DI MASSIMO FINI
Il gazzettino
La Gran Bretagna, che controllava l’area di Bassora con 4.500 uomini che entro la primavera saranno ridotti a 2.500, ha passato formalmente le insegne del comando della zona al governo iracheno di Al Maliki. Mai il termine ‘formalmente’ è stato più appropriato.
A Bassora infatti il governo centrale non conta assolutamente nulla. A comandare sono ventotto milizie, tutte sciite, le più importanti e note delle quali sono l’Esercito del Mahadi, che risponde al leader Moqtada al-Sadr, le bande del Partito della Virtù (Fadila), le Brigate Badr che sono il braccio armato del Supremo Consiglio Islamico (Siic), che è il partito di maggioranza in Parlamento , ma i cui miliziani non hanno nulla a che fare nè con l’esercito governativo nè con la polizia.Queste milizie hanno imposto nell’area di Bassora la Shaharia. Ora, la Shaharia è una dura legge, che conculca diritti che per noi occidentali sono fondamentali, ma è pur sempre una legge la cui violazione comporta un accertamento, un processo, una sentenza. Le milizie sciite non solo interpretano la Shaharia a loro arbitrio ma la applicano a modo loro: ammazzando direttamente, senza nemmeno l’ombra di una procedura giuridica, i presunti colpevoli.
Vittime sono soprattutto le donne. Quarantotto sono state assassinate negli ultimi sei mesi per i più svariati motivi: per essere andate in giro a capo scoperto o in compagnia di un uomo che non era loro parente oppure per aver lavorato con degli stranieri. I delitti d’onore, impuniti, sono aumentati in modo esponenziale (peraltro non solo a Bassora ma in tutto il Paese, persino nel quasi indipendente Kurdistan iracheno). Poi ci sono gli ammazzamenti quotidiani, sia fra le milizie che si contendono il potere, sia ai danni della popolazione.
Gli inglesi lasciano quindi Bassora in condizioni ben peggiori di quando in Iraq regnava Saddam. E se questo è il risultato ottenuto dagli inglesi, che per la loro lunga esperienza coloniale e per la valentia del loro esercito sono i più adatti a fronteggiare simili situazioni, si può immaginare che cosa sia successo nelle aree controllate dai contingenti di altri paesi. I più hanno preferito filarsela o hanno annunciato il ritiro delle loro truppe entro la fine dell’anno. Via via si sono defilati gli spagnoli, gli italiani, la Corea del Sud (terzo contingente per numero), la fedelissima Polonia, la Danimarca, i Paesi Bassi.
In pratica in Iraq restano solo i 160 mila soldati degli Stati Uniti i quali stanno pensando a loro volta a una ‘exit strategy’ che gli consenta di salvare la faccia.Il paradosso dell’aggressione americana all’Iraq, che in cinque anni ha provocato 700 mila vittime fra gli indigeni e 3.500 morti fra gli stessi soldati Usa, è che i suoi risultati sono un diametrale contrasto con la politica che Washington segue da più di venticinque anni. E’ dal 1980, dalla rivoluzione khomeinista, che gli Stati Uniti cercano di stoppare l’Iran sciita. Per questo nella guerra che l’Iraq scatenò contro l’Iran (1981) fornirono a Saddam le famose ‘armi di distruzione di massa’, per questo fermarono l’esercito iraniano quando era davanti a Bassora e stava per prenderla (il che avrebbe provocato la caduta immediata di Saddam), per questo hanno fatto votare all’Onu, in estate, due risoluzioni contro il programma atomico degli ayatollah anche se poi la stessa Cia ha scoperto che questo programma, ammesso che sia mai esistito, era stato fermato dal governo di Teheran dal 2003. Adesso, con la pseudo democrazia imposta a Bagdad, ha consegnato tutto l’Iraq del sud agli sciiti, che sono la maggioranza (i due terzi) nel Paese, i quali finiranno fatalmente per ricongiungersi alla madrepatria iraniana.Non solo. Una parte della politica americana è stata dedicata a tagliare le unghie all’indipendentismo curdo in funzione della Turchia, che è il loro grande alleato nella regione, dove i curdi sono dieci milioni (un sesto della popolazione).Adesso il fatto che il Kurdistan iracheno è diventato in pratica indipendente ha risvegliato gli appetiti dell’irredentismo curdo in Turchia che è una grandissima minaccia per Ankara. Bisogna convenire che George W. Bush è proprio un grande stratega. Gli iraniani e i curdi, se potessero, lo farebbero rieleggere per la terza volta.
Massimo Fini
Uscito su “Il gazzettino” il 21/12/2007
Fonte: http://www.massimofini.it/