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DI JOSEPH STIGLITZ
lavanguardia.es

Negli Stati Uniti, i Repubblicani preferiscono vedere il fiasco di Obama a un esito economico; in Europa, i 27 paesi si muovono in direzioni diverse. La crescita rallenterà, le entrate da imposte diminuiranno e la riduzione dei deficit sarà deludente. Un programma di investimenti su larga scala stimolerà l’occupazione a corto termine e la crescita a lungo termine.

L’economia globale finisce il 2010 più divisa che all’inizio dell’anno. Da una parte, i paesi dai mercati emergenti come India, Cina e le economie del Sud-est asiatico stanno vivendo una forte crescita; dall’altro, Europa e Stati Uniti affrontano un rallentamento -di fatto un malessere in stile giapponese – e una disoccupazione particolarmente alti. Il problema dei paesi sviluppati non è un recupero senza occupazione, ma un recupero anemico. O, peggio, la possibilità di una recessione a doppia caduta.

Questo mondo a doppia velocità presenta alcuni rischi inconsueti. Mentre la produzione economica dell’Asia è troppo piccola per trainare la crescita nel resto del mondo, è però sufficientemente grande per far aumentare i prezzi delle materie prime.

Nel frattempo, gli sforzi degli Stati Uniti per stimolare la propria economia attraverso la politica del “sollievo quantitativo” possono fallire. In effetti, nel mercato finanziario globale, il denaro cerca le migliori prospettive nel mondo e queste si trovano in Asia e non negli Stati Uniti. Ed è per questo che il denaro non andrà dove è necessario e non finirà dove è richiesto, causando ulteriori aumenti dei prezzi sugli attivi e sulle materie prime, specialmente nei mercati emergenti.
Considerando gli alti livelli di disoccupazione in Europa e negli Stati Uniti, è poco probabile che il “sollievo quantitativo” produca un inizio d’inflazione. Potrebbe, al contrario, far aumentare l’ansia per una futura inflazione, facendo aumentare i tassi d’interesse sul lungo periodo, cioè l’esatto contrario dell’obiettivo voluto dalla Riserva Federale.

Questo non è comunque l’unico rischio d’impatto negativo, e nemmeno il più importante, che affronta l’economia globale. La maggiore minaccia nasce dall’ondata d’austerità che colpisce il mondo, insieme al fatto che i governi, specialmente in Europa, affrontano i grandi deficit originati dalla Grande Recessione e che l’ansia sulla capacità di alcuni paesi nel rispettare le scadenze del debito contribuisce all’instabilità del mercato finanziario.

Il risultato di un consolidamento fiscale prematuro è quasi annunciato: la crescita rallenterà, gli ingressi delle imposte diminuiranno e la riduzione dei deficit sarà deludente. Nel nostro mondo globalmente integrato, il rallentamento dell’Europa aggraverà quello degli Stati Uniti, e viceversa.

In una situazione in cui gli Stati Uniti possono ottenere prestiti a basso interesse in cui gli investimenti pubblici, dopo un decennio di negligenza, promettono alti benefici, è chiaro ciò che si dovrebbe fare. Un programma di investimenti pubblici su larga scala stimolerebbe l’occupazione a breve termine e la crescita a lungo termine, favorendo alla fine una riduzione del debito nazionale. Eppure i mercati finanziari, che dimostrarono la loro miopia negli anni precedenti alla crisi, continuano ad essere miopi e a premere per ottenere tagli di spesa, anche se questo significa ridurre drasticamente gli investimenti pubblici necessari.
La confusione politica impedirà, inoltre, che si possa fare qualcosa per gli altri problemi urgenti che l’economia americana ha davanti a sé: le esecuzioni ipotecarie continueranno probabilmente il loro corso furioso (lasciando da parte le complicazioni legali); è probabile che le piccole e medie imprese restino senza fondi e che le piccole e medie banche che offrono credito debbano continuare a lottare per sopravvivere.

In Europa, nel frattempo, è poco probabile che le cose vadano meglio. L’Europa è riuscita a riscattare la Grecia e l’Irlanda. Alla vigilia della crisi, entrambi i paesi erano retti da governi di destra caratterizzati da un capitalismo connivente, a dimostrazione del fatto che l’economia di mercato non funzionava meglio in Europa che negli Stati Uniti.

In Grecia, come negli Stati Uniti, il compito di rimettere ordine cadde su un nuovo governo. Com’era prevedibile, il governo irlandese, che attivò un prestito bancario imprudente e creò una bolla immobiliare, non fu più adatto a gestire l’economia dopo la crisi di quanto lo era stato prima.

A parte la politica, le bolle immobiliari lasciano dietro di sé un cumulo di debiti e di sovraccapacità produttiva nel mercato dei beni radice che non si riesce a correggere facilmente, soprattutto quando banche politicamente collegate rifiutano di rinnovare le ipoteche.

La mia opinione è che tentare di prevedere le prospettive economiche del 2011 non è una questione particolarmente interessante: la risposta è cupa, con poche probabilità verso l’alto e molti rischi verso il basso. Le questioni più importanti sono: quanto ci metteranno Europa e Stati Uniti a recuperarsi? Le economie dell’Asia, apparentemente legate all’esportazione, potranno continuare a crescere se i loro mercati storici languiscono?

Sono convinto che questi paesi manterranno un’alta crescita se dirigeranno i propri sforzi economici verso i loro mercati interni, vasti e inesplorati. Questo significherà una ristrutturazione profonda delle loro economie, ma sia Cina che India sono dinamiche e hanno mostrato capacità reattiva di fronte alla Grande Recessione.
Non sono ottimista rispetto all’Europa e agli USA. In entrambi i casi, il problema soggiacente è una domanda totale insufficiente. L’ironia è che esiste, simultaneamente, una capacità produttiva eccessiva, grandi necessità insoddisfatte e politiche che potrebbero ristabilire la crescita se usassero queste capacità per soddisfare le necessità.

Stati Uniti ed Europa, per esempio, dovrebbero adattare le loro economie per far fronte alla sfida del riscaldamento del pianeta. Ci sono politiche concrete che funzionerebbero anche in una situazione di limiti di spesa a lungo termine. Il problema è politico: negli Stati Uniti, il Partito Repubblicano preferisce il fallimento di Obama piuttosto che osservare un successo economico. In Europa, 27 paesi con interessi diversi si muovono ognuno in direzioni distinte, senza che ci sia sufficiente solidarietà per compensare. I programmi di sostegno sono già stati, da questo punto di vista, un successo impressionante.

Tanto in Europa come negli Stati Uniti, l’ideologia del libero mercato, che ha permesso la nascita delle bolle d’attivo in modo incontrollato –il mercato sa sempre di più e il governo non deve intervenire- lega le mani ai responsabili impedendogli di articolare risposte effettive alla crisi. Si poteva pensare che la crisi stessa avrebbe fatto svanire la fiducia in questa ideologia. Al contrario, è tornata in superficie per trascinare governi ed economie sul sentiero dell’austerità.
Se la politica è il problema tanto in Europa come negli Stati uniti, forse solo un cambio politico potrà ricondurli sulla strada della crescita. Altrimenti, possono aspettare che la minaccia della sovraccapacità produttiva si riduca, i profitti del capitali diventino obsoleti e le forze restauratrici interne dell’economia tornino gradualmente a funzionare.

In ogni caso, la vittoria non è dietro l’angolo.

Joseph Stiglitz
Fonte: www.lavanguardia.es
Link: http://www.lavanguardia.es/20110102/54096537634/que-nos-depara-el-2011.html
2.01.2011

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MARIO SEI

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