DAGLI DALL’EGITTO! CHI C’E’ DIETRO AMNESTY INTERNATIONAL E GLI EX-LC CHE INVOCANO LA LINEA DURA SUL CASO REGENI ?

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DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

È trascorso un mese dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni alla periferia del Cairo e nuovi elementi sono emersi nel frattempo, corroborando la nostra tesi che dietro il rapimento ed il barbaro assassinio del giovane ricercatore si nascondesse un’operazione clandestina di quei servizi interessati a danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto: gli stessi cinici servizi angloamericani con cui Regeni era in contatto. Nonostante gli sforzi diplomatico-politici per compromettere le relazioni, il 21 febbraio l’ENI ha completato con le autorità egiziane l’iter autorizzativo per lo sfruttamento del maxi-giacimento Zohr: quasi in concomitanza è partita una seconda campagna mediatica, che invoca la linea dura contro il Cairo e chiede il congelamento degli investimenti dell’ENI. A guidarla, oltre la Repubblica di Carlo De Benedetti, è Amnesty International, coadiuvata da un nutrito stuolo di politici ed intellettuali che hanno in comune un passato in Lotta Continua. C’è un nesso? E se sì, quale?

Regeni tradito dai circoli della Oxford Analytica

A distanza di un mese dal rinvenimento del corpo di Giulio Regeni, sono emerse informazioni sufficienti per integrare la nostra prima analisi, pubblicata a caldo: le novità intercorse non scalfiscono l’impianto analitico, ma, al contrario, lo irrobustiscono. Elementi dell’inchiesta, sfaccettature del profilo di Regeni prima sconosciute, sviluppi dei rapporti commerciali tra Roma ed il Cairo, reazioni di un certo tipo di stampa, confermano le conclusioni cui eravamo giunti quando il cadavere del giovane ricercatore era stato appena rinvenuto, le ipotesi erano le più disparate ed il fragore mediatico, alimentato ad hoc, più assordante che mai.

Giulio Regeni, è ormai assodato, ruotava (anche se il suo inquadramento formale è, e probabilmente resterà, sconosciuto) nella galassia dei servizi d’informazione angloamericani, più che mai desiderosi di rovesciare l’ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi, per proseguire i disegni di destabilizzazione/balcanizzazione della regione ed ostili a qualsiasi iniziativa di chi, come l’Italia, ha l’interesse contrario a consolidare il quadro politico, per motivi di sicurezza e commerciali: l’omicidio del giovane dottorando friulano si colloca proprio su questa linea di faglia, che divide italiani ed angloamericani.

Regeni, che al Cairo era in contatto con il milieu politico che Londra e Washington adoperano abitualmente per fomentare le rivoluzioni colorate, è stato rapito, torturato ed ucciso su mandato degli stessi servizi atlantici con cui era in contatto, così da compromettere le relazioni italo-egiziane, proprio quando la scoperta dell’enorme giacimento gasifero da parte dell’ENI rilanciava il ruolo di Roma nella regione ed imprimeva una svolta all’economia del Cairo, assetato di crescita per normalizzare la precaria situazione interna.

Sin da subito, le sue frequentazioni dell’università di Cambridge, dell‘American University al Cairo, dei sindacati e degli attivisti politici più ostili alla presidenza di Al-Sisi e, dulcis in fundo, la sua collaborazione con il Manifesto, quotidiano da cui partono sovente duri attacchi contro il “regime egiziano” e da sempre in odore di NATO, avevano indotto a pensare che il giovane ricercatore friulano fosse legato al mondo dei servizi angloamericani: sospetta era anche stata l’immediata smentita dei servizi italiani che ci fosse qualche collegamento con Giulio Regeni1, quasi a dire: “sì, era del giro, ma non del nostro”.

Oggi, si posseggono più informazioni per completare il profilo del dottorando.

Nel Regno Unito da una decina di anni, dopo una laurea in lingua araba e società mussulmana2 all’università di Leeds, Regeni sbarca nel 2011 all’università di Cambridge per un master di taglio economico e, attraverso i canali della facoltà, trascorre un primo periodo lavorativo al Cairo, presso gli uffici delle Nazioni Unite3. A questo punto (ed il merito della scoperta va imputato al quotidiano La Stampa, con l’articolo del 16 febbraio “Regeni a Londra lavorò per un’azienda d’intelligence4, senza il quale gli inglesi avrebbero taciuto sul particolare), Regeni collabora per un anno con la società angloamericana Oxford Analytica, una delle innumerevoli ramificazioni privatistiche dei servizi d’informazione atlantici. È sufficiente una rapida occhiata al sito, per rendersi conto che la Oxford Analytica è la continuazione sul terreno privato delle agenzie governative, con cui condivide, in un rapporto simbiotico, finalità e risorse (illuminante è il rapporto “New ‘de facto’ states could reshape the Middle East5).

Nel 2014 Regeni ritorna all’università di Cambridge per un dottorato di stampo economica e, aggiungiamo sulla base degli ultimi sviluppi, ormai è inquadrato nel mondo dei servizi angloamericani, presumibilmente come agente non-official cover : si noti che nella narrazione della storia questa sfaccettatura del profilo di Regeni non avrebbe mai dovuto emergere (ed ora che è venuta alla luce del sole, è stata velocemente relegata al dimenticatoio). Regeni, infatti, doveva presentare le caratteristiche equivoche di una simil-spia, così da poter inscenare il rapimento a sfondo politico e la tortura di un giovane italiano da parte del “brutale regime di Al-Sisi”. Mai si sarebbe dovuto scoprire che Regeni era effettivamente legato ai servizi angloamericani, perché in questo modo si perdeva “l’innocenza” della vittima.

Ora, un breve, ma fondamentale, intermezzo geopolitico-economico: l’11 luglio esplode l’autobomba al consolato italiano al Cairo, da leggere come un avvertimento mafioso che i servizi israeliani ed angloamericani inviano all’Italia per il suo attivismo in Egitto. Poche settimane dopo, il 30 agosto per la precisione, l’ENI annuncia la scoperta del giacimento gasifero di Zohr, capace con i suoi 850 miliardi di metri cubi6 di metano di regalare al Cairo l’indipendenza energetica.

Dopo il primo anno di dottorato a Cambridge, Regeni torna al Cairo, per trascorrere l’anno accademico 2015/2016 presso l’American University in Cairo: gli studi che Regeni dovrebbe compiere nella capitale egiziana sono la continuazione, o meglio “l’aggiornamento”, del libro che la sua docente a Cambridge, Maha Abdelrahman, ha pubblicato nel 2014, dal titolo “Egypt’s Long Revolution7. L’opera collima perfettamente con la visione che Londra e Washington hanno dell’Egitto: tanto la Fratellanza Mussulmana che alimentava gli odi settari e le divisioni politiche era ben vista, quanto la restaurazione laica e nazionalista di Abd Al-Sisi è indigesta.

Regeni entra quindi in contatto con il mondo dell’opposizione, frequenta la assemblee dei sindacati critici verso il governo, e confeziona qualche articolo che invia al Manifesto ed all’agenzia stampa Nena News (il cui fondatore è corrispondente da Gerusalemme del Manifesto8): come già evidenziammo, è quasi sicuramente l’American University che instrada Regeni verso la collaborazione con la testata “marxista”. Al Manifesto lavora infatti anche Giuseppe Acconcia, anch’egli con un passato proprio all’università americana del Cairo, oltre che all’Open Democracy di George Soros. Il giornalista lo rincontreremo fra poco.

Siamo ai primi di dicembre (Regeni è in Egitto da poco più ditre mesi), ed il piano di rapire, torturare ed assassinare il giovane ricercatore italiano, per poi farne ritrovare il cadavere al momento più opportuno, è ormai maturato nei circoli della Oxford Analytica: lo dimostra il fatto che Regeni, ospite di un’assemblea sindacale, si accorge di essere fotografato da uno sconosciuto. L’evento lo inquieta, tanto che ne parla ai suoi colleghi universitari, che poi lo riferiranno agli inquirenti9: il dettaglio è rilevante, perché assesta un altro duro colpo alla tesi dal prelevamento “accidentale”, durante l’anniversario della rivoluzione del 25 gennaio, avvalorando invece la tesi dell’operazione clandestina premeditata.

Quella fatidica sera del 25 gennaio, contrariamente alle prime ricostruzioni fornite dai media, utili ad inquadrare in una cornice politica il rapimento e l’assassinio dell’italiano, Regeni non ha in programma di partecipare a nessuna manifestazione per l’occorrenza: al contrario, agendo con circospezione come d’abitudine, il dottorando ha addirittura consigliato un’amica di non uscire di casa fino al 28 gennaio, poiché sono previste agitazioni e violenze10. Per qualche motivo (l’ipotesi non ancora smentita è la festa di compleanno presso amici), Regeni invece esce la sera del 25, per sparire nei pressi della stazione metropolitana, non distante dalla sua abitazione. L’ultimo tentativo di avvalorare la tesi dal prelevamento da parte della polizia egiziana lo farà il 12 febbraio il New York Times il 16 febbraio, citando fonti anonime11: –They figured he was a spy,” one of the officials said. “After all, who comes to Egypt to study trade unions?”-. Le autorità egiziane smentiranno prontamente la ricostruzione del quotidiano americano12, che lascerà cadere le accuse con la stessa facilità con cui le ha avanzate.

Il corpo di Giulio Regeni è rinvenuto il 3 febbraio 2015, giusto in tempo per sabotare la missione economica del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, costretta a ritornare precipitosamente in Italia sull’onda dello sdegno generalizzato per l’uccisione del giovane italiano. La campagna mediatica, dove La Repubblica ed il Manifesto fanno la parte del leone, è infatti martellante e mira a dipingere il dottorando come un vittima innocente della macchina repressiva del “regime egiziano”. Scende in campo Giuseppe Acconcia che rivela come il giovane italiano avesse scritto alcuni articoli sul Manifesto, fosse vicino agli ambienti dell’opposizione ed “avesse paura per la sua incolumità13: quello che la redazione del giornale “marxista” si guarda bene dal dire (ed il silenzio è molto eloquente) è che Regeni avesse lavorato per la Oxford Analytica. Il particolare con collimerebbe, infatti, con la narrazione della vittima catturata per un malinteso e torturata a morte.

Se si ignorano aspetti decisivi della personalità di Regeni, in cambio, si ha un’approfondita conoscenza della dinamica delle relazioni tra Italia ed Egitto. Su Repubblica del 6 febbraio, appare un articolo a firma di Fabio Scuto che riporta alcune informazioni molto addentro al dossier, tanto che chi, come noi, avesse cercato altrove una conferma, non ne avrebbe trovato alcuna traccia. Scrive Scuto14:

L’Italia attraverso l’Eni firmerà con l’Egitto la prossima settimana un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo. Un contratto che vale solo per i primi 3 anni 7 miliardi dollari. Congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione.

La Repubblica di Carlo De Benedetti non sbaglia: a distanza di due settimane, nonostante il polverone sollevato dal caso Regeni, sul sito del gruppo di San Donato milanese appare il comunicato stampa “Eni completes the authorization process for the development of Zohr gas field15. È il 21 febbraio e l’intera operazione condotta dai servizi atlantici per sabotare l’accordo ha, chiaramente, fallito l’obbiettivo principale

L’ultimo tentativo in extremis di esacerbare le relazioni tra il Roma ed il Cairo è stato attuato pochi giorni prima, con la campagna mediatica, tuttora in corso, “Verità per Giulio Regeni”, “per non permettere che l’omicidio del giovane ricercatore italiano finisca nell’oblio, catalogato tra le tante “inchieste in corso” o peggio, collocato nel passato da una “versione ufficiale” del governo del Cairo”16. A guidare la campagna, subito rilanciata da Repubblica, è Amnesty International, coadiuvata da un nutrito stuolo di politici, scrittori ed intellettuali uniti da un comune passato in Lotta Continua.

C’è un nesso tra l’organizzazione non governativa con sede a Londra ed i reduci della sinistra extraparlamentare? E se sì, quale?

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