DI PEPE ESCOBAR
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La recente Madre di Tutte le Correzioni sul mercato azionario cinese – che ha bruciato 3.8 trilioni di dollari sulla carta – inevitabilmente ha indotto i soliti “esperti” statunitensi a prevedere, ancora una volta, il collasso imminente della Cina. Hong Kong ha persino riesumato il meme del “cambio di regime”.
Le montagne russe sono durate un paio di giorni. Poi più nulla. Significativamente i maggiori fondi USA – tra cui Fidelity e Goldman Sachs – sono stati tra i primi a dichiarare che la tempesta era passata e che si poteva voltare pagina. Goldman Sachs, in ogni caso, ben presto è ritornata a fare il bullo di quartiere. Il suo capo degli economisti in Cina, Kinger Lau, ha previsto che Shanghai risalirà del 27% nei prossimi 12 mesi.
Quindi non è una bolla. Almeno non lo è ancora. Pechino ha un sacco di strumenti per – come si direbbe in Neolingua – “supportare il mercato”. Secondo la massima del Piccolo Timoniere Deng Xiaoping, “Socialismo con caratteristiche cinesi”, che non si fermerà di fronte a nulla per controllare l’ “esuberanza irrazionale” dei mercati.
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Il FMI – considerando il suo disastro capitalistico diffuso per tutto il mondo in via di sviluppo, per non menzionare il dopo-crisi asiatica del 1997 – non è mai una fonte affidabile. Ma in questo caso, il capo degli economisti dell’FMI Olivier Blanchard almeno non si è preso in giro da solo: ha sottolineato che il casinò della borsa cinese “non si ripercuote sui fondamentali” dell’economia. Il crollo, ha aggiunto, “è un evento secondario”.
Diventare ricchi è un casinò
Il mercato azionario cinese è dominato dai piccoli investitori. Circa il 5-6% della popolazione della Cina – una nazione di inguaribili giocatori – pari a 1.6 miliardi di persone si diverte a giocare in borsa. I singoli coprono l’80% delle movimentazioni di Shanghai e Shenzhen. Esso è pari solo al 32% del PIL cinese – paragonare con gli USA, il 123% del PIL e almeno il 100% per le altre nazioni sviluppate.
Vero, questi investitori, dopo la botta, saranno più prudenti e il consumo cinese nel suo insieme potrebbe rallentare. Ma la sofferenza finanziaria si applica di fatto a non più di 30 milioni di famiglie cinesi – molte delle quali appartenenti dalla classe medio-alta a quella molto facoltosa, secondo l’azienda di servizi finanziari GaveKal.
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Ci potrebbero essere altre correzioni lungo la via. Ma allora per lo meno avranno imparato.
Pechino ha speso ingenti capitali politici ed economici per rendere Shanghai un polo finanziario riconosciuto a livello mondiale: in soldoni la nuova Hong Kong. Ciò è connesso al desiderio di rendere lo Yuan una valuta di riserva internazionale. Il successo economico è la spinta fondamentale per sostenere il progetto del Presidente cinese Xi Jinping di realizzazione del “sogno cinese”.
È sempre importante ricordare che il “sogno cinese” di Xi, a breve termine, è focalizzato su una data precisa: il 2021, anno del centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese. Per allora, Xi si aspetta di aver reso la Cina “una società moderatamente prospera”.
Quei 30 milioni di famiglie dipendenti dall’idea che “diventare ricchi sia glorioso” – un’altra massima di Deng – vanno bene. Ma per Pechino ancora più importante è il potere che si acquisisce prendendosi cura del Cinese medio.
Ad esempio, più di 13.2 milioni di lavori urbani sono stati creati nel 2014, più che nel 2013. Ci sono nuovi tipi di affari, una crescita del 45.9% rispetto all’anno precedente. I consumi ed i servizi continuano a crescere assieme al PIL. Il trend medio – dimenticato nel marasma dell’isteria da crollo della borsa – è che il modello economico cinese si sta dirigendo lento ma inesorabile verso una crescita più moderata – ma più sostenibile.
Ultimo ma non meno importante, la Cina è cresciuta del 7% nel secondo trimestre del 2015 – lasciando i soliti profeti dell’Apocalisse con a bocca spalancata.
L’attacco degli speculatori assassini
Pechino sa che un mercato ribassista prolungato potrebbe influenzar negativamente la finanza aziendale, portare scompiglio e scosse economiche e persino mettere a repentaglio la leadership politica.
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Dopo alcuni tentennamenti della leadership su come “salvare” il mercato, il Premier Li Keqiang – addottorato in economia – ha riunito un Consiglio di Stato e tutta la macchina è stata messa in modalità di gestione di crisi, per correggere la correzione. Come ha detto Ma Guoxian, un economista politico dell’Università di Shanghai di Economia e Finanza “Il governo ha apparentemente messo stabilità finanziaria e sociale a cappello del programma a lungo termine delle riforme di mercato, per sviluppare i suoi mercati di capitali”.
C’è anche il punto di vista di breve termine. Pechino ha bisogno di un ritorno ad un mercato rialzista in vista del summit annuale del partito nel resort marittimo di Beidaihe vicino a Pechino la prossima settimana.
Non c’è da stupirsi che l’informazione di questa Madre di Tutte le Correzioni, che era una trappola, abbia avuto forte seguito. Un’imboscata degli speculatori di Wall Street è legato ad una minaccia di guerra da parte del Pentagono circa le isole al largo del Mar Cinese del Sud e anche una forma di punizione per l’alleanza strategica con la Russia. Non sono teorie della cospirazione, l’ho saputo da membri di grosse aziende statunitensi con forte presenza sul mercato cinese.
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Hanno tirato fuori il 1987 come precedente, quando gli USA avevano manipolato il mercato al rialzo usando cash settlement e poi l’avevano fatto crollare giocando sul cash settlement stesso. Il crollo studiato a tavolino a New York nel 1987 avrebbe potuto distruggere l’intero mercato USA. Alla fine era intervenuta la Fed, costringendo gli speculatori a rivedere le proprie posizioni.
Per cui secondo questi imprenditori, Pechino ha fatto benissimo ad intervenire stavolta per salvare il capitale del proprio mercato. Il punto è che nel casinò del capitalismo in cui dettano legge gli Dei Neoliberali, tutti i mercati sono manipolati.
Pechino non crede che mercati finanziari non ristretti possano gestire per loro conto la crescita di una nazione: sono solo uno dei tanti modi.
Sanno anche che il ballo del capitale sulla roulette del mondo – che comanda rispetto all’economia produttiva – è una buona spiegazione del boom artificiale di Shanghai sul mercato cartaceo. A Pechino ci sarà voluto un po’ per intervenire, ma quando l’ha fatto sembrava Terminator.
L’impero di mezzo colpisce ancora
Persino l’OCSE ha fatto squillare gli allarmi – invano. Nel mondo le grosse aziende e gli investitori istituzionali sono seduti su non meno di 57.000 miliardi di dollari, l’equivalente del 120% del PIL di tutte le nazioni industrializzate. Nessuna di loro investe in produzione, solo in speculazione.
Perchè? Perchè – per lo meno in occidente – non c’è lavoro, la domanda ristagna o crolla, non c’è spinta pubblica agli investimenti, non ci sono progetti di grandi infrastrutture. Questo non è il caso dell’Asia – men che meno della Cina.
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Sette anni dopo l’implosione del “Mondo Nuovo Neoliberale” nel 2008, gli investimenti reali nel Nord industrializzato sono il 17% in meno che nel 2008. Gli investimenti esteri a scopo produttivo sno crollati nel 2014. Nel frattempo, la disuguaglianza è esplosa: nel Nord industrializzato la ricchezza media del 10% più ricco è 10 volte la ricchezza media del 10% più povero (una generazione fa era il 7-8%).
Per cui in breve ciò che abbiamo è la mentalità della rendita andata fuori controllo, che continua a produrre bolle che in ultima istanza si trasformano in crolli. Pechino, con il suo intervento, ha detto che era abbastanza. Ha inoltre mandato un chiaro messaggio agli speculatori e ai manipolatori dei mercati, che potrebbero comprendere o meno il lato “ufficiale” di Washington (il Dipartimento del Tesoro USA ha negato ogni implicazione): non pensate nemmeno di preparare attacchi verso i nostri mercati finanziari. È significativo che la Commissione Cinese per il Controllo e la Sicurezza abbia aperto un’indagine ufficiale a riguardo.
Se gli imprenditori statunitensi hanno ragione e gli speculatori di Wall Street stanno lanciando un attacco, l’obiettivo finale sarebbe distruggere, o per lo meno scalfire, la spinta cinese volta all’integrazione eurasiatica.
La Cina – dalle Nuove Vie della Seta alla banca AIIB, al ruolo preponderante nella Nuova Banca per lo Sviluppo dei BRICS – ha il ruolo che spicca di più nel finanziare banche, infrastrutture e progetti di sviluppo che bypassano totalmente l’attuale egemone mondiale.
Per cui Pechino ha vinto questo round. Ce ne saranno altri. Ci vediamo alla prossima Madre di Tutte le Correzioni.
Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].
Fonte: http://rt.com/
Link: https://www.rt.com/op-edge/310108-escobar-china-economy-globalization/
17.07.2015
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO