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La Redazione

 

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Cosa nasconde l’autonomia differenziata
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A cura di Redazione CDC
Il 28 Giugno 2024
17864 Views

Mercoledì 27 giugno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge sull’autonomia differenziata, dopo 6 giorni dalla sua approvazione definitiva da parte del Parlamento.

In vista della consultazione referendaria (e della relativa caccia al quorum) che molto pobabilmente sarà promossa (secondo l’art.75 della Costituzione) da parte delle regioni targate PD, cerchiamo di capire cosa nasconde la riforma approvata e se davvero essa conviene soltanto agli interessi governativi attuali, o non è invece parte di una strategia di sistema che arriva dai diktat dei trattati e dalle riforme europee a cui l’Italia è subalterna: quel vincolo esterno tanto caro alla sinistra globalista e alle multinazionali, anche italiane.

Con la Meloni, ci sono paragoni.

Buona lettura.

Autonomia differenziata e lesione del diritto alla salute

 

Di Ciro Cardinale, lacittafutura.it

Com’è noto è stata approvato il disegno di legge 1665, che reca disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario, provvedimento già approvato dal Senato con modifiche rispetto al testo originario voluto dal Governo Meloni con l’obiettivo di attribuire alle regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, in particolare nelle materie (o ambiti di materie) che fanno riferimento ai diritti civili e sociali, che devono essere garantiti equamente a tutti su tutto il territorio nazionale nel rispetto dei LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, che indicano la soglia costituzionalmente necessaria e invalicabile per l’erogazione delle prestazioni sociali di natura fondamentale. Dietro al nome autonomia differenziata si nasconde in realtà un processo di divisione del Paese, di rottura del patto repubblicano che finora ha cementato l’Italia tutta, dalle Alpi a Lampedusa. Essa provocherà un accesso diversificato ai diritti universali, che dovrebbero invece essere costituzionalmente garantiti a tutti i cittadini e le cittadine in eguale misura su tutto il territorio nazionale, perché ogni regione farebbe autonomamente da sé con i propri fondi, trattenendo la maggior parte del gettito fiscale raccolto, che non verrebbe più redistribuito a livello nazionale per perequare le diversità esistenti tra i vari territori. Ogni regione potrà così avere le proprie scuole e le proprie università, una sanità propria e potrà gestire autonomamente e come meglio crede il proprio territorio e le proprie infrastrutture, cambiando in tal modo i rapporti di forza tra Stato e regioni, tra regioni del Nord e quelle del Sud, tra cittadini di serie A che possono godere di ampi ed efficienti servizi e tutti gli altri. L’autonomia differenziata alla fine cambierà anche la forma del nostro Stato, avvicinandolo sempre più pericolosamente verso uno Stato federale.

Una vittima illustre di tale riforma sarà anche il nostro sistema sanitario pubblico, già da tempo sotto attacco da parte di politici e partiti di destra a favore di una sempre più ampia quota di servizi affidata alla sanità privata. L’autonomia differenziata in ambito sanitario diventerebbe allora il grimaldello per scardinare e svuotare da dentro il sistema sanitario nato nel 1978, facendolo virare verso un modello privatistico in cui la faranno da padrone i ras delle cliniche e degli ambulatori privati e le assicurazioni sanitarie, in cui chi potrà permetterselo si curerà bene nelle strutture private di eccellenza, mentre tutti gli altri si dovranno accontentare di quello che sarà solo l’ombra del servizio sanitario come lo conosciamo adesso.

Il servizio sanitario nazionale è stato istituito con la legge 23 dicembre 1978, n. 833. Esso si fonda sui principi di universalità, uguaglianza ed equità, a tutela del diritto universale alla salute proclamato nell’articolo 32 della nostra Costituzione, garantendo in tal modo l’accesso paritario al servizio sanitario a tutta la popolazione italiana, senza distinzione alcuna, cosa che certamente non avveniva col sistema precedente, basato sulle mutue private o aziendali. Il sistema ha funzionato bene per parecchi anni, garantendo ottimi standard di assistenza sanitaria e permettendo anche di innalzare le aspettative di vita della popolazione italiana. Ma a partire dagli anni ’80 del secolo scorso la sconfitta dei movimenti politici, sociali e sindacali democratici e il trionfo del liberismo hanno portato dapprima alla regionalizzazione del servizio sanitario, e poi al suo graduale smantellamento pezzo per pezzo, con la scusa dell’insostenibilità dei costi per le casse pubbliche e della necessità di avere una maggiore efficienza ed efficacia della spesa sanitaria. Vengono allora chiusi ospedali e ambulatori, ritenuti poco efficienti, ridotte le piante organiche di medici, infermieri e operatori sanitari, tagliati i fondi e gli investimenti in strutture e apparecchiature… verso l’obiettivo – non tanto nascosto – di fare mutare natura al sistema sanitario nazionale, virandolo verso uno privato, sempre però finanziato con i soldi pubblici. In questo contesto è evidente che il diritto alla salute diventa solo una chimera, i tempi di accesso alle prestazioni sanitarie si allungano a dismisura, la qualità del servizio è sempre più scadente, medici, infermieri e operatori sono spinti a fuggire verso il privato, dove trovano stipendi più alti e ambienti più rilassati, i cittadini esasperati sono costretti ad attendere per settimane o mesi una prestazione sanitaria cui hanno diritto, oppure si rivolgono alle strutture private a pagamento, pur continuando a finanziare con i loro contributi una sanità pubblica che non funziona più. Eppure, la salute continua a essere un diritto fondamentale, anzi è l’unico tra i vari diritti riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale ad essere espressamente definito come tale dall’articolo 32, diritto che la Corte di cassazione [1] ha considerato come “diritto soggettivo perfetto”, cioè “diritto assoluto e di rango primario per la persona umana”. Ma il colpo di grazia a questo malato ormai in coma sarà dato adesso dall’autonomia differenziata. L’autonomia differenziata non farà altro che peggiorare la situazione attuale, giungendo al paradosso di permettere la realizzazione in Italia di ben 21 servizi sanitari regionali e provinciali (per Trento e Bolzano), tutti diversi tra loro per prestazioni, risultati e obiettivi, in barba al diritto alla salute dei cittadini, come del resto ha pure evidenziato la Fondazione Gimbe [2]. Essa ha documentato che fin dal 2010 si sono registrati enormi divari in ambito sanitario tra il Nord e il Sud del Paese. In particolare, monitorando i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, cioè le prestazioni sanitarie che le regioni devono garantire ai cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, emerge che nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna regione meridionale. Ancora, nel 2022, a fronte di un’aspettativa di vita media nazionale alla nascita di 82,6 anni, si passa dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, con tutte le regioni del Mezzogiorno che registrano valori inferiori alla media. È pure in aumento la mobilità dei cittadini meridionali verso le strutture sanitarie del Nord per farsi curare, mobilità che rischia di generare anche un paradosso: l’aumento di questa migrazione aggraverà pure la spesa sanitaria delle regioni settentrionali, costringendole prima o poi a tagliare i servizi o aumentare le imposte, a scapito anche dei loro cittadini. Le maggiori autonomie in campo medico potenzierà pure la performance sanitaria già alta delle regioni del Nord, a scapito di quelle meridionali, provocando pure una fuga dei lavoratori delle professioni sanitarie verso il Settentrione, dove riceveranno migliori condizioni economiche, impoverendo ulteriormente il già scarno capitale umano meridionale. Stando così le cose, proprio come rivela Gimbe nel suo rapporto, la maggiore autonomia in campo sanitario chiesta dalle regioni settentrionali e che presto verrebbe attuata con l’autonomia differenziata non potrà che amplificare le attuali diseguaglianze tra i vari territori italiani, portando al crollo del sistema sanitario nel Sud Italia, già in agonia. Di tutto questo se ne avvantaggeranno ovviamente la sanità privata e le assicurazioni, pronte a fare la loro parte per riempire i vuoti lasciati liberi dal servizio sanitario pubblico in ritirata.

Come si è visto qui in estrema sintesi, l’autonomia differenziata anche in campo sanitario reca con sé molti dubbi, che finora la maggioranza di governo ha preferito ignorare. Un progetto così scellerato deve allora trovare l’opposizione ferma di cittadini e cittadine, perché sicuramente antidemocratico e lesivo dei principi fondamentali della nostra Costituzione, primo fra tutti il diritto fondamentale alla salute. È necessario allora agire in concreto per difendere tale diritto e garantire l’accesso alle prestazioni sociosanitarie in maniera paritaria a tutti i cittadini e le cittadine della Penisola, traducendo i bisogni di cura e salute della popolazione in rivendicazioni individuali e collettive nei confronti delle strutture sanitarie locali e regionali, facendo pure conoscere cosa diventerà domani un servizio fondamentale e imprescindibile per tutti se dovesse venire approvata la riforma oggi in discussione in Parlamento.

Di Ciro Cardinale, lacittafutura.it

22.06.2024

Titolo originale: Autonomia differenziata e lesione del diritto alla salute

NOTE

[1] Sentenza n. 786/1973.

[2] Rapporto L’autonomia differenziata in sanità, in https://documenti.camera.it/leg19/documentiAcquisiti/COM01/Audizioni/leg19.com01.Audizioni.Memoria.PUBBLICO.ideGes.34026.26-03-2024-11-34-12.951.pdf.

Fonte: https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/autonomia-differenziata-e-lesione-del-diritto-alla-salute

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