DI MANLIO DINUCCI
ilmanifesto.it
Il primo a congratularsi col neopresidente egiziano Mohamed Morsi è stato il presidente Obama. Gli ha telefonato con tono amichevole, assicurando che gli Stati uniti «continueranno ad appoggiare la transizione dell’Egitto alla democrazia» e vogliono «promuovere i comuni interessi sulla base del mutuo rispetto». I due presidenti, annuncia la Casa Bianca, si sono impegnati a «sviluppare la partnership Usa-Egitto, stando in stretto contatto nei prossimi mesi».
Nella foto: Mohamed Morsi, il nuovo presidente egizianoGli Stati uniti stanno dunque scaricando la casta militare, da oltre trent’anni base della loro influenza in Egitto, per sostenere l’organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani, considerata finora ostile? Tutt’altro.
Subito dopo Morsi, Obama ha chiamato il generale Ahmed Shafik, candidato dei militari alla presidenza, incoraggiandolo a proseguire il suo impegno politico «a sostegno del processo democratico». Impegno che i militari hanno ben dimostrato sciogliendo il Parlamento. Con il determinante aiuto di Washington: l’assistenza militare all’Egitto, sottolinea il Dipartimento di stato, costituisce «un importante pilastro delle relazioni bilaterali». L’Egitto riceve ogni anno dagli Usa un aiuto militare di circa 1,5 miliardi di dollari. Gode inoltre di un privilegio riservato a pochi paesi: i fondi sono depositati in un conto della Federal Reserve Bank a New York, dove fruttano notevoli interessi. Ciò accresce il potere d’acquisto delle forze armate egiziane, la cui lista della spesa nel supermercato bellico Usa comprende: carrarmati M1A1 Abrams (coprodotti in Egitto), caccia F-16, elicotteri Apache e altri armamenti. Inoltre il Pentagono regala loro armi che ha in eccesso, per un valore annuo di centinaia di milioni.
In cambio le forze armate Usa hanno libero accesso in Egitto, dove si svolge ogni due anni l’esercitazione Bright Star, la maggiore della regione. Altrettanto generoso è l’«aiuto economico» di Washington. L’Egitto è in piena crisi: il deficit statale è salito a 25 miliardi di dollari e il debito estero a 34, mentre le riserve di valuta estera sono scese da 36 miliardi nel 2011 a 15 nel 2012.
Ma ecco che gli Stati uniti tendono la loro mano amichevole. L’amministrazione Obama ha stanziato 2 miliardi di dollari per promuovere investimenti privati Usa nella regione, soprattutto in Egitto. Qui saranno effettuati altri investimenti Usa, agevolati dal Cairo in cambio dello sgravio di un miliardo dal debito estero. L’Egitto riceverà inoltre un credito di un miliardo di dollari, garantito dagli Usa, per riavere «accesso ai mercati di capitali». E, sempre grazie agli Usa, il Fondo monetario internazionale è pronto ad aprire all’Egitto una linea di credito.
Mentre l’ambasciata Usa al Cairo lancia un nuovo programma per aiutare giovani imprenditori egiziani a iniziare o sviluppare proprie attività. Tutte le carte di Washington, a questo punto, sono sul tavolo: quelle economiche, per strangolare l’Egitto e allevare al suo interno una classe imprenditoriale filo-Usa; quelle politiche, per dare al paese un volto civile democratico che non comprometta l’influenza Usa nel paese; quelle militari, da giocare con un colpo di stato se falliscono le altre. C’è però un’incognita: un sondaggio Gallup indica che, in dieci mesi, gli egiziani contrari all’aiuto Usa sono saliti dal 52% all’82%.
Manlio Dinucci
Fonte: www.ilmanifesto.it
26.06.2012