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Marco Camenisch deve scontare diciassette anni di carcere «I tralicci sono i veicoli dell’energia, sono loro la linfa del sistema»

IL suo nome declinato in mille modi – «Marco libero», «Camenisch condannato a 17 anni di carcere per omicidio», «Marco Camenisch, l’ecoterrorista…» – compare sui muri di mezza Europa, in decine di volantini di rivendicazione di altrettanti attentati a tralicci dell’Enel, centrali nucleari, linee dell’Alta velocità e nell’ultima relazione dei servizi segreti italiani sugli anarco-insurezionalisti. Lui in poca carne e ossa, capelli grigi lunghi oltre le spalle e naso affilato, occhi chiari e divisa d’ordinanza marrone, troppe sigarette e un fiume di parole, è come un’ombra in un angolo di questa sala colloqui del supercarcere a venti chilometri da Zurigo. Un salone ricoperto di parquet chiaro tirato a cera, circondato da muri bianchissimi, affacciato su un’oasi di prato verde e porte blindate blu, immerso in un silenzio rotto solo dalla sirena che suona alle 8 e risuona con precisione svizzera tre ore dopo. «Era meglio il carcere in Italia. Qui, a parte la divisa obbligatoria, c’è anche il lavoro obbligatorio, sette ore in legatoria. Se non ci stai finisci in isolamento», si lamenta lui, una mezza vita dietro le sbarre per due omicidi e decine di attentati. Questo carcere lei lo conosce bene. C’era entrato una prima volta nel gennaio dell’80 per aver fatto saltare i piloni della centrale idroelettrica di Sarelli. A dicembre dell’81 sarebbe poi evaso. Nella fuga muore un agente. E’ il primo omicidio di cui l’accusano.
«Per quell’omicidio sono stato assolto l’anno scorso».
Per un altro omicidio, l’uccisione di una guardia di frontiera al valico di Brusio, vicino al suo paese, il 3 dicembre ‘89, è stato invece riconosciuto colpevole e per questo l’hanno condannata a 17 anni…
«Io al processo non avrei voluto parlare di questi due omicidi. Non avrei voluto dire “sono stato io, non sono stato io”. Ma quando, come nel caso della guardia di frontiera, mi accusano di avergli sparato mentre era a terra disarmato mi sono dovuto difendere. Non sono nè un macellaio nè un boia… Mi hanno condannato a 17 anni ma ho già presentato ricorso in Cassazione. Davanti al Tribunale federale ho presentato un secondo ricorso, per l’entità della pena. Non hanno minimamente tenuto conto dei 12 anni che avevo già scontato in Italia».

Quei 12 anni che le hanno inflitto per una serie di attentati a tralicci, a centrali elettriche, a installazioni industriali. Tutte azioni che ha rivendicato?

«Sì, di quelle si sa già tutto. Sono un uomo d’azione oltre che un uomo degli alpeggi».

Veramente la definiscono un terrorista, un ecoterrorista, un anarchico, un anarconinsurrezionalista. C’è solo da scegliere…

«Sono solo definizioni di comodo che vengono usate di volta in volta. Terrorista poi è un termine oramai inflazionato. Io mi sento anarchico ed ecologista. Un ecologista radicale».

Che cosa c’entra sabotare un traliccio dell’Enel con l’ecologia?

«I tralicci sono i veicoli dell’energia, sono la linfa del sistema. Se li attacchi si ferma tutto. Quando sono state attaccate le linee elettriche del Frejus si sono fermate le fabbriche di armi nel bresciano».

Però non ha risposto. Si può essere contro le fabbriche di armi senza per questo necessariamente sabotare degli impianti industriali…

«Allora devo partire da lontano. Sono nato a Schiers, nel Cantone dei Grigioni, ma quasi per caso. Mio padre era guardia di confine, ci trasferivamo spesso da un posto all’altro. L’idea che fosse necessario un maggior ritorno alla natura mi viene negli Anni Settanta, quando sono ancora al liceo. Alla scuola agricola di Planthof mi rifiuto di studiare l’agricoltura moderna, industriale e meccanizzata. Non ne voglio sapere di fertilizzanti. Ma non mi basta. Prima di finire la scuola vado a vivere in un alpeggio senza luce, l’acqua la prendo da una fonte. Poi ho visto che il sistema voleva costruire le centrali nucleari. Ho capito che dovevo difendermi, che bisognava andare fino in fondo alle cose. Bisognava fermare gli effetti devastanti della civilizzazione, la catastrofe ambientale a cui ci stiamo preparando».

Però ammetterà che un ritorno alle candele e ai lumi a petrolio è impensabile. A parte lei e pochi altri, chi lo vorrebbe? Il progresso ha portato benefici, ha migliorato la qualità della nostra vita. E’ più facile schiacciare un bottone ed avere la luce in casa, una casa riscaldata, che non accendere un fuoco. Non crede?

«Le cose stanno cambiando. La gente è sensibile all’energia pulita, non vuole le antenne delle televisioni o delle radio che producono elettrosmog davanti casa. E’ diffidente di fronte agli organismi geneticamente modificati».

Per questo ci si può difendere in mille modi. Non è necessario abbattere un traliccio…

«La gente diventa sensibile solo se riesce a riconoscere nell’immediatezza un pericolo. Io lo so che non è generalizzabile il mio modello di vita. Quello l’ho scelto per me. Nessuno di noi è totalmente immune dall’intossicazione delle tecnologie moderne. Anche se il sistema ci vuole schiavi della modernità, è sotto gli occhi di tutti che se taglio un bosco è più facile che si provochino delle valanghe. È cambiato il clima. Ci sono diversi autorevoli scienziati, e non sono certo terroristi, che sostengono che c’è una catastrofe ambientale in atto».

Sono teorie su cui si discute molto…

«Io ho voluto sperimentare se si poteva vivere senza acqua e senza luce. Ho capito che così si sta meglio. Altre cose, non così evidenti, sono difficilmente riconoscibili. Il progresso non ha debellato la fame nel mondo, casomai l’ha fatta aumentare. La società moderna con tutte le sue comodità non è riuscita a eliminare le malattie, anzi ne sono nate molte altre. Siete sicuri di volere pagare questo prezzo? Se le cose sono distruttive bisogna farne a meno. Non si può essere schiavi di un sistema che distrugge l’ambiente».

Però anche lei ha un suo sito Internet, la cosa più moderna degli ultimi anni. E in cella ha pure un computer. Come la mettiamo?

«Fino a un certo punto è lecito, se non necessario, usare le stesse armi della modernità. Io non posso andare all’attacco del sistema con arco e frecce. Ho dovuto usare dell’esplosivo, ho usato automobili per trasportarlo e spostarmi…».

Le sue teorie sono sostenute da alcune scuole di pensiero. Siete definiti neoprimitivisti…

«Torniamo alle parole più che alla sostanza… Allora c’è anche l’anticivilizzazione…».

Si sente un “cattivo maestro” di queste teorie?

«Io non sono il maestro di nessuno. E a nessuno dico quello che deve fare».

Però in suo nome sono stati compiuti decine di attentati. Anche nel tentativo di distruzione dell’ovovia dell’Abetone vicino a Pistoia si parla di lei. Poi ci sono stati attentati in Francia, quelli ai cantieri per l’Alta velocità in Piemonte, ai tralicci Enel in Toscana nel 2003 e in Valtellina nel 2004…

«C’è chi sa il fatto suo. Vuol dire che non sono da solo a condurre questa battaglia».

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Sotto la bandiera dell’anarchia ci sta di tutto. Anche le videocassette esplosive contro le caserme dei carabinieri, gli uffici della polizia a Genova, la casa di Prodi a Bologna. C’è chi sostiene che esiste una unica strategia anarco-insurrezionalista. Lei che cosa dice?

«Sempre la solita riduzione in categorie. Potrei dire che condivido tutte le teorie insurrezionalistiche, ma non sono cose di cui si può parlare fuori dal movimento. Io mi definisco anarchico ed ecologista».

Non vuole parlare nemmeno di Brigate Rosse, di un altro tipo di terrorismo?

«Come anarchico è escluso che io dica a chicchessia cosa debba fare o non fare. Posso solo esprimere solo la mia solidarietà a chiunque è stato colpito dalla repressione dello Stato».

Quando uscirà da questo carcere sarà anziano. Cosa pensa di fare?

«Mi piacerebbe tornare a fare l’agricoltore e vivere ancora nei boschi».

E i tralicci?

«Per motivi personali, di età avanzata e della mia salute compromessa, non è certo pensabile che riprenda la militanza clandestina armata».

È una dichiarazione di fine della guerra, si ritira in pace dopo mezza vita passata in clandestinità, tra Svizzera e Toscana, e l’altra mezza in carcere, tra qui e l’Italia?

«Non ho combattuto una mia guerra privata. Dunque non ho vinto nè perso alcuna guerra. Non rinnego nulla di tutto quello che ho fatto nella mia vita. Ma adesso che ho 53 anni consideratemi un veterano».

Fonte:www.lastampa.it
7.05.05

VEDI ANCHE: LA TRUFFA DELL’ECOTERRORISMO

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