere uno di quei conservatori senza cuore, alzare le spalle e dichiarare che l’economia di mercato calcolerà tutte le conseguenze, dire “chiudi il becco” e ingozzare tutto il pesce, mettere a fuoco tutte le risorse del pianeta, e rapinare tutto quello che vogliamo fino quando non ci sarà più niente? In fin dei conti col petrolio ha funzionato! Ehi, fermiamoci un momento.

Non conosco la risposta. O meglio credo di conoscerla, ma forse la risposta sembra troppo lunga e troppo disperata per non volere invece limitare i miei pasti a base di sushi (cosa che d’altronde incito voi tutti a fare), tenermi informato, sostenere le giuste cause contro la rapina dell’oceano, e mangiare più “burritos”.

Di certo però non quell’orribile pollo industriale, una vigliaccheria di tutt’altro tipo. Quindi magari più alimenti a base di soia tranne, oh santo schifo no, la soia non fermentata è molto dannosa per voi e la soia geneticamente modificata può avvelenare la dieta americana, così forse più… cosa? Cavolo organico? Formaggio di capra? Toast? Cubetti di ghiaccio? Una serie di profonde inspirazioni di aria (inquinata e tossica), e una bella preghiera?

Mark Momford
Fonte: www.sfgate.com/
Link: http://www.sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?f=/g/a/2007/11/21/notes112107.DTL
21.11.07

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

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