CON MASKHADOV PUTIN HA UCCISO LE SPERANZE DI PACE IN CECENIA

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Dopo la morte del leader ribelle. Le accuse della giornalista russa Anna Politkovskaja

DI VINCENZO GIARDINA

Il leader ceceno Aslan Maskhadov è stato ucciso perché la sua disponibilità alla trattativa con Mosca rischiava di mettere in crisi la politica del pugno duro di Vladimir Putin contro il separatismo. Con l’uscita di scena del capo dell’ala moderata della guerriglia, tramonta la speranza di una soluzione negoziata del conflitto in Cecenia e aumenta per i russi la minaccia del terrorismo di matrice islamica. A sostenerlo è Anna Politkovskaja, inviata di guerra del giornale moscovita Novaja Gazeta e “insider” della galassia cecena, spesso in controtendenza rispetto ai sentimenti diffusi tra i russi. E’ una delle voci più autorevoli a levarsi contro la linea della normalizzazione portata avanti dal Cremlino nella martoriata repubblica del Caucaso. Il quotidiano “Izvestija” sostiene che il Cremlino ha aspettato il momento più opportuno per chiudere la partita con Maskhadov. E’ davvero così?

Non ho le prove per affermarlo. Di sicuro, però la disponibilità al dialogo con Mosca dimostrata di recente dal presidente indipendentista e la sua decisione di proclamare una tregua unilaterale di un mese, scaduta il 23 febbraio scorso, hanno irritato Vladimir Putin: al padrone del Cremlino queste iniziative non sono affatto piaciute. Dall’uccisione di Maskhadov esce rafforzata la popolarità di Shamil Basaev. Il leader della guerriglia islamico-secessionista – responsabile di attentati efferati come quelli del teatro moscovita Dubrovka nel 2002 e della scuola di Beslan nel settembre scorso – è ormai una figura molto importante, in grado di rendere impossibile ogni trattativa con Mosca. Non gli sarà facile però affermarsi come l’unico punto di riferimento per la galassia separatista, perché alcuni gruppi non lo appoggiano.

Boris Nemtsov, esponente dell’opposizione liberale in Russia dice che dal pantano caucasico è possibile uscire solo con una soluzione politica concordata al di là del governo filo-russo di Grozny. E’ uno scenario ancora realistico?

Ripeto, ormai non c’è spazio per il dialogo. Quanto alle autorità unioniste della Cecenia, Alu Alkhanov è stato di fatto nominato alla guida della Repubblica dal Cremlino attraverso un voto dall’esito deciso in partenza. Il suo principale sostegno sono le bande di Ramzan Kadyrov, figlio del presidente ucciso a Groznyj dai separatisti lo scorso anno, che con la loro violenza rafforzano la guerriglia e ne alimentano le istanze radicali.

Non più: dopo aver in un primo tempo subito il fascino dell’uomo forte, capace di stroncare la ribellione secessionista, hanno aperto gli occhi. La gente oggi ha smesso di credere alle promesse di «normalizzazione» rilanciate di continuo dal Cremlino e si rende conto che la guerra porterà inevitabilmente a nuovi attentati.

Alcuni analisti sostengono che la dipendenza dell’Occidente dal petrolio russo ha reso più che mai improbabili i tentativi di influenzare la politica di Mosca in Cecenia da parte di Usa e Paesi Ue. E’d’accordo?

Direi di sì. Nel 1999, quando iniziò la seconda guerra cecena, ci sono state alcune prese di posizione critiche da parte della comunità internazionale. Poi però, ora Blair, ora Berlusconi, sono sempre apparsi gli avvocati del Cremlino. La verità è che nessuno è mai stato disposto ad agire con decisione perché Putin cambiasse rotta.

Veniamo alle origini del conflitto. Quali sono state le sue cause? Ha contato qualcosa l’oleodotto che da Baku, attraverso il Caucaso settentrionale e la Cecenia, raggiunge il porto russo di Novorossijsk, sul Mar Nero?

Le cause della prima e della seconda guerra non sono state le stesse. Nel 1994 il controllo di quell’oleodotto ebbe un ruolo. Da tempo, tuttavia, quella direttrice non è più utilizzata: oggi bande e funzionari ceceni controllano uno o due pozzi, quanto basta per comprare le armi che servono.

Cosa è accaduto invece nel 1999?

La causa scatenante del conflitto attuale è stato il raid dei guerriglieri guidati da Shamil Basaev nella repubblica del Daghestan, situata ai confini meridionali della Federazione russa.

Un attacco colto da Mosca come una palla al balzo, si dice. Era necessario preparare l’elezione di Putin, da poco nominato primo ministro da Boris Eltsin e ancora sconosciuto: non c’era niente di meglio di una guerra per costruire un politico, per plasmarlo come una scultura.

Riesce ad immaginare oggi una soluzione per il dramma ceceno?

E’necessario l’ntervento dell’Europa. Solo attraverso la creazione di un protettorato internazionale sarebbe possibile separare le parti in lotta e smilitarizzare l’area. Il Cremino lo rifiuta anche solo come ipotesi. Credo che sarà costretto a discuterne prima o poi, di fronte al fallimento della sua politica. E’ questione di tempo: mi chiedo però quante vittime ci vorranno ancora.

Vincenzo Giardina
Fonte:www.liberazione.it
11.03.05

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