DI VALENTIN KATASONOV
Strategic-Culture.org
L’istituzione del segreto bancario ha le ore contate. La distruzione del World Trade Center di New York dell’11 settembre 2001 e la crisi finanziaria del 2007-2009 possono entrambe considerarsi gli eventi che ne hanno segnato la fine.
Il primo ha dato il via alla lotta contro il terrorismo da parte di Washington, che con questo pretesto ha iniziato a ottenere un sempre maggiore accesso alle informazioni sui clienti delle banche, sui loro conti e sulle loro transazioni.
Il Patriot Act, approvato dopo l’11 settembre 2001, mise le agenzie d’intelligence statunitensi in condizioni tali da poter accedere liberamente a quelle che prima erano informazioni riservate, senza dover ottenere alcun permesso speciale da parte di pubblici ministeri e di giudici. Attraverso varie organizzazioni internazionali (OCSE, FMI, ecc), Washington, in seguito, ha iniziato ad avere libero accesso alle informazioni bancarie di tutto il mondo.
Il secondo evento, la crisi finanziaria, ha dato il via a un processo repressivo nei confronti dei conti offshore e del segreto bancario. E chi ha condotto la campagna contro il segreto bancario e i conti offshore? Gli Stati Uniti.
Questi sono i motivi ufficiali dell’attiva campagna avviata da Washington nel 2009 per distruggere ogni “ombra” finanziaria presente negli Stati Uniti e oltre i suoi confini. Tuttavia, oltre alle dichiarazioni e alle motivazioni ufficiali, c’è anche un obiettivo nascosto, ed è l’istituzione del controllo diretto da parte di Washington sul sistema finanziario e bancario globale (in altre parole, un’oligarchia finanziaria che fa capo a Washington).
Quando, al culmine della crisi finanziaria, apparve chiaro che nel Tesoro degli Stati Uniti non c’erano abbastanza soldi per tappare i buchi più grandi, (va ricordato che Washington iniziò a stanziare centinaia di miliardi di dollari nel tentativo di salvare le banche di Wall Street), apparve sulla scena la figura fino ad allora sconosciuta di Bradley Birkenfeld.
Birkenfeld era un ex-dipendente del gigante bancario svizzero UBS; era stato, infatti, capo del dipartimento del private banking. Egli dichiarò che nelle banche svizzere c’erano moltissimi evasori fiscali statunitensi e che era pronto a collaborare con le forze dell’ordine statunitensi per denunciare questi evasori.
Il Dipartimento di Giustizia e il Sistema delle Entrate americani iniziarono a chiedere che UBS e altre banche svizzere rivelassero i nomi dei contribuenti americani titolari di conti presso le loro banche. Inoltre, accompagnarono la richiesta con la minaccia di ritirare le licenze delle filiali UBS presenti in America. Il 19 febbraio 2009 UBS cedette alle pressioni e accettò di rivelare i nomi di 250 loro clienti statunitensi che si erano rifugiati nei conti svizzeri per evadere le tasse del loro paese. La banca dovette pagare una multa di 780 milioni dollari come risarcimento per imposte non corrisposte al Tesoro degli Stati Uniti. E Washington sta ancora procedendo in questa sua campagna. E’ stata difatti presentata un’intimazione alla Banca UBS a fornire informazioni su tutti i suoi clienti statunitensi (per un totale di 52.000), tra i quali certamente si sarebbero potuti trovare degli evasori…
Si stava creando un brutto precedente. L’intera comunità bancaria svizzera ebbe un sussulto. La crema dell’off-shore mondiale, nota da più di tre secoli con il nome di Confederazione Elvetica, stava per ricevere un colpo mortale. Alla fine di Aprile 2014, il presidente e ministro delle finanze svizzero, Hans-Rudolf Merz, ha tentato di persuadere il Segretario del Tesoro USA Timothy Geithner a ritirare la causa contro UBS. Merz ha promesso al suo collega americano che avrebbe garantito l’approvazione nel Parlamento Svizzero di un nuovo accordo sulla doppia imposizione, sulla quale gli Stati Uniti erano così insistenti. Tuttavia, Washington si è mostrata irremovibile.
Il Tribunale amministrativo della Confederazione svizzera ha tentato di intervenire, convocando una seduta straordinaria durante il periodo festivo. La ragione di questa seduta di emergenza era una richiesta di appello collettiva da parte di otto clienti americani di UBS con conti presso la banca. Il Tribunale ha vietato a UBS e all’Autorità di Vigilanza sui Mercati Finanziari (FINMA) di rivelare i nomi dei suoi clienti all’ufficio delle imposte statunitense. Infatti, il Tribunale ha avvisato la banca che, se non avesse rispettato la sentenza, UBS avrebbe potuto essere sottoposta a sanzioni da parte delle autorità svizzere. La sentenza del Tribunale è arrivata troppo tardi. Si è scoperto, infatti, che UBS aveva già consegnato a Washington informazioni sui propri clienti americani. Sono state quindi violate le norme bancarie svizzere.
Negli ultimi cinque anni, dopo la grande crisi finanziaria, l’istituto del segreto bancario ha subito un certo di numero di colpi, e non solo in Svizzera, ma in tutta Europa. Negli ultimi diciotto anni, si sono svolti interminabili colloqui all’interno delle istituzioni europee sul tema dell’abolizione del segreto bancario. Tuttavia, c’è stato un cambiamento di rilievo solo lo scorso anno, quando l’Unione Europea ha raggiunto a livello interstatale un accordo di principio sulla lotta contro l’evasione fiscale. In particolare, è stato previsto che gli Stati membri dell’UE debbano scambiarsi automaticamente le informazioni bancarie necessarie al fine di garantire il pagamento delle imposte da parte d’individui e aziende all’interno dei propri paesi. Due paesi, però, Lussemburgo e Austria, hanno adottato una posizione speciale.
Pur dichiarando, in linea di principio, il loro sostegno all’abolizione del segreto bancario in ambito europeo, si sono però astenuti dal prendere impegni specifici che collegherebbero la firma di specifici documenti al mantenimento di una condizione quale l’adesione alla convenzione da parte di un certo numero di paesi al di fuori dell’UE. Primi fra tutti, quindi, Svizzera e Liechtenstein. Se questi due paesi non aderissero all’accordo multilaterale sullo scambio d’informazioni bancarie, ne risulterebbe un loro sleale vantaggio concorrenziale. Questa situazione non sarebbe accettabile per Lussemburgo e Austria, poiché le economie di questi due paesi hanno un maggior grado di dipendenza nel settore bancario rispetto ad altri Stati membri dell’U.E.
Nel corso dell’ultimo anno, Bruxelles ha esercitato una costante pressione su Austria e Lussemburgo, costringendoli ad abbandonare la loro particolare posizione per quanto riguarda il segreto bancario e la cooperazione nello scambio di informazioni bancarie. I due paesi alla fine hanno capitolato nel Marzo del 2014, e tutti i 28 Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo sull’abolizione del segreto bancario. La pressione esercitata da Bruxelles e Washington, che nell’ombra sta conducendo l’intero processo, si è ora spostata verso altri paesi europei al di fuori dell’Unione Europea. Bruxelles ha già dichiarato, in più di un’occasione, che auspica di poter concludere entro la fine dell’anno accordi simili con Svizzera, Liechtenstein, Andorra, Monaco e San Marino.
Con l’abolizione in Europa dell’istituto del segreto bancario, gli esperti del settore prevedono un aumento del deflusso di capitali verso Singapore, Malesia e Hong Kong.
Certamente Bruxelles e Washington si rivolgeranno ben presto anche ai paesi al di fuori dell’Europa. Hanno già iniziato a utilizzare organismi come l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE) e il G20 per mettere sotto pressione i paesi non europei. L’anno scorso, queste organizzazioni hanno annunciato l’avvio di riforme fiscali internazionali. La parte più importante di queste riforme sarà l’adozione di un programma internazionale per lo scambio automatico d’informazioni fiscali.
La più recente delle misure volte all’abolizione del segreto bancario è stata la firma, nei primi giorni di Maggio 2014, di una dichiarazione relativa all’attuazione di un sistema automatico di scambi d’informazioni fiscali tra gli Stati membri dell’OCSE (34 paesi) e altri 13 paesi. Singapore e Svizzera, i principali centri finanziari precedentemente criticati dai paesi dell’OCSE e del G20 per la loro riluttanza a introdurre tale sistema, sono tra i nuovi partecipanti al programma.
Un secondo strumento ancora più potente nell’erodere il segreto bancario nel mondo è la legge statunitense FATCA, una legge sulla tassazione dei conti esteri. Essa richiede alle banche di tutto il mondo di fornire all’Agenzia delle Entrate statunitense informazioni sui clienti che rientrano nella categoria di “contribuenti americani”.
La legge FATCA può essere considerata come un tentativo da parte di Washington di chiedere a tutte le banche del mondo di eliminare totalmente il segreto bancario. Si presume che anche le banche russe dovranno conformarsi alle prescrizioni della normativa FATCA. Alla luce delle sanzioni economiche statunitensi che si profilano sull’orizzonte russo, soddisfare queste richieste potrebbe essere non solo problematico e inutile, ma anche pericoloso.
Valentin Katasonov, Dottore in Scienze Economiche, Economista e Presidente della S.F. Sharapov Russian Economic Society
Fonte: www.strategic-culture.org
16.05.2014
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63