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DA HIROSHIMA A MANHATTAN

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A cura di Truman
Il 22 Agosto 2005
251 Views
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blankIn Memoria delle Vittime Innocenti del 6 Agosto 1945 e dell’11 Settembre 2001

DI WILLIAM A.COOK

La tragedia delle Torri Gemelle ci consente un momento di riflessione, una possibilità per gli americani di guardare indietro, per vedere il mondo come quelli che, al di là dei nostri confini, vedono noi, vittime di un orrore troppo incredibile da contemplare, la detonazione intenzionale di strutture civili, con l’esplicita e calcolata cognizione che vite innocenti sarebbero arse vive senza possibilità di identificazione. E, infatti, la reazione è stata viscerale nel cuore di ogni americano. Come è stata istantanea, in tutti gli americani, la risposta alle torri che si sbriciolavano. Quanto è stata galvanizzata la risposta in tutta l’America nelle donazioni per i vigili del fuoco e gli agenti di polizia caduti, nel lutto per i genitori e parenti delle vittime, e nella corsa alle banche del sangue. Tutti hanno sentito l’impatto, condiviso le perdite, e sofferto l’angoscia per quelli che scomparvero nel terrore dei detriti infiammati, delle pietre cadenti, della cenere soffiante. Gli americani conoscono personalmente l’orrore della guerra in casa propria.
Ma gli americani, per la maggior parte, sanno poco o niente delle azioni intraprese in loro nome che hanno contribuito all’odio viscerale, evidente in tutto il mondo, che affligge ogni loro passo.
Mancando di questa conoscenza, hanno quindi seguito, senza porre domande, la richiesta dei loro leader di andare in guerra contro le forze del male che vogliono distruggere le libertà Americane. Questa guerra, prima in Afghanistan, poi in Iraq, ha inviato ondate ed ondate di bombardieri per sganciare innumerevoli tonnellate di esplosivo, su un numero taciuto di civili i quali hanno patito la determinazione della vendetta americana nel distruggere il proprio nemico sconosciuto.

Ma quando ho cominciato a riflettere su questo galvanizzante desiderio americano di sradicare il suo nemico, ho cominciato a comprendere che non dobbiamo mescolare i nostri sentimenti con quelli di quanti hanno sofferto per causa nostra in Europa, Asia, e nel Medio Oriente. Quello che abbiamo provato l’11 Settembre, un’atrocità che ha preso le vite di 3.000 persone, che ha portato rovina e caos alla nostra gente per settimane, che ha distrutto edifici su una zona di circa 4 acri nel mezzo di una città, non può essere comparato con la devastazione totale operata dai bombardamenti americani su Fallujah o Baghdad, o in Libano, in Cambogia, o su Hanoi, Dresda, Tokio, Hiroshima. Il fatto che questi atti sono visti come atti di guerra dalla maggior parte degli americani non cancella l’impatto del massacro portato a migliaia di persone innocenti, colte nell’ “accettato eufemismo” che permette agli innocenti di essere sacrificati sull’altare del “danno collaterale”.

Portare le menti Americane ad un punto di conoscenza tale che permetta un paragone tra il dolore che abbiamo inflitto contro gli altri popoli, come una possibilità per razionalizzare l’odio che ha preso di mira l’America, è una compito al di là delle nostre capacità. Ma qualcosa ha guidato milioni di persone in tutto il mondo nel guardare all’America come ad un potere spaventoso con la capacità e la volontà di devastare stati più piccoli, per raggiungere i propri scopi e difendere i propri presunti interessi. Perchè? Perchè questo atteggiamento riguardo l’America?

Nelle mie riflessioni riguardo un’America che scarica la sua tremenda potenza sugli indifesi ed incapaci a difendersi, ho bisogno di considerare il bombardamento di Dresda.

Nella sera del 13 Febbraio 1945, un’orgia di barbarie e genocidio cominciò contro una città indifesa della Germania, uno dei più grandi centri culturali dell’Europa Settentrionale. In meno di 14 ore, non solo fu ridotta in rovine ardenti, ma circa un terzo dei suoi abitanti, più di mezzo milione di persone, perirono in quello che fu il peggior singolo massacro della storia.“. (“L’olocausto di Dresda della Seconda Guerra Mondiale“).

Dresda non aveva installazioni militari, nessun aereo da difesa, nessuna fabbrica di munizioni, solamente fabbriche di sigarette e porcellane, ed un ospedale strapieno.

700.000 bombe al fosforo brillarono su 1,2 milioni di persone, 1 per ogni 2 persone, la temperatura raggiunse i 1600°C, in un raid che durò più di 14 ore. Quelli che sopravvissero a quell’inferno in terra, dovettero accatastare i corpi in orribili pire per le cremazioni, furono contati 260.000 cadaveri; i corpi rimanenti, irriconoscibili, si fusero con il cemento o si carbonizzarono senza possibilità di identificarli.

In poco più di un’ora, 4 miglia quadrate di città – equivalenti a tutta la Lower Manhattan, dal Madison Square Garden a Battery Park – diventarono un inferno.” (Murray Sayle, “Did the Bomb End the War?“).

Noi americani gridiamo all’orrore per 4 acri di distruzione e 3000 morti; possiamo ora, e dovremmo, riflettere sul passato, comprendendo cosa hanno provato altri quando sopportarono un massacro di ben più vaste proporzioni.

Quest’orrenda descrizione della nostra potenza è stata ripetuta molte volte dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e anche durante essa.

Tokyo ed altre 63 città Giapponesi provarono l’urto della potenza dell’Aeronautica americana.
334 Super Fortezze volarono ad una quota variabile tra i 4.900 ed i 9.200 piedi sopra i loro obiettivi (Tokyo)…per tre ore, ondate di B-29s scaricarono il loro carico sulle dense città sotto di loro…l’acqua nei fiumi raggiunse la temperatura di ebollizione…83.793 persone furono uccise e 40.918 ferite gravemente, un totale di 265.171 edifici furono distrutti e 15,8 miglia quadrate di città vennero incenerite.” (Christian Lew, “The Strategic Bombing of Japan“).

Quindi viene Hiroshima.
…la bomba vaporizzò istantaneamente, ad una temperatura di diversi milioni di gradi centigradi, creando una palla di fuoco ed irradiando un immensa massa di calore…Il calore irradiato dalla bomba fece cadere la pelle delle persone fino a più di due miglia dall’ipocentro.. un numero compreso tra 70.000 e 80.000 persone sono morte il 6 Agosto, molti altri morirono in seguito alle radiazioni nei giorni, mesi ed anni seguenti.” (Murray Sayle, “Did the Bomb End the War?“).

Consideriamo queste statistiche: i tedeschi “sganciarono 80.000 tonnellate di bombe sull’Inghilterra in più di 5 anni”; l’America sganciò più di 100.000 tonnellate di bombe in un mese nell’Indocina, e tra Lyndon Johnson e Nixon, gli Stati Uniti portarono “7 milioni di tonnellate di bombe nel Vietnam, in Cambogia e nel Laos”, molto più di quanto noi, e gli Inglesi ne avessimo sganciate su Giappone e Germania in tutta la Seconda Guerra Mondiale. Nixon trovò la ragione per questa devastazione nel risentimento americano, causato dalla rottura dei trattati di pace di Parigi da parte del Vietnam del Nord.

Questo ci porta alla nostra illegale invasione dell’Iraq, un’invasione che noi sappiamo essere stata studiata anni prima dell’11 Settembre e per ragioni che non hanno nulla a che vedere con la presunta “guerra al terrore”.

Sappiamo anche di averlo fatto per aiutare Israele nel suo desiderio di distruggere uno dei suoi nemici, un nemico che supportava la “lotta per la libertà” contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. E oggi abbiamo una seconda lettera di Osama bin Laden, consegnata via video, la quale proclama per la seconda volta che la soggiogazione che Israele ha fatto della popolazione indigena palestinese e la sua continua “pulizia” per liberare la propria terra, è uno dei motivi della distruzione causata dall’11 Settembre.

Ora, dopo la morte di 100.000 civili, e di quasi 2.000 soldati americani, dopo le città in rovina e il popolo in rivolta contro l’oppressore americano, noi, come nazione, abbiamo scelto di continuare la nostra aggressione unilaterale, facendo dell’America qualcosa più di una nazione di intoccabili e anche meno di una nazione che sa dividere il dolore di milioni che hanno sofferto per causa sua.

E questo mi riporta a quella orrenda mattina dell’11 Settembre.
Come dimostrare che l’enormità di quell’atto ci basta per metterlo in relazione con il passato e per poter condividere il tormento di quelli che hanno subito lo stivale dell’oppressore e l’arbitrario massacro di innocenti?
Riflettendo sui giorni seguenti l’11 Settembre, io ho una visione delle ceneri di Hiroshima, un paesaggio che si estende per miglia, fino a dove può vedere l’occhio, un’immagine indelebile fissata nella mia mente come in un bambino. Ma in quell’arido deserto sorgono le Torri Gemelle, stagliate contro le colline distanti ed il cielo, un punto di riferimento per riflettere appena prima che gli aerei si schiantino, trasformandole in candele che accendano l’oscurità che avvolge quei campi di morte, una volta conosciuti come la città di Hiroshima.
Forse nella luce di quella candele possiamo vedere quello che non abbiamo voluto vedere nella nostra ignoranza, che abbiamo sparso pestilenze e guerre in tutto il mondo ed ora stiamo raccogliendo tempesta.

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William Cook è professore di Letteratura Inglese presso la “University of La Verne” in California.

Fonte: www.counterpunch.org
Link:http://www.counterpunch.org/cook08032005.html
3.08.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di EGON SCHIELE

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