DI MAURO BOTTARELLI
rischiocalcolato.it
Parlando a un evento alla Camera di commercio di Providence, Rhode Island, il numero uno della Fed, Janet Yellen, ha di fatto calciato ancora avanti per un po’ il barattolo del rialzo dei tassi, confermando che se l’economia americana continua a migliorare come mi aspetto, credo che sarà appropriato a un certo punto quest’anno fare il passo iniziale di alzare i tassi e iniziare il processo di normalizzazione della politica monetaria. Al contrario, il passo della normalizzazione potrebbe rallentare se le condizioni diventano meno favorevoli.
Insomma, tutto e niente ma sufficiente per far tirare un sospiro di sollievo ai mercati dopo che nel primo pomeriggio, il mattino in America, un dato aveva fatto correre brividi lungo la schiena di molti. Il dato dell’inflazione core su base mensile faceva infatti registrare un netto balzo in avanti, il maggiore dal 2013, guidato nemmeno a dirlo dalle spese sanitarie legate al programma Obamacare, le quali con il loro +0,7% aggiornavano il record del 2007.
Il problema è che fino ad oggi il programma sanitario fortemente voluto dal presidente era stato difesa per un motivo sostanziale: ovvero, non aveva fatto salire i costi della spesa medica. Il motivo è presto detto: molti assicuratori non era stati in grado di implementare l’impatto di Obamacare nei loro Profit/Loss. E adesso? Nemmeno a dirlo, alla luce del dato ecco che le principali compagnie dei vari Stati proponevano notevoli aumenti dei tassi per i piani assicurativi venduti sotto la Federal Health Law. Per capirci, la Health Care Service Corporation, leader in New Mexico, chiedeva un aumento dei premi del 51,6% nel 2016; la BlueCross BlueShield, terzo gruppo del Tennessee, chiedeva un aumento medio del 36,3%; in Maryland, il leader del mercato CareFirst BlueCross BlueShield, voleva un aumento del 30,4% sui suoi prodotti, mentre in Oregon la Moda Health spingeva per un aumento medio del 25%. Nemmeno a dirlo, tutti citavano i più alti costi medici per i nuovi iscritti sotto l’Affordable Care Act. Insomma, Obamacare prima era riuscito a far crescere il Pil del terzo trimestre dello scorso anno, quello mitologico del 5% e ora è riuscito in ciò che la Fed non è stata in grado di ottenere: il rialzo dell’inflazione.
Ma al netto di un altro crollo repentino del prezzo del petrolio che faccia crescere il cosiddetto “gas-saving”, ovvero il risparmio energetico e garantisco del denaro in più ai cittadini Usa, cosa succederà? Semplice, questo aumenti – tardivi ma molto pesanti – andranno a intaccare i consumi, componente che pesa per il 70% del Pil statunitense. Che fare, quindi? Accettare un Pil per i prossimi due trimestri magari negativi? Intervenire come al solito attraverso le revisioni o gli aggiustamenti stagionali? No, c’è un qualcosa di meglio e va un po’ a riallacciarsi con quanto scritto da FunnyKing rispetto alla Siria e alla volontà/necessità Usa di innescare un conflitto in piena regola. La guerra, il moltiplicatore keynesiano del Pil per antonomasia. Altrimenti come spiegare il fatto che gli Stati Uniti stiano per incassare oltre 4 miliardi di dollari dalla vendita di armamenti ad Arabia Saudita, Israele e Iraq? Ryad acquisterà, dopo il voto favorevole del Dipartimento di Stato Usa di questo pomeriggio, elicotteri Seahawk per il controvalore di 1,9 miliardi di dollari: un vero capolavoro, anche di timing. Nel giorno infatti in cui l’Isis è sbarcato ufficialmente in Arabia attaccando una moschea, il regime saudita – primo finanziatore dello stesso Isis – ha un pretesto meraviglioso per muovergli guerra contro, acquistando armi dagli Usa ben elici di venderle. Altri 1,9 miliardi di dollari arriveranno poi dall’acquisto da parte di Israele di 3mila missili di precisione, 250 missile aria-aria 250 AIM, 4100 bombe a piccolo diametro e 50 BLU-113 bombs, guarda caso quelle perfette per distruggere i bunker (o, se preferite, le installazioni nucleari sotterranee iraniane: temo che l’accordo recentemente raggiunto incapperà in qualche contrattempo da qui alla ratifica del 30 giugno prossimo). Tra i beneficiari diretti della vendita a Israele figurano Boeing, Ellwood National Forge, General Dynamics, Lockheed Martin e Raytheon Missile Systems. E per finire, l’Iraq acquisterà 2000 missili anti-carro AT-4 per contrastare le autobombe dello Stato islamico, stante a quanto dichiarato dal governo di Baghdad: l’ordine iniziale era di 1000 ma si sa, in periodi come questi certe cose vanno via come il pane! Complettismo? Forse ma guardate questo grafico.
Ci mostra come da quando gli Usa più i loro volenterosi alleati hanno cominciato i raid anti-Califfato lo scorso 31 agosto e fino al 10 gennaio scorso, i territori finiti sotto il controllo dei tagliagole siano triplicati (oggi la situazione è ancora peggiore). Bombardamenti inefficaci? Piloti distratti? O semplici rifornimenti? Prima di essere scambiato per un trinariciuto bolscevico, vi dico che la cartina qui sopra è tratta dal Wall Street Journal. E che solo ora la Casa Bianca si sia detta preoccupata dell’Isis (quanto fatto finora a quanto pare era poco), dovrebbe far riflettere. Il timing, nella vita come negli affari, è tutto.
Mauro Bottarelli
Fonte: www.rischiocalcolato.it
Link: http://www.rischiocalcolato.it/2015/05/cosa-lega-il-pil-usa-allisis-forse-keynes.html
23.05.2015