DI FULVIO GRIMALDI
Se non vuoi piedi sul collo
non t’inchinare
(anonimo)
Avendo mandato mercenari, pardon professionisti (qualcuno, come Sionetti, li chiama “nostri ragazzi”, dimenticandosi che “l’esercito del popolo” non c’è più, grazie a D’Alema), per anni a uccidere all’estero civili e patrioti e a devastarne i paesi, non c’era bisogno di una fattucchiera di Teleambiente per pronosticare che presto o tardi quei soldati di ventura sarebbero stati mandati tra i piedi e sul groppone anche a noi. La nostre vicende della prima metà del secolo scorso, l’era Reagan-Bush, la UE natoizzata, l’italiota trio
guitto mannaro-guitto coniglio-guitto baffino insegnano che spedizioni coloniali e stato liberticida all’interno procedono appaiati come binari. E così a spezzare le reni alla gente
vanno fucilatori e Tornado (€13 milioni per tre mesi) in Afghanistan, Carabinieri in Iraq (ad addestrare soldati fantocci a sprangarsi i coglioni distruggendo il proprio popolo), come “i nostri ragazzi” in Italia. Dopo quelli che devono sparare a chi si difende da una necrodiscarica o da un necroinceneritore, sono arrivati i 3mila per strade un tempo guardate da platani, i 400 con fanfara di Castel Volturno, i 500 contro “l’emergenza criminalità”. L’accoppiamento Maroni-La Russa (quest’ultimo Ministro dell’Offesa) gli produce orgasmi manco fossero macachi mentre, sghignazzando, fanno il gioco di chi s’inventa più “emergenze criminali” là dove tocca rastrellare o terrorizzare un po’ di diversi etnici, religiosi o politici.
Non si poteva non farlo. Con l’eccidio di africani a Castel Volturno, proprio come con l’11 settembre e seguenti, viene attivata quella parte dell’organismo leviatano che, provocando, facendo grandi casini, costruisce la ragione motivante e giustificante per un’ulteriore strettina leviatan-mafiosa sul territorio, sui suoi traffici e su chi li intralcia. Provocazione-repressione. Come Ciccio e Franco. Veronesi e il cancro. Nel casertano la sezione A del piano, con la sua strage camorrista, ha convinto tutti che esiste un’emergenza criminalità (che dovrebbe essere perseguita con investigatori e non con le majorettes in mimetica), una “guerra civile” dicono in Val Brembana. Nella sezione B, un po’ per volta, in un intreccio di orgasmi con accompagnamento di “Faccetta Nera”, Maroni-La Russa schiaffano quell’abilitante definizione addosso a migranti, bulli scolastici, tifoserie, magistrati, i tre o quattro giornalisti residui, centri sociali, chi lecca il gelato dal fondo del cono, le coppie di fatto, i laici, i comunisti. Le legioni impiegate contro le plebi sono pronte da tempo, soprattutto culturalmente. S’è capito fin da Napoli e da Genova del G8. Se ne ha conferma quotidiana: nella caserma di Bussolengo vengono massacrati di botte e torturati un po’ di cittadini italiani con ascendenza rom, si crepa in carcere, come sulla strada per una partita, come soffocati da robocop sul marciapiede, sempre per improvviso malore, per un colpo partito accidentalmente (e che poi magari incontra calcinacci e devia in mezzo a una fronte). E quei lividi, qui denti mancanti, quelle ossa rotte? Che c’entra: “io so’ io e voi nun siete ‘n cazzo!”
A Islamabad obiettivi e attori sono un po’ più intricati, ma il metodo è quello. Sempre quello delle Torri Gemelle e di Al Qaida, due pilastri delle fede di Giuliana Sgrena, Calchi Novati e quasi tutto il “manifesto” Quotidiano comunista sempre in coda, con in mano lo strascico, alla coppia Provocazione-Repressione celebrata l’11 settembre nella Chiesa dell’Unico Impero. Il 20 settembre un camion finisce contro il superhotel Marriott a Islamabad e il palazzone viene giù con un centinaio di persone e, stranamente, solo due piani in fiamme, il quarto e il quinto. Pare il remake del Pentagono: quell’11/9 del Boeing invisibile che rasoterra sbatte i suoi 39 metri alari e i suoi motori da 2 tonnellate contro le mura del Pentagono e lascia un buco di… 6,5 metri e neanche un rottame lungo tre centimetri sul prato antistante. “Evaporato per il calore” dicono, quasi ripetessero la fandonia delle Torri Gemelle, fusesi per quattro litri di kerosene. Però poi si voltano e ridono a crepapelle. Con la coazione a ripetere che ne delimita la creatività, manco fossimo all’11/9 sera, subito coloro che si danno voce in capitolo decretano: è stata Al Qaida. Con il sovraprezzo di una manina taliban. I taliban, che ovviamente sempre rivendicano le proprie azioni, smentiscono. Ecchè, si mettono ad ammazzare la loro gente manco fossero Rumsfeld e Cheney? E anche qualche diplomatico neutrale? Rivendicano invece gli sconosciuti e improvvisati “Fedayin al Islam”, nome banale, generico, confusionale e improbabile quanto mai. E subito il coro a ululare: e già, sono affiliati di Al Qaida! Peccato che quello che viene indicato come il loro capo, Baitullah Mahsud, ex-detenuto a Guantanamo e scampato, è riuscito a svignarsela. Tempo addietro l’intelligence pachistana aveva segnalato a Nato e Usa tempi e presenza di Baitullah. E’ naturale che gli interlocutori abbiano sempre fatto orecchio di mercante ed evitato accuratamente di acchiapparlo. Esattamente come con il lungamente defunto Osama Bin Laden. E uno.
E due. A seguito di innumerevoli e crescenti incursioni di forze Usa, per aria e per terra, in territorio pachistano nelle quali, con la scusa della guerra al terrorismo, hanno disintegrato un po’ di civili contadini e, quindi, suscitato la collera nazionale contro gli Usa e chi ne fa da burattino in Pachistan, il neopresidente Asif Ali Zardari, vedovo-ladrone della ladrona Benazir Bhutto, ha fatto la voce grossa no del, ma al padrone. “Non permetteremo mai che forze straniere violino l’integrità territoriale del Pachistan!”, ha proclamato tra rulli di tamburi, ricevendo poi l’eco sonante dei suoi generali. E questo al burattinaio non è piaciuto, tanto più che riflette un forte sentire di tutto il popolo e minaccia di legittimarlo. Quella sera Zardari e notabili vari dovevano cenare al “Marriott”. Ma due sere prima avevano disdetto. Doveva essere un avvertimento, non un’esecuzione. Per ora.
Il quarantotto è successo poche ore dopo che Zardari aveva manifestato la sua temeraria insubordinazione. Perché, i mafiosi non mettono forse una testa di maiale sul portone dell’avvisando? E non vogliamo ricordare che Cheney aveva promesso al predecessore Musharraf di “ridurlo allo stato della pietra” qualora non tenesse in scacco i centrifughi rispetto al dominio imperiale e non facesse quanto ordinatogli? Il tutto inserito nel quadro di una strategia, confortata da documenti e analisti, che, con il conforto dell’India, tenta di frantumare la regione per linee etniche, in modo da costituire quel ponte dell’Occidente verso i depositi dell’Asia Centrale che unisce la regione tribale nord-occidentale ai territori pashtun afghani e al Beluchistan in oriente. Balcanizzazione. Mettere al muro i governanti di un Pachistan riottoso e nucleare è mossa del gioco.
Ma c’è anche un tre. In spregio allo psicoterrorismo diffamatorio di tutte le resistenze al cannibalismo imperialista (Iraq in testa, dove la pia islamofoba Giuliana Sgrena del “manifesto” ripete a macchinetta la trasformazione della Resistenza nazionale in Al Qaida, come formulata dal generale Petraeus), i combattenti della liberazione non sono farlocchi al punto da giocarsi l’acqua in cui nuotano attentando contro la propria popolazione. Queste cose le fanno uomini mascherati che sotto il passamontagna nascondono distintivi nodi scorsoi Cia e Mossad, insieme a indigeni prezzolati o decerebrati. La procedura risulta manifesta dai tempi in cui Hitler spediva a sparare sui suoi soldati tedeschi travestiti da poliziotti polacchi. Dai tempi in cui due killer delle forze speciali britanniche, SAS, furono scoperti a Basra mentre, travestiti da arabi (di Al Qaida, ovviamente), guidavano verso una gran folla un SUV stracolmo di esplosivo pronto al tele innesco. Qui, quella parte sembrano averla fatta i marines che tre giorni prima del botto sono arrivati con blindati al Marriott Hotel, hanno fatto chiudere cancelli e portoni d’ingresso e d’uscita, hanno cacciato via tutti e, sotto l’occhio indiscreto di un nascosto funzionario di polizia, hanno spostato dai blindati ai piani 4° e 5° misteriosissime casse d’acciaio, quelle per armi ed esplosivi, sottraendoli anche al metal detector dell’albergo. Li guidava nientemeno che il capo di stato maggiore, ammiraglio Mullen. Erano passate tre giorni da quando Zardari s’era impennato contro gli Usa. La notte dell’attentato, poi, molto molto stranamente, si sono verificati incendi solo al 4° e 5° piano. Pareva la replica della Torre n.7 a Manhattan, venuta giù dritta come un fuso senza nemmeno essere stata colpita da un aereo. Si dirà: ma sono morti anche due statunitensi! Ebbene, l’11 settembre non ne sono morti quasi tremila? Quale copertura migliore, anche se un po’ cinica? Ma questi non sono lupi che curano il proprio branco. Questi sono macchine-killer da “silenzio degli innocenti”. C’è un’altra analogia. Subito dopo l’esplosione, alti funzionari dell’intelligence e della sicurezza dell’ambasciata Usa sono stati visti aggirarsi sulla scena. Naturale. Solo che, dopo il buco nel Pentagono, sul prato antistante si sono visti aggirarsi analoghi omini in cravatta usciti dal Pentagono per vedere cose ne era stato dell’”aereo”. Si portarono via alcuni frammenti mai più rivisti.
Amman: kamikaze sui soffitti
Conosco bene un’analoga, istruttiva vicenda. Strariportata in Medio Oriente e nel Web, ma da noi meticolosamente occultata, anche dalla nota Sgrena, troppo impegnata a fare un esercizio di alto stile etico-giornalistico paragonando con toni commossi il martirio del cobra Ingrid Betancourt prigioniera al proprio. Succede che nella data, rovesciata e significativa, del 9 novembre (9/11) 2006, ad Amman, capitale giordana, si sbriciola un grande albergo. Subito Al Qaida, Al Zarkawi (anche lui defunto nel 2003), kamikaze. Quattro kamikaze con cintura esplosiva, pure una donna. Viene rivendicata l’azione dal virtuale Zarkawi, era destinata a colpire “crociati” (cristiani), “eretici” (sciti) e giudei”. Non morì neanche un crociato, neanche un eretico, neanche un giudeo. Anzi, alcuni di questi ultimi, in vacanza nell’albergo, erano stati evacuati la sera prima e rispediti a casa dalla polizia giordana su segnalazione del Mossad (fatto enorme, confermato dal quotidiano israeliano “Haaretz” e, con toni soddisfatti, da dirigenti dell’intelligence). Morirono però 54 arabi sunniti, tutti giordano-palestinesi impegnati in una festa nuziale. Effetto collaterale. L’effetto-obiettivo erano sei persone riunite in una sala dell’albergo: tre palestinesi, alti esponenti dei servizi e della finanza e tre dirigenti del Ministero della Difesa cinese. Un bocconcino. Divorato.
Incidentalmente: quei quattro kamikaze iracheni dovevano essere mosche travestite. Camminavano sul soffitto. Infatti tutta la documentazione foto e video mostra voragini in alto, provocate da ordigni esplosi sopra il soffitto con evidente innesco elettrico. Scoppiarono quando partì un black-out.. Da allora Abu Mazen a vedere un cinese cambia marciapiede.
Sono tutte eruzioni di quella foruncolosi con cui qualcuno ha contaminato il mondo a partire dall’11/9/2001 (da noi, affini con scopi analoghi avevano cominciato prima: il 12 dicembre a Piazza Fontana). Ed è da lì che tocca partire. Sennò non si arriva da nessuna parte. Tocca rompere i sette sigilli e scoprire il mostro. Per esempio tornare nella stanza dove c’era Calabresi e Pinelli precipitò inconscio, ma per un “malore attivo”, come, solinga, ricorda Licia Pinelli. Perché sull’11/9 non spariamo a tappeto le mille domande possibili, ineluttabili, a chi di sicuro ci ha raccontato un sacco di frottole e, di sicuro, ha tratto da quell’evento le ragioni per uscire dal baratro della crisi politico-economica, rilanciarsi alla rapina delle ricchezze del mondo e al tempo stesso normalizzare una società occidentale, sopprimendo ogni dissenso allo Stato di polizia nel nome della difesa dal terrorismo. Com’è che pochi litri di kerosene in fiamme per pochi minuti e all’esterno delle torri hanno potuto fondere centinaia di colonne di acciaio e neanche asimmetricamente? Com’è che uno bocciato all’esame di pilotaggio di un piccolo Chessna possa manovrare un pesante Boeing 757 come non sarebbe riuscito neanche al più bravo pilota di caccia? Quale coincidenza che nello stesso giorno e nelle stesse ore le FFAA Usa avessero in corso esercitazioni aeree nella stessa area e con gli stessi obiettivi? Proprio come poi a Londra nella metropolitana. Come fu possibile che il munitissimo Pentagono venisse colpito ben un’ora e venti minuti dopo il primo attacco, senza essere intercettato? Com’è che Bush, per quanto minorato, dopo aver saputo dell’attacco se ne rimanesse tranquillo in una scuola e non venisse subito sbattuto nel più profondo dei bunker? Volete che vada avanti?
Di solito argomentano che un complotto tanto complesso e grande doveva coinvolgere tantissime persone. Qualcuna alla fine avrebbe cantato. Mica vero. Il terrorismo di Stato è ben compartimentato, nessuna unità sa niente di quello che vuole e fa l’altra. Il quadro completo è chiaro solo ai pochissimi in altissimo. Quasi tutti hanno scheletri nell’armadio.
Ma poi basta pensare a Gladio, alla nostra strategia della tensione, alla massoneria, alla mafia, alla P2, al Vaticano… Migliaia di complici e nessun canarino per decenni.
Perché “il manifesto” non (si) pone queste domande per un’epistemologia esauriente sul terrorismo, fenomeno dell’epoca? Non sarebbe dovere deontologico, prima ancora che politico? Di “Liberazione”, finche Sionetti s’affaccia dal taschino di Bertendola, manco a parlarne. Sull’irrinunciabile e sempre più irritante “manifesto” (quanto ti rimpiangiamo, Stefano Chiarini!) ricompare la geremiade: soldi o sennò restate soli. Un po’ come Berlusconi ai piloti dell’Alitalia. Siamo cattivi: il regime padrone e ladrone toglie al “manifesto” e ai giornali indipendenti, di editori veri e perciò castigati dalla pubblicità, quella sovvenzione che, destinata alla difesa delle voci dei non potenti, garantiva libertà d’espressione e pluralismo. Un aiuto impensabile nel dopo 11/9. Ora il governo darà molto meno, forse niente, a suo insindacabile arbitrio. E sotto Veltrusconi si sa bene cosa possa interessare a quell’arbitrio. Ma forse “il manifesto”, oggi goduto da pieddini in patema di coscienza e dai passeggeri sinistrodemocratici di una macchina che tira a destra (sono quattro gatti per quattro copie), se quelle domande (se) le ponesse farebbe opera pedagogica verso destra e di proselitismo verso sinistra. Diciamo 60mila copie di lettori rinfrancati, quelli che fanno almeno centomila nei cortei, l’autosufficienza alimentare. Se non odiasse i sindacati di base, ultimi protagonisti della combattività operaia, e non affogasse la manchette dei Cobas per lo sciopero generale del 17 ottobre in un articolone che inneggia alla CGIL per una mobilitazione che la CGIL non si era sognata di concepire, tantomeno indire.. Se non desse sempre retta a quel rettile di Human Rights Watch, la Ong dirittumanista di George Soros e della lobby ebraica, che stila un rapporto di calunnie sul Venezuela di Chavez per neutralizzare l’effetto devastante del rapporto ONU sui massacri israeliani a Gaza. Se non vedesse rosso(sangue) ogni qualvolta si deve occupare di Russia, esibendo il frutto irrazionale di un anticomunismo d’antan, se non s’innamorasse della virago Hillary Clinton “che spezza il tetto di vetro del potere maschile”, se non arrivasse a titolare “Obama contro l’impero”, se, se, se
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2008/09/da-caserta-islamabad-sempre-loro_25.html
25.09.08