Di Sanjay Roy, peoplesdemocracy.in
Ancora una volta, il presidente di L&T ha fatto appello moralista per estendere l’orario di lavoro a novanta ore settimanali, ritornando sulla necessità di allungare la settimana lavorativa a 70 ore proposta da Narayan Murthy lo scorso anno. I lavoratori dovrebbero lavorare di più e preferibilmente la domenica per una maggiore crescita competitiva e scalare le classifiche mondiali.
Questa proposta viene avanzata quando l’India è uno dei Paesi più diseguali al mondo. I capitalisti chiedono sempre un maggiore impegno da parte dei lavoratori, mentre tacciono sulla questione del salario. La quota del salario sui prezzi è diminuita drasticamente negli ultimi tre decenni: i salari reali sono rimasti per lo più stagnanti e a volte sono scesi drasticamente a causa inflazione elevata, con una riduzione ulteriore nel 2022-23 rispetto all’anno precedente. La quota di profitto sul PIL invece è salita alle stelle negli ultimi decenni, il numero dei miliardari è aumentato di molte volte e alcuni ricchi hanno raggiunto standard di vita pari a quelli dei ricchi delle economie avanzate. Alle persone impoverite, soprattutto ai lavoratori, viene chiesto di sacrificarsi ulteriormente per aumentare la ricchezza della classe capitalista!
Il lavoro è la fonte di tutto il nuovo valore creato nella società, ma la quota maggiore del valore viene sottratta da coloro che ottengono profitti non perché dedicano più lavoro fisico o mentale nel processo di produzione. Il loro privilegio di appropriarsi della quota maggiore del valore non deriva dalla loro diligenza o intelligenza, né come ricompensa per l’assunzione di rischi, dato che la maggior parte dei rischi è diffusa e socializzata attraverso i sistemi finanziari, ma solo perché essi, come classe, possiedono i mezzi di produzione.
I lavoratori, invece, sono alienati dai mezzi di produzione, dal processo lavorativo e dai frutti del proprio lavoro, ma sono quelli che dovrebbero essere felici di impegnarsi di più e lavorare più ore per i guadagni dei pochi capitalisti. Quando in un Paese ci sono tanti disoccupati, soprattutto giovani, se c’è bisogno di più lavoro, questi possono essere facilmente impiegati. Ma i capitalisti difficilmente lo preferiscono, perché la nuova occupazione comporta costi incrementali più elevati e se sempre più persone vengono impiegate, aumenta il potere contrattuale dei lavoratori come classe. Ciò che viene sempre sostenuto dai capitalisti in nome dell’etica del lavoro e della diligenza è un aumento del tempo di lavoro per i dipendenti esistenti, contrastando la rivendicazione contro l’aumento dell’orario di lavoro. Quindi, il messaggio di fondo non è che sia necessario un maggiore sforzo lavorativo e che quindi si debbano impiegare più persone, ma piuttosto che l’attuale forza lavoro debba essere spremuta sempre di più per aumentare il plusvalore dei capitalisti.
I lavoratori indiani lavorano più ore
Anche i padroni delle aziende dovrebbero fare i conti con i fatti. Secondo gli ultimi dati dell’ILO (2024), un lavoratore indiano lavora in media 46,74 ore a settimana, collocando l’India al tredicesimo posto nella classifica tra i 170 Paesi del mondo, appena al di sotto di Bangladesh e Pakistan. Il numero più alto di ore lavorate è quello del Bhutan, con 54,44 ore, seguito dagli Emirati Arabi Uniti, che registrano una media di 50,93 ore settimanali. I Paesi in via di sviluppo come Cina, Sudafrica, Brasile, Malesia, Vietnam, Sri Lanka, Cuba, Thailandia e Corea registrano una media di ore lavorative settimanali molto inferiore a quella dell’India. Le ore lavorative medie settimanali dei Paesi sviluppati come Canada (32,24), Paesi Bassi (31,55), Germania (34,24), Regno Unito (35,85), Francia (35,9), Stati Uniti (37,96) e Giappone (36,6) sono molto inferiori a quelle dell’India. Inoltre, l’ILO fornisce anche i dati relativi alla percentuale di lavoratori di un Paese che lavorano 49 o più ore alla settimana. L’India è “orgogliosamente” al secondo posto nell’elenco dei 170 Paesi. Nel caso del Bhutan, la percentuale di lavoratori che lavorano più di 49 ore alla settimana è del 61,3%, mentre il secondo posto spetta all’India con il 51,4%.
I padroni dovrebbero essere già contenti di approfittare della libertà di sfruttare più della metà della loro forza lavoro per orari più lunghi, in una misura che è la seconda al mondo. In realtà, i capitalisti indiani vogliono andare in cima alla competizione globale facendo lavorare i lavoratori più a lungo e pagandoli meno all’ora. Si affidano alla ricetta classica della concorrenza, dove il costo di produzione può essere ridotto riducendo il costo del lavoro. Nella fase iniziale del capitalismo, questa era la strada abituale adottata dalla classe capitalista. Si basava sull’aumento del plusvalore assoluto facendo lavorare i lavoratori più a lungo. I lavoratori ricevono un salario di sussistenza e sono costretti a lavorare più ore, in modo da aumentare la quota di lavoro non retribuito. La classe operaia si è opposta a questa scelta con movimenti in tutta Europa e in America all’inizio del XIX secolo e la giornata lavorativa di otto ore è diventata la norma in molte parti del mondo. In risposta a ciò, la classe capitalista ha spostato l’attenzione dal plusvalore assoluto alla generazione di plusvalore relativo. In parole povere, significa aumentare la produttività dei lavoratori senza aumentare proporzionalmente i loro salari. Quindi i lavoratori produrranno di più, potranno ricevere salari più alti ma in proporzione minore rispetto all’aumento di produttività. Ad esempio, se un lavoratore produce il doppio della produzione senza aumentare le ore di lavoro, utilizzando una nuova tecnologia, ma riceve un salario pari a una volta e mezza quello precedente, allora anche lo sfruttamento aumenta senza aumentare le ore di lavoro e nonostante l’aumento dei salari in termini assoluti.
Tecnologia e orari di lavoro prolungati
I capitalisti dei paesi avanzati hanno sviluppato nuove tecnologie perché non era più possibile imporre orari di lavoro più lunghi. Nei Paesi in via di sviluppo, tra cui l’India, dove la tutela istituzionale dei diritti dei lavoratori è ancora molto debole e copre una piccola parte dell’intera forza lavoro e il resto non ha sostanzialmente alcun potere di contrattazione collettiva, la possibilità di costringere i lavoratori a lavorare più a lungo e con salari bassi continua a essere un’opzione per la classe capitalista. Questo è uno dei motivi per cui la classe capitalista indiana si fa portavoce dell’appello moralista di aumentare l’orario di lavoro settimanale a settanta o novanta ore. Questo è anche uno dei motivi per cui il ritmo dello sviluppo tecnologico nei Paesi in via di sviluppo è più lento, perché abbassare i salari e far lavorare i lavoratori più a lungo sono opzioni percorribili per la classe capitalista per rimanere competitiva. Le imprese indiane spendono una quota molto bassa dei loro ricavi in ricerca e sviluppo rispetto ad altri Paesi in via di sviluppo. La crescita degli investimenti produttivi nel settore delle imprese è diminuita negli ultimi dieci anni e mezzo.
Infine, ci si può chiedere perché le persone dovrebbero lavorare più ore se c’è così tanto sviluppo tecnologico? Il ruolo delle macchine o della tecnologia è principalmente quello di ridurre lo sforzo umano diretto e questo è il segno del progresso. In effetti, nella storia del capitalismo, lo sviluppo della tecnologia è stato molto rapido rispetto al periodo pre-moderno e idealmente avrebbe dovuto ridurre in larga misura l’orario di lavoro medio. Ma, al contrario, sebbene ci troviamo ora nella fase di un nuovo sviluppo tecnologico, le persone devono lavorare in media più ore per far quadrare i conti.
Il paradosso dell’aumento dell’orario di lavoro nonostante lo sviluppo tecnologico è un problema sistemico del capitalismo e non della tecnologia. Le tecnologie e il processo di sviluppo tecnologico sono posseduti e controllati dal capitale. Sono in continua competizione per raggiungere livelli di innovazione più elevati, in modo da poter superare i capitalisti rivali. Questa gara consiste anche nel valorizzare il capitale coinvolto nella nuova tecnologia il più velocemente possibile, prima che la nuova generazione di tecnologia arrivi sul mercato. Pertanto, da un lato l’uso della tecnologia porta allo spostamento di manodopera e alla disoccupazione, dall’altro si cerca continuamente di far lavorare i dipendenti più ore e più a lungo, in modo da poter realizzare il valore del capitale investito il più velocemente possibile.
Se queste tecnologie fossero state di proprietà della società in forma collettiva, il ritmo e l’obiettivo dello sviluppo tecnologico avrebbero potuto essere decisi in base alle esigenze collettive e, cosa più importante, il prodotto sociale sarebbe stato prodotto con un maggior numero di persone impiegate, mentre ciascuno dei lavoratori avrebbe lavorato per un numero di ore molto inferiore utilizzando le nuove tecnologie. Aumentare il tempo libero per un impegno umano creativo di propria scelta è un segno di progresso, piuttosto che lavorare più ore solo per soddisfare lo stretto necessario.
Di Sanjay Roy, peoplesdemocracy.in
26/01/2025
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare