DAHR JAMAIL AL 2 E 7 TRA LE NOTIZIE PIU' CENSURATE DEL 2005

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Project Censored ha citato Dahr Jamail al 2. e 7. posto fra le notizie più importanti che i media mainstream hanno ignorato

Project Censored è un gruppo di ricerca sui media che segue le notizie pubblicate su giornali e newsletter indipendenti e stila ogni anno una lista di 25 nuove storie di rilievo sociale che sono state trascurate, sminuite o autocensurate dai maggiori media nazionali del paese. La lista è pubblicata annualmente su un libro.
Il libro di quest’anno, intitolato “Censurati 2006”, evidenzia il lavoro di Dahr Jamail che ha contribuito alla notizia numero 2 (Media Coverage Fails on Iraq: Fallujah and the Civilian Death Toll) e alla numero 7 (Journalists Face Unprecedented Dangers to Life and Livelihood) fra le storie più rilevanti che i media mainstram hanno ignorato nell’ultimo anno.

La top ten annuale di Project Censored è stata largamente pubblicata per tutto il globo. Per i giornalisti citati, essere inclusi nella top ten singnifica sia un grande onore, sia una grandiosa opportunità per aumentare il numero dei loro lettori.

Ed è un onore anche maggiore essere considerati per due delle dieci storie più significative.

Il libro del 2006 comprende anche un capitolo su diversi siti web di Dahr Jamail.

Più in basso le storie che hanno ottenuto il secondo e il settimo posto.

Un eccellente sommario di queste dieci notizie così come il background di Project Censored si possono leggere qui:

http://www.truthout.org/docs_2005/090805S.shtml
Il filmato del recente discorso di Dahr che è stato organizzato e al quale ha partecipato Project Censored si può vedere qui:

http://dahrjamailiraq.com/multi_media/Dahr_Jamail_Sonoma_State_Project_Censored_4_10_2005.html

Numero 2 Fallisce la copertura mediatica dell’Iraq: Falluja e il numero delle vittime civili)

1. Parte: Falluja – Mancata segnalazione di crimini di guerra

Fonti:

Peacework, dicembre 2004 – gennaio 2005
Titolo: “The Invasion of Fallujah: A Study in the Subversion of Truth” (L’invasione di Falluja: uno studio sul sovvertimento della verità)
Autori: Mary Trotochaud and Rick McDowell
World Socialist Web Site, 17 novembre 2004
Titolo: “US Media Applauds Destruction of Fallujah” (I media americani applaudono la distruzione di Falluja)
Autore: David Walsh

The NewStandard, 3 dicembre 2004
Titolo: “Fallujah Refugees Tell of Life and Death in the Kill Zone” – (I rifugiati di Falluja raccontano la vita e la morte nelle zone attaccate)
http://www.dahrjamailiraq.com/hard_news/archives/hard_news/000145.php
Autore: Dahr Jamail

Esaminatori della facoltà: Bill Crowley, Ph.D., Sherril Jaffe, Ph.D.
Studente ricercatore: Brian K. Lanphear

Negli ultimi due anni gli Stati Uniti hanno condotto due violenti assedi contro Falluja, una città in Iraq. Il primo tentativo di assedio di Falluja (una città di 300.000 abitanti) si è concluso in una sconfitta per le forze della coalizione. Il risultato è stato che gli Stati Uniti hanno dato agli abitanti di Falluja due possibilità prima del secondo assedio: lasciare la città o rischiare di morire come insorgenti nemici. Di fronte a questo ultimatum, circa 250.000 cittadini, o l’83 percento della popolazione di Falluja, ha abbandonato la città. Queste persone non sapevano dove scappare e hanno fatto la fine di rifugiati. Molte famiglie sono state costrette a sopravvivere nei campi, su terreni sfitti e in edifici abbandonati, senza accesso ad un riparo, ad acqua, elettricità, cibo o cure mediche. I 50.000 abitanti che avevano deciso di rimanere in città, o che non avevano potuto lasciarla sono rimasti intrappolati dalle forze della coalizione, e gli sono stati tagliati cibo, acqua e rifornimenti medici. L’esercito statunitense ha sostenuto che ci fossero qualche migliaia di insorgenti nemici rimasti tra coloro che non avevano lasciato la città, e l’hanno invasa come se tutte le persone rimaste fossero nemici combattenti.

Burhan Fasa’a, un giornalista iracheno, ha detto che fra gli americani cresce facilmente la frustrazione verso gli iracheni che non sanno parlare inglese. “Gli americani non avevano interpreti a loro seguito, così sono entrati nelle case e hanno ammazzato delle persone solo perché non parlavano inglese. Sono entrati in una casa dove stavo con 26 persone e ne hanno uccise alcune, perché [le persone] non obbedivano ai loro [dei soldati] ordini, anche per il semplice fatto che queste persone non capivano neanche una parola di inglese” Abu Hammad, un abitante di Falluja, ha raccontato all’Inter Press Service di aver visto alcune persone cercare di attraversare a nuoto l’Eufrate per salvarsi dall’assedio. “Gli americani dalla riva gli hanno sparato con dei fucili. E anche se alcuni di loro tenevano in mano una bandiera bianca, o si erano messi dei vestiti bianchi in testa per far vedere che non erano combattenti, sono stati tutti uccisi”. Inoltre, “sono stati uccisi anche i feriti. Gli americani avevano avvisato le persone di andare in una moschea se volevano lasciare Falluja, e anche chi portava una bandiera bianca è stato ammazzato“. Gli ex abitanti di Falluja ricordano altri tragici metodi per uccidere i feriti. “Li ho visti [le forze USA] investire feriti per strada con i carri armati… È successo moltissime volte.”

Le prime stime del dicembre 2004 parlavano di almeno 6000 cittadini iracheni uccisi a Falluja, e di un terzo della città era stata distrutta.

I giornalisti Mary Trotochaud e Rick McDowell sostengono che il massacro continuo a Falluja stia contribuendo enormemente all’escalation di violenza in altre regioni del paese come Mosul, Baquba, Hilla, e Baghdad. La violenza provocata dalll’invasione statunitense ha provocato l’assassinio di almeno 338 iracheni che lavoravano per il “nuovo” governo dell’Iraq.

L’invasione americana del paese, e Falluja soprattutto, sta causando un disastro umanitario incredibile fra coloro che non sono direttamente coinvolti nella guerra. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa il 23 dicembre 2004 ha raccontato che tre delle centrali di purificazione dell’acqua della città sono state distrutte e la quarta fortemente danneggiata. I civili stanno finendo il cibo e non possono ricevere aiuti da chi vorrebbe migliorare la situazione. L’accesso alla città, agli ospedali e ai rifugiati nelle aree circostanti è stato ripetutamente negato alle organizzazioni umanitarie.

Abdel Hamid Salim, portavoce della Mezzaluna Rossa a Baghdad, ha raccontato all’Inter Press Service che nessuno dei membri delle sue squadre di soccorso ha ricevuto l’autorizzazione per entrare a Falluja tre mesi dopo l’invasione. Salim ha dichiarato che “a Falluja ci sono ancora dei violenti combattimenti e gli americani non ci lasciano entrare per farci aiutare le persone’.

L’Alto Commissario per i Diritti Umani alle Nazioni Unite, Louise Arbour, ha espresso profonda preoccupazione per i civili raggiunti dal conflitto. Louise Arbour sottolinea che tutti coloro che sono colpevoli di aver violato le leggi sui diritti umani e umanitari internazionali deve essere consegnato alla giustizia. La Arbour sostiene che tutte le violazioni di queste leggi dovrebbero essere indagate, includendo “gli attacchi che hanno come obiettivo intenzionale i civili, le offensive indiscriminate e sproporzionate, l’uccisione di persone ferite e l’uso di scudi umani’.

Marjorie Cohn, vicepresidente esecutivo della National Lawyers Guild (associazione nazionale degli avvocati), e il rappresentante statunitense del comitato esecutivo dell’ American Association of Jurists (Associazione Americana di Giuristi), ha notato che l’invasione americana di Falluja è una violazione del diritto internazionale specificaemente apporovato dagli stessi Stati Uniti: ‘[Le forze USA] hanno attaccato e occupato il policlinico di Falluja e non hanno permesso né ai dottori né alle ambulanze di entrare nella zona principale della città per aiutare i feriti, violando apertamente la Convenzione di Ginevra.

Secondo David Walsh, sembra che anche i media americani contribuiscano al sovvertimento della verità a Falluja. Nonostante in molti casi sia stato proibito ai giornalisti di entrare in città e gli venga negato l’accesso ai feriti, i mass media hanno mostrato di non preoccuparsi troppo di questo accesso negato. Si è parlato pochissimo, quando se ne è parlato, dell’immoralità o della legalità degli attacchi che gli Stati Uniti hanno hanno sferrato contro l’Iraq. Con pochi giornalisti indipendenti che riferiscono della carneficina, la comunità umanitaria internazionale in esilio e la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa a cui è proibito l’ingresso nella città assediata, il mondo è costretto a fare affidamento su ciò che viene riportato dai giornalisti aggregati alle forze statunitensi. Nella stampa americana vediamo riportate le vittime nel modo seguente: numero di soldati USA morti, numero di soldati iracheni morti, numero di “ribelli” o “insorgenti” morti. Nelle prime settimane di invasione le vittime civili non erano riportate da nessuna parte. I media istituzionali tuttora devono ancora pubblicare una stima accurata delle vittime civili.

2. Parte: Ignorato il numero di vittime civili

Fonti:

The Lancet, 29 ottobre 2004
Titolo: “Mortality Before and After the 2003 Invasion of Iraq” (Mortalità prima e dopo l’invasione dell’Iraq del 2003)
Autori: Les Roberts, Riyadh Lafta, Richard Garfield, Jamal Khudhairi and Gilbert Burnham

The Lancet, 29 ottobre 2004
Titolo: “The War in Iraq: Civilian Casualties, Political Responsibilities” (La guerra in Iraq: vittime civili, responsabilità politiche)
Autore: Richard Horton

The Chronicle of Higher Education (Cronaca dell’educazione superiore), 4 febbraio 2005
Titolo: “Lost Count” (Si è perso il conto)
Autore: Lila Guterman

FAIR, aprile 15, 2004
Title: “CNN to al-Jazeera: Why Report Civilian Deaths?” (La CNN ad al-Jazeera: perché riportare i morti civili?)
Author: Julie Hollar
Esaminatore della facoltà: Sherril Jaffe, Ph.D.
Studente ricercatore: Melissa Waybright


Alla fine dell’ottobre 2004, The Lancet, una rivista medica inglese, ha pubblicatuo uno studio valutato da esperti, giungendo alla conclusione che da quando l’Iraq nel marzo del 2003 è stato invaso dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, sono stati uccisi almeno 100.000 civili. In precendenza il numero degli iracheni morti a causa del conflitto o delle sanzioni a partire dalla Guerra del Golfo del 1991 era incerto. Le dichiarazioni in merito spaziano dalla smentita di un aumento della mortalità all’affermazione che ci siano stati milioni di morti in eccesso. In assenza di qualsiasi indagine, comunque, si è fatto affidamento sui dati del Ministero della Salute.

Dati raccolti dagli obitori indicato che il tasso di omicidi postinvasione è estremamente più alto di quello preinvasione.

Nell’attuale contesto di insicurezza e di disponibilità limitata di informazioni mediche, un gruppo di ricercatori diretti dal Dr. Les Roberts della Johns Hopkins University, ha svolto un’indagine nazionale per fare una stima della mortalità nei 14,6 mesi precedenti l’invasione (dal 1 gennaio 2002 al 18 Marzo 2003) e per confrontarla con il periodo che va dal marzo 2003 alla data dell’intervista, tra l’8 e il 20 settembre 2004. Le famiglie irachene sono state infomate dello scopo di questa indagine ed è stato loro assicurato che il loro nome non sarebbe stato registrato e che non ci sarebbero stati né benefici, né ripercussioni per chi avesse rifiutato o accettato di partecipare.

L’indagine rivela che il numero di morti conseguenti all’invasione e all’occupazione dell’Iraq in realtà si aggira intorno alle 100.000 persone, e potrebbe essere anche molto maggiore. La violenza è stata indentificata come il principale problema della salute pubblica in Iraq, però, nonostante le numerose vittime irachene, i dati raccolti con le interviste alle famiglie non evidenziano diffuse violazioni da parte di singoli soldati a terra.

Il novantacinque percento delle uccisioni riportate (attribuite tutte dagli intervistati alle forze statunitensi) sono state causate dagli elicotteri da combattimento, dai missili o da altre forme di armi aeree.

Lo studio è stato pubblicato alla vigilia di una controversa elezione presidenziale – in parte combattuta sulla politica USA in Iraq. Molti giornali americani e notiziari televisivi hanno ignorato lo studio o lo hanno relegato ben lontano dai titoli principali. “Cos’è che non ha funzionato questa volta? Forse la fretta dei ricercatori e di The Lancet di mostrare agli elettori americani questo studio prima che le elezioni ottenessere esattamente il risultato opposto, coprendo un valido studio col clamore della campagna presidenziale”. (Lila Guterman, Chronicle of Higher Education).

I risultati dello studio hanno prontamente inondato i media di tutto il mondo, tranne quelli degli Stati Uniti, dove c’è stato solo un misero sussurro sullo studio, seguito da un desolato silenzio. “The Lancet ha pubblicato il documento il 29 ottobre, il venerdì prima delle elezioni, quando molti giornalisti erano occupati dalle vicende politiche. Quel giorno il Los Angeles Times e il Chicago Tribune hanno dedicato allo studio solo circa 400 parole ciascuno, e non hanno pubblicato le storie in prima pagina, ma rispettivamente a pagina A4 e A11. (I media in Europa hanno dato decisamente più rilievo allo studio; molti giornali ne hanno parlato in prima pagina).

In un breve articolo sullo studio a pagina A8, il New York Times ha fatto notare che Iraqi Body Count, un progetto per tenere il conto dei morti civili riportati sui media, aveva stimato come numero massimo 17.000 vittime. Il nuovo studio, diceva l’articolo, “provocherà sicuramente accese controversie”, ma il Times non ha pubblicato nessun altro articolo su questo documento. Il Washington Post, ha citato le parole di Marc E. Garlasco, probabilmente danneggiando più che altro la reputazione dello studio, “Queste cifre sembrano gonfiate”. Garlasco ora dice che a quei tempi non aveva letto il documento e definisce “davvero infelici” le sue parole citate sul Post. (Lila Guterman, Chronicle of Higher Education).

Ciononostante, nessun altro media istituzionale si è preoccupato di riprendere la notizia e di informare i nostri cittadini sul numero di iracheni uccisi per mano di una coalizione guidata dal nostro governo. Lo studio non è stato mai menzionato nei telegiornali, e la verità resta inascoltata da coloro che più di ogni altro dovrebbe ascoltarla. Il governo USA ai tempi non ha commentato e non ha fiatato sulle morti di civili iracheni.

“Le uniche cifre che di cui teniamo il conto sono le vittime delle truppe americane e di civili”, ha detto a The Chronicle un portavoce del Dipartimento della Difesa.

Quando Daryn Kagan, áncora di salvezza della CNN, ha avuto l’opportunità di intervistare Ahmed al-Sheik, redattore capo della rete Al Jazeera, – una rara opportunità per avere informazioni indipendenti sugli eventi a Falluja – ha sfruttato l’occasione per assilare al-Sheik sulla questione se i civili usccisi fossero davvero “la notizia” di Falluja. L’argomento della CNN era che, rispetto alle morti dei civili fosse più allarmante la notizia di “quello che stanno facendo gli insorgenti iracheni” per provocare una “risposta” da parte degli USA. “Quando gli articoli scritti sul luogo descrivono centinaia di civili uccisi dalle forze americane, la CNN dovrebbe guardare i filmati di Al Jazeera per vedere se avvalorano questi racconti – e non assillare il redattore di Al Jazeera sul perché non elimini questo filmato.” (MediaWatch, Asheville Global Report.)

I ricercatori che hanno condotto lo studio hanno concluso che esistono alcune limitazioni nella loro ricerca, principalmente perché la qualità dei dati raccolti dipende dall’accuratezza delle interviste. Però, gli intervistatori erano certi che in base a determinate caratteristiche fondamentali della cultura irachena, fosse inverosimile che i partecipanti potessero aver inventato il loro resoconto dei morti. La Convenzione di Ginevra dà direttive chiare sulle responsabilità degli eserciti occupanti nei confronti della popolazione civile che tengono sotto controllo. “Col beneficio ammesso del giudizio a posteriori, e da un punto di vista puramente sanitario, è chiaro che qualsiasi pianificazione ci sia stata è stata atrocemente sbagliata. L’invasione dell’Iraq, l’eliminazione di un crudele dittatore e il tentativo di imporre una democrazia liberale con la forza, sono stati di per se stessi insufficienti per portare la pace e la sicurezza alla popolazione civile.

Le tattiche illegali e oppressive utilizzate dall’esercito USA in Iraq e messe in evidenza in queste notizie sono diventate quello che pare essere la sua procedura standard di azione nell’Iraq occupato. Durante il massacro dello scorso novembre a Falluja sono state compiute innumerevoli violazioni delle leggi internazionali e crimini contro l’umanità.

Comprovata dal massacro in massa degli iracheni e dall’uso di armi illegali tipo le cluster bomb, il napalm, le munizioni all’uranio e le armi chimiche nell’assedio di novembre a Falluja, quando l’intera città è stata dichiarata dai capi militari “zona nella quale si può sparare liberamente” la brutalità dell’esercito americano è solamente aumentata in tutto l’Iraq mentre l’occupazione continua ad oltranza.

Secondo gli iracheni dentro la città, almeno il 60 percento di Falluja è stata totalmente distrutta durante l’assedio, e otto mesi dopo, interi quartieri della città erano ancora senza elettricità o acqua. Nella città sono stati piazzati checkpoint stile israeliano, impedendo l’accesso a chiunque non viva in città.

Aggiornamento: Da quando sono state pubblicate queste notizie sono accaduti innumerevoli altri incidenti in cui l’esercito americano ha utilizzato armi e tattiche illegali in Iraq.

Durante l’operazione ”Spear” il 17 giugno 2005 alcune forze guidate dagli Stati Uniti hanno attaccato le cittadine di al-Qa’im e Karabla vicine al confine siriano. Gli aerei da guerra americani hanno sganciato 2.000 libbre (circa 907 kg) di bombe su aree residenziali affermando di aver ucciso un grande numero di “militanti” mentre la gente del posto e i medici sostengono che siano stati uccisi soltanto civili.

Come a Falluja ai residenti è stato negato l’accesso alla città per ottenere assistenza medica, mentre quelli rimasti all’interno della città hanno affermato che i civili iracheni sono stati regolarmente presi di mira dai cecchini americani.

In base ad un servizio dell’IRIN (agenzia di stampa integrata regionale delle Nazioni Unite), Firdos al-Abadi della Mezzaluna Rossa irachena ha affermato che 7.000 abitanti di Karabla si erano accampati nel deserto fuori dalla città, patendo mancanza di cibo e di assistenza medica, mentre 150 case erano state completamente distrutte dall’esercito USA.

Lo stesso giorno un dottore iracheno ha raccontato di essere stato testimone di “crimini nella zona occidentale del paese… le truppe americane hanno distrutto uno dei nostri ospedali, hanno bruciato tutte le riserve di medicinali, hanno ucciso un paziente in corsia… ci hanno impedito di aiutare le persone a Qa’im”.

Come a Falluja un medico del policlinico di al-Qa’im dichiara che intere famiglie sono rimaste sepolte sotto le macerie delle loro case, ma il personale medico non era stato in grado di raggiungerle a causa dei cecchini americani.

I civili iracheni ad Haditha hanno vissuto simili esperienze durante l’operazione ”Open Market” ed hanno affermato che i cecchini americani hanno sparato per giorni e giorni a chiunque fosse per strada, e le forze USA e irachene hanno fatto incursioni nelle case senza permettere agli uomini di uscire.

I mass media hanno annunciato la “liberazione” di Falluja, ed hanno anche citato fonti militari per quanto riguarda il numero di “militanti” uccisi. Qualsiasi accenno alle vittime civili, alle tattiche violente o alle munizioni illegali è stato minimo, o inesistente e continua ad essere così dal giugno 2005.

Per ulteriori informazioni: Coloro che fossero interessati a seguire queste storie, è possibile ottenere informazioni visitando il sito inglese di al-Jazeera su http://english.aljazeera.net/HomePage, il mio sito su http://www.dahrjamailiraq.com, The World Tribunal on Iraq (Il Tribunale Mondiale sull’Iraq) su http://www.worldtribunal.org, Peacework Magazine su http://www.afsc.org/pwork/0412/041204.htm e altri siti alternativi/indipendenti di informazione.

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Numero 7 La vita e la sussistenza dei giornalisti sono in pericolo come mai prima d’ora

Fonti:

www.truthout.org, 28 febbraio 2005
Titolo: “Dead Messengers: How the US Military Threatens Journalists” (Messaggeri di morte: in che modo l’esercito USA minaccia i giornalisti)
Autore: Steve Weissman
http://www.truthout.org/docs_2005/022405A.shtml

Titolo: “Media Repression in ‘Liberated’ Land” (Repressione dei media in un paese ‘liberato’) –
http://www.dahrjamailiraq.com/hard_news/archives/hard_news/000124.php

InterPress Service, 18 novembre 2004
Autore: Dahr Jamail
http://www.ipsnews.net/interna.asp?idnews=26333

Esaminatore della Facoltà: Elizabeth Burch, Ph.D.
Studente ricercatore: Michelle Jesolva

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Secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), a partire dal 1980, anno nel quale si è cominciato a tenerne il conto, il 2004 è stato l’anno con il maggior numero di decessi fra i giornalisti. In un periodo di 12 mesi, sono stati uccise 129 persone che lavoravano per i media e 49 di queste morti sono avvenute nel conflitto iracheno. In base a quanto riportato dal giornalista indipendente Dahr Jamail, sono sempre di più i giornalisti che vengono detenuti e minacciati dal governo provvisorio instaurato dagli USA in Iraq. Se l’unica salvezza per un reporter è di aggregarsi all’esercito USA, le notizie riportate tendono ad avere un’interpretazione positiva. I reporter non aggregati, invece, corrono il grave rischio di essere identificati dall’esercito come obiettivi nemici.

L’attacco più eclatante contro i giornalisti è accaduto la mattina dell’8 aprile 2004, quando la terza divisione di fanteria ha fatto fuoco contro l’hotel Palestine a Bagdad, uccidendo i cameraman Jose Couso e Taras Protsyuk e ferendone altri tre. L’albergo serve da base a circa 100 giornalisti ed altri operatori mediatici. I funzionari del pentagono sapevano che l’hotel Palestine era pieno di giornalisti ed aveva assicurato all’Associated Press che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato l’edificio. Secondo Truthout, l’esercito si è rifiutato di pubblicare i risultati della sua indagine. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, creato nel 1981 con lo scopo di proteggere i colleghi in trasferta dai governi e altri che non hanno la possibilità di usufruire di media liberi ed indipendenti, ha avviato la richiesta ai sensi del Freedom of Information Act per costringere l’esercito a pubblicare i suoi risultati. La copia ritoccata dei risultati pubblicabili non conteneva altro che un’inchiesta sul comandante.

Insoddisfatti dell’indagine condotta dall’esercito USA, Reporter Senza Frontiere, un’organizzazione internazionale che lavora per migliorare la sicurezza legale e fisica dei giornalisti nel mondo, ha condotto una propria ricerca. Hanno raccolto le testimonianze dei giornalisti all’hotel Palestine nel periodo degli attacchi. Erano racconti di testimoni oculari che l’esercito aveva omesso nella sua relazione. Il rapporto di Reporter Senza Frontiere ha fornito anche informazioni divulgate da altri aggregati all’interno delle forze statunitensi, inclusi soldati e ufficiali americani direttamente coinvolti nell’attacco. In base al documento, gli ufficiali statunitensi hanno prima mentito su quello che era successo durante l’attacco all’hotel Palestine e poi, in una dichiarazione ufficiale quattro mesi dopo, hanno assolto l’esercito USA da qualsiasi sbaglio o errore di valutazione. L’inchiesta ha svelato che i soldati sul campo non sapevano che l’albergo fosse pieno di giornalisti. Olga Rodriguez, una giornalista che era all’hotel Palestine durante l’attacco, ha affermato nel programma Democracy Now! di radio KPFA che 36 ore prima del fuoco, i soldati e i carri armati erano già all’albergo e che avevano addirittura comunicato coi militari.

Ci sono stati anche diversi attacchi inconsueti contri i giornalisti, compresi quelli del:
22 marzo 2003: Terry Lloyd, un reporter della stazione televisiva britannica ITN, è stato ucciso mentre il convoglio nel quale viaggiava stava entrando in Iraq dal Kuwait. Il cameraman francese Frederic Nerac e l’interprete libanese Hussein Osman, entrambi nel convoglio sono scomparsi con lui.

Giugno 2003: Secondo Dahr Jamail, pochi giorni dopo il passaggio del potere al governo provvisorio iracheno nel 2003, al-Jazeera è stata accusata di aver riportato in maniera inaccurata le notizie e le è stato proibito per un mese di fare servizi sull’Iraq. L’interdizione poi è stata estesa a tempo “indeterminato” e il governo ad interim ha annunciato che qualsiasi giornalista di al-Jazeera fosse stato trovato a mandare notizie dall’Iraq, sarebbe stato arrestato. Corentin Fleury, un fotografo freelance, e il suo interprete Bahktiyar Abdulla Hadad, sono stati arrestati dall’esercito USA mentre stavano lasciando Falluja prima che cominciasse l’assedio della città. Entrambi sono stati trattenuti in una struttura detentiva fuori dalla città e sono stati interrogati sulle foto che stavano facendo di Falluja martoriata dalle bombe. Fleury è stato rilasciato dopo cinque giorni, ma il suo interprete, Bahktiyar Abdulla Hadad, è rimasto prigioniero.

8 aprile 2004: Lo stesso giorno dell’attacco all’hotel Palestine, scrive Truthout, gli americani hanno bombardato la sededi Baghdad di Abu Dhabi TV e al-Jazeera mentre si stavano preparando per andare in onda, uccidendo il corrispondente di al-Jazeera Tariq Ayyoub. 17 agosto 2004: Mazen Dana è stato ucciso mentre stava filmando (munito di permesso) una prigione, sorvegliata dall’esercito USA in un quartiere alla periferia di Baghdad. Afferma Steve Weissman di Truthout che il Pentagono ha rilasciato una dichiarazione un mese dopo, sostenendo che le truppe avevano agito in tutto rispetto delle regole d’ingaggio.

4 marzo 2005: Nicola Calipari, uno dei funzionari di più alto rango dei servizi segreti italiani è stato colpito a morte dalle truppe statunitensi. Era in macchina con la giornalista italiana Guiliana Sgrena, che era appena stata liberata dalla prigionia e stava andando all’aeroporto di Baghdad. La Sgrena è spopravvissuta. In un’intervista con Amy Goodman a Democracy Now! di radio KPFA ha affermato che le truppe “ci hanno sparato senza alcun preavviso, o intenzione o tentativo di fermarci prima” e sembra che abbiano sparato dietro la macchina.

In ogni caso, sono state fatte poche ricerche, i risultati non sono stati pubblicati e tutti i soldati coinvolti sono stati assolti.
Al Forum Mondiale dell’Economia, un cartellone era intitolato: “Riuscirà la democrazia a sopravvivere ai media?” Eason Jordan, capo delle news alla CNN, ha commentato che i comandanti americani hanno incoraggiato l’ostilità nei confronti dei media e non sono riusciti a proteggere i giornalisti, soprattutto coloro che hanno scelto di non aggregarsi al controllo militare. Secondo Truthout, durante una discussione sul numero dei giornalisti uccisi nella guerra in Iraq, Jordan ha dichiarato che conosceva 12 giornalisti che non erano solamente stati uccisi dalle truppe USA, ma che loro erano proprio i bersagli, e ha insistito sul fatto che i soldati americani hanno deliberatamente sparato ai giornalisti. Dopo il forum ha ritrattato la sua dichiarazione e, dopo 23 anni alla CNN, è stato costretto a dare le dimissioni.

In quanto a dottrina militare, l’esercito statunitense domina, a tutti i costi, qualsiasi elemento della battaglia, compresa la nostra percezione di quello che fanno. Il bisogno di controllo porta il Pentagono a spingere i giornalisti ad aggregarsi all’esercito, in modo che possano andare dove gli si dice, girare filmati e raccontare le notizie solo dal punto di vista proamericano. Il Pentagono offre moltissima protezione ai giornalisti embedded. Per come la vede il Pentagono, occhi ed orecchie non embedded non hanno nessuna utilità militare e, a meno che il Congresso e il popolo americano non lo fermi, l’esercito continuerà a prendere di mira i giornalisti indipendenti. Ammiragli e generali vedono il mondo in un modo, i reporter in un altro, lo scontro provoca la morte di troppi giornalisti.

Aggiornamento di Steve Weissman: Quando il responsabile di Truthout Marc Ash qualche mese fa mi ha chiesto di investigare sull’uccisione di giornalisti da parte del Pentagono, molti reporter credevano che l’esercito li stesse prendendo di mira di proposito. Ma come presto ho potuto constatare il crimine era più sistematico e sotto molti aspetti peggiore. Per quanto chiunque possa aver dimostrato finora, nessun ufficiale comandante ha mai ordinato esplicitamente ad un subordinato di fare fuoco sui giornalisti. Non all’hotel Palestine di Baghdad nell’aprile 2003 né al checkpoint di Baghdad, dove nel marzo 2005 i soldati hanno ferito la giornalista italiana Giuliana Sgrena e hanno ucciso l’agente dei servizi segreti che la proteggeva. E nemmeno altrove in Iraq o in Afghanistan.

Quindi come ha potuto l’esercito USA arrivare ad uccidere i giornalisti?
Tutto è cominciato con una semplice decisione – il rifiuto assoluto del Pentagono di assumersi qualsiasi responsabilità sulla vita dei giornalisti che lavorano in modo indipendente, invece di aggregarsi nelle unità militari britanniche o americane. Nonostante le ripetute richieste da parte della Reuters ed altre importanti agenzie stampa, i funzionari del Pentagono continuano a rifiutare di intraprendere i passi necessari per ridurre le minacce ai giornalisti indipendenti:

1. L’esercito deve essere costretto a rispettare il lavoro che fanno i giornalisti indipendenti, proteggerli dove è possibile, e addestrare i soldati a riconoscere le ovvie differenze tra un lanciarazzi e una telecamera.

2. I comandanti devono trasmettere informazioni sulla posizione dei giornalisti con un ordine diretto di non sparare contro di loro.

3. Se i soldati uccidono dei giornalisti, il Pentagono deve riternerli responsabili, cosa che per ora nessuna indagine militare ha mai fatto.

4. Quando i militari cercano di escludere i giornalisti con la forza o di impedire l’”informazione ostile” sulle loro operazioni, come la distruzione di Falluja, il Congresso e i media devono intervenire e costringere il Pentagono a ritirarsi.

Esiste poi un altro problema al quale bisogna rivolgere urgentemente l’attenzione. L’intelligence militare tiene regolarmente sotto controllo gli apparecchi che usano i reporter per trasmettere i loro articoli e comunicarli via telefono satellitare. Ma come ha scoperto Nik Gowing della BBC, gli esperti di inteligence elettronica non fanno nessuno sforzo per fare una distinzione tra le comunicazioni giornalistiche e quelle delle forze nemiche. Tutto quello che fanno le apparecchiature di controllo è di osservare il traffico elettronico tra gli apparecchi che trasmettono dati che tengono sotto controllo e i nemici noti.

Dal punto di vista di Gowing, questo ha portato gli americani ad ordinare un attacco missilistico contro la sede di Kabul della rete televisiva araba Al Jazeera, i giornalisti della quale avevano contatti regolari con i talebani come parte della loro copertura giornalistica.

Fino ad oggi, né il Congresso, né l’esercito hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare per proteggere i giornalisti unembedded e le informazioni che forniscono. In modo ancora più vergognoso i mass media continuano a sminuire la storia.

Ma per coloro che lo desiderano, è possibile accedere all’informazione.

Note

1. www.ifj.org.
2. “Missing ITN Crew May Have Come Under ‘Friendly Fire,'” www.guardian.co.uk/Iraq/ Story/0,2763,919832,00.html, 23 marzo 2003.
3. Democracy Now! 23 marzo 2005, “Wounded Spanish Journalist Olga Rodriguez Describes the US Attack on the Palestine Hotel that Killed Two of Her Colleagues”.
4. Democracy Now! 27 aprile 2005, “Giuliana Sgrena Blasts US Cover Up, Calls for US and Italy to Leave Iraq.”

Data: 18 settembre 2005

Fonte: Dahr Jamail’s Iraq Dispatches

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Traduzione dall’inglese a cura di OLIMPIA BERTOLDINI per www.comedonchisciotte.org

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