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COSA POSSIAMO IMPARARE DALLA TRANSILVANIA (VERAMENTE!)

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A cura di Davide
Il 7 Febbraio 2011
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DI JAY WALLJASPER
energybulletin.net

La parola “comune” risale all’epoca medioevale e originariamente stava ad indicare un territorio condiviso da una comunità, secondo regole ben definite. Ai contadini era spesso concesso il diritto di cacciare e pescare in quelle terre, raccogliere erbe medicinali e andare in cerca di bacche o paglia per i propri tetti.

Quando, successivamente, questi privilegi furono revocati (dando la terra, che fino a quel momento era della comunità, ad uso esclusivo dei proprietari o dei nobili, in un processo chiamato “enclosure”) molti contadini cominciarono ad avere serie difficoltà a provvedere a se stessi. Alcuni furono costretti ad abbandonare le campagne e ad affrontare lunghe ore di duro lavoro nelle insalubri fabbriche che cominciavano a comparire in giro per il continente.

La tradizione di condivisione della proprietà esiste ancora nelle culture indigene e contadine del mondo in via di sviluppo, ma è sparito in tutto il resto d’ Europa ad eccezione di un angolo della Transilvania, dove alcune usanze tipiche dei comuni ancora resistono.
“E’ l’unico posto in Europa dove ancora si può trovare la vita che esisteva nel XIII secolo,” fa notare Krusche. “Sono le radici dell’ideale moderno di uno stile di vita biologico” – agricoltura e allevamento sostenibili, cibo locale, metodi di costruzione naturali ed una comunità molto compatta.

Con i loro appunti, le foto e i loro stessi vivi ricordi, gli studenti raccontano di uno stile di vita che è miracolosamente sopravvissuto all’avvento dei tempi moderni. Gli abitanti dei villaggi abitano splendide case antiche, dipinte di azzurro chiaro, verde e ocra – disseminate lungo tortuose strade di ciottoli, bordate di alberi di pere. Le case sono molto vicine l’una all’altra, dando la possibilità di piacevoli passeggiate tra di esse, ma allo stesso tempo ogni famiglia può godere di uno spazio non trascurabile e un giardino privato nel retro delle propria casa, limitato da un fienile dalla struttura in legno in stile tedesco. Sul lato opposto al fienile ci sono orti, frutteti, alberi di noci e piccoli appezzamenti coltivabili. Al di là si trova l’area condivisa, sotto forma di campi e pascoli, usati in maniera cooperativa dagli abitanti per far pascolare gli animali e produrre fieno. I campi sono ricoperti di fiori selvatici, incluse alcune varietà che sembra non crescano altrove in Europa. In fine si arriva ai boschi di querce e faggi che ricoprono i fianchi di ripide colline, dove i cittadini raccolgono collettivamente legna da ardere e materiale da costruzione.

Oggi questi villaggi sono la casa di Rumeni e Rom (zingari) e di un ristretto numero di persone di lingua tedesca, conosciute come “Sassoni”, i cui antenati furono raccolti qui nel XIII secolo dal re di Ungheria, per riceverne aiuto nel difendere quelli che erano allora i confini del paese. La maggior parte dei Sassoni, che un tempo dominavano l’area, accettarono l’offerta del governo tedesco di emigrare dopo la caduta del muro di Berlino.

Questo esempio unico, di vita tradizionale della Romania rurale è però minacciato dall’avanzare della modernizzazione, dall’abbandono di quei posti da parte dei giovani, che si spostano in cerca di migliori opportunità di realizzazione economica, e di molte delle persone di madrelingua tedesca che decidono di emigrare verso la Germania.

Gli studenti hanno documentato gli stili architettonici e le abitudini di vita, abbozzando dei progetti che possano permettere alle famiglie di rinnovare le proprie case, introducendovi comodità moderne senza alterare le pratiche di vita sostenibili. Questo è stato più di un semplice progetto accademico. Krusche sta mettendo insieme le ricerche degli studenti in un libro di modelli, in collaborazione con la Technical University di Dresda – ad uso degli abitanti di quei luoghi, per il restauro delle proprie case, e dei funzionari della UE per la definizione dei piani turistici e di conservazione. La professoressa crede inoltre che l’interesse manifestato dagli studenti per i villaggi, abbia convinto la popolazione locale che le proprie tradizioni non sono superate, ma rappresentano realmente un esempio del grande valore di uno stile di vita verde.

“Inizialmente queste persone mi hanno colpito per l’estrema povertà in cui vivono, ma poi siamo arrivati a capire che sono ricchi in molti altri modi”, ricorda Alejandra Guttzeit, studente di architettura. “C’era una tale armonia nel loro rapporto con la terra, gli animali e tra loro stessi.”

Un’altra studentessa, Ashley Vaughan, fu colpita da come gli abitanti le offrissero vino fatto in casa, caffè e dolci mentre effettuava le misurazioni e analizzava le caratteristiche architettoniche delle loro case. Riguardo all’abbondante cibo contadino preparato in gran parte con ingredienti prodotti localmente, dice con entusiasmo “ è stato tra il cibo migliore che io abbia mai mangiato.”

A catturare l’immaginazione di quasi tutti gli studenti del gruppo di Notre Dame furono comunque le mucche. Dopo aver pascolato per tutto il giorno fuori dal villaggio nei pascoli comuni, al tramonto se ne tornavano da sole a passo tranquillo verso i rispettivi fienili, per essere munte. Chi immaginava che le mucche potessero fare una cosa del genere? Tutto ciò sembra simboleggiare le sconosciute possibilità che la società moderna perde nel non guardare con più attenzione i cicli della natura.

Marcela K. Perett, laureata in studi medievali che si unì al gruppo per studiare le fortificazioni delle chiese sassoni, tornò a casa con una più profonda conoscenza della cultura medievale, ma anche con il senso di come la vita sarebbe difficile in quei villaggi, oggi come allora. “Fui colpita da come era primitiva. Queste sono persone che vivono al limite della sussistenza; io non vorrei mai vivere in questo modo. Ma d’altra parte, c’era una enorme bellezza della natura, un paesaggio veramente splendido. Non mi sembrava che le persone non vivessero con l’ansia di possedere molte delle cose moderne.”

La Professoressa Krushche – specialista nella conservazione storica, che ha condotto studi estesi sull’architettura sacra dell’India, suo paese natale, per l’uscita prossima di un libro, e che ha passato un’ estate a Roma analizzando le rovine con uno scanner laser tridimensionale – sostiene che gli studenti hanno scorto la possibilità di un equilibrio fra antico e moderno.”

Mentre era studentessa alla Technical University di Dresda, Krusche visitò per la prima volta quei villaggi prendendo parte ad un progetto sponsorizzato dal Prince’s Trust—la fondazione del Principe Carlo che finanzia il Mihai Eminescu Trust, altra fondazione locale che si occupa di reperire fondi per il mantenimento della peculiarità culturale dei villaggi. Questa organizzazione rumena si oppose molto coraggiosamente ai piani del dittatore Nicolae Ceausescu per il livellamento “culturale” dei villaggi e in epoca recente ha contribuito a ristrutturare 300 edifici, educare 100 abitanti ad usare le conoscenze tradizionali per migliorare il proprio stile di vita e ha incoraggiato 1000 sassoni a tornare nella regione. Il loro lavoro include iniziative di turismo eco-sostenibile come la creazione di bed & breakfasts, sentieri per passeggiate a piedi e a cavallo, gruppi di danze folcloristiche, un frutteto biologico adibito alla vendita e la trasformazione di attività artigianali come la tessitura, la produzione di ceramiche, marmellate, formaggi, miele e prodotti dell’orto, in vere e proprie attività commerciali. Sono riusciti inoltre a sventare la costruzione nell’area di un parco tematico su Dracula.

La missione degli studenti di Notre Dame si spinge oltre, con la offerta di idee su come poter accogliere centri per turisti, caffè, guesthouse, laboratori artigiani e negozi, negli edifici preesistenti, per portare i servizi necessari ai cittadini assicurando contemporaneamente il rispetto di uno stile di vita autentico.

”Forse non vogliamo vivere come queste persone,” fa notare la prof. Krusche, “ma oggi c’è un enorme interesse nella conoscenza di ciò che c’è in quei villaggi.”

Jay Walljasper- Il cui libro “All That We Share: A Field Guide to the Commons (Tutto ciò che condividiamo: guida ai comuni;ndt)”, uscirà questo inverno – è co-editore di On The Commons.org e collaboratore del National Geographic Traveler. Questo articolo è stato tratto e adattato dalla rivista Notre Dame. Il suo sito: JayWalljasper.com.

Fonte:www.energybulletin.net
Link: http://www.energybulletin.net/stories/2010-11-29/what-we-can-learn-transylvania-really
24.10.2010

Traduzione per www.comedonchgisciotte.org a cura di CLAUDIA FILIPPI

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